Battlefield 1 - Recensione e Videorecensione

PC PS4 Xbox One

NB: Questa recensione, come tutte quelle dei titoli che hanno una corposa componente multiplayer, è stata scritta in due parti: la prima copre la campagna single player, mentre la seconda, aggiunta in calce qualche giorno dopo, vi racconta della nostra esperienza sui server di gioco.


Non sarebbe giusto assegnare oggi un voto a Battlefield 1. La prova sulla versione completa non ha potuto contare sui server a pieno carico, e la sostanza della campagna a singolo giocatore conferma, ancora una volta, la netta propensione dello sviluppatore verso le sponde competitive online. Ciò non vuol dire che lo storymode sia interamente da buttare, come vedremo, e anzi riesce in qualche modo a smarcarsi dalla tradizione di Call of Duty, principale e commercialmente imbattibile avversario; nondimeno, però, le “storie” di Battlefield 1 non possono giustificare da sole l’acquisto, proprio perché si preoccupano principalmente di spingere ancor più verso i territori del mutigiocatore, senza una vera autonomia sul piano dell’articolazione o della durata. Peraltro, la portata principale mi è già sembrata in grado di saziare gli appetiti degli appassionati, nelle tante e divertentissime partite che ho già potuto disputare, ma questa, appunto, è una storia che vi racconterò con serenità e rigore nei prossimi giorni.

LA GRANDE GUERRA DI SKY CAPTAIN

In molti casi lo storymode di Battlefield 1 prende in prestito gli obiettivi, le regole e perfino l’organizzazione grafica del comparto online (barriere a bordo mappa comprese, mannaggia a loro), in altri ricorre allo stealth – di gran lunga la principale variante del gameplay – o all’intensivo utilizzo dei mezzi e dell’equipaggiamento delle partite competitive, passando dalla guida di carri, di aerei e soprattutto dalle classi di Battlefield 1, contestualizzate nel ruolo dei protagonisti dei racconti. Le storie sono sei, per la precisione, ideate bene in termini di soggetto ma davvero poco elaborate nell’intreccio, tanto da rovinare, almeno in parte, il tentativo di impegno sul tema della guerra con una retorica spesso eccedente e banale. La complessità non è elevatissima nemmeno nei compiti da espletare: nelle mappe più grandi e aperte, ad esempio, è necessario conquistare una serie di postazioni in sequenza, magari a cavallo o alla guida di un carro armato, oppure andarsene a zonzo in territorio nemico alla ricerca di pezzi per riparare il proprio veicolo, sopravvivere a un atterraggio di fortuna e altre trovate di questo genere, sullo sfondo di altrettante battaglie e relativi luoghi che, dalle Alpi italiane ai deserti del Medio Oriente, hanno caratterizzato il conflitto più sanguinoso e brutale della storia dell’umanità.

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Le storie sono sei, ideate bene in termini di soggetto e debitamente spettacolari, ma davvero poco elaborate nell’intreccio

La realizzazione tecnica dello storymode può essere scissa in due estremi. La prestazione delle AI, la qualità delle animazioni scriptate e il ritmo stesso dei combattimenti sono molto lontani dai vertici del genere, sensazione cui concorre anche il netto stacco (fin troppo comodo, sul piano dello sviluppo) tra azione di gioco e filmati narrativi, insieme all’uso pressoché invariato di alcune caratteristiche del multiplayer (una su tutte, la riparazione automatica dei veicoli), davvero poco verosimili nel contesto di una modalità storia. Allo stesso tempo, però, la spettacolarità di gran parte delle sequenze riesce ancora una volta a distanziare i colleghi FPS di diverse spanne, e concorre a esaltare lo strano ma intrigante mix scenografico di Battlefield 1. Se, infatti, la storia è rispettata sul piano didascalico, in singolo come nel multigiocatore, l’impatto visivo e il mood del gameplay mostra un approccio più vicino a film “dieselpunk” (ulteriore branca gemmata dal cyperpunk, dove è l’evoluzione ucronica dei motori a benzina a farla da padrone) come Sky Captain and The World of Tomorrow, o persino a una riuscita metafora della brutalità quasi “medievale” del primo conflitto mondiale, piuttosto che una vera rievocazione di fatti e dinamiche di guerra (compresi tempi di ricarica, potenza o frequenza di fuoco di armi e mezzi, decisamente fantasiosi). Quest’ultimo fatto continua a sembrarmi un punto di forza, in realtà, almeno nell’ottica di un prodotto di puro intrattenimento come Battlefield 1: non mi aspettavo la versione videoludica di Orizzonti di Gloria (mitologico film di Kubrick, per i disgraziati che non lo sanno), e fareste bene a non aspettarvela nemmeno voi.

LE TERRE PRESTAZIONALI

Durante la prova mi sono divertito a eliminare del tutto l’HUD, o comunque a beneficiare dell’ampia personalizzazione di icone e indicatori, così da godere del magnifico spettacolo visivo e, allo stesso tempo, dare un senso più compiuto alla semplicità degli obiettivi a singolo giocatore, oltre che alla breve durata complessiva delle campagne – laddove un pomeriggio e una serata a difficoltà normale, con l’opzionale aggiunta delle sfide prestazionali, sono bastati per leggere i titoli di coda. La versione PC beneficia di un buon numero di opzioni grafiche (e ci mancherebbe, direte voi, ma è comunque giusto precisarlo) e di una fluidità che su una 980ti non è mai scesa sotto i 90 frame al secondo, nonostante l’eccellente livello di dettaglio di modelli, texture e vasti panorami poligonali.

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La modalità Operazioni è tra le punte di diamante del multiplayer, con una colossale rievocazione posta tra storia e suggestioni “dieselpunk”

Ora, se permettete, torno volentieri nell’elettrizzante sarabanda delle “Operazioni” (mix tra Conquista e Rush, su vastissima scala, con riferimenti documentali e addirittura “ipotesi” nel caso a vincere sia chi ha perso lo scontro nella realtà storica), tra le punte di diamante di un comparto multiplayer vasto e ottimamente curato. Da un lato, i meccanismi competitivi di Battlefield 1 tengono ancora più lontani gli appassionati di (vera) tattica simulativa, ricorrendo in alcune caratteristiche alla controversa eredità di Battlefront, ad esempio nei soldati speciali (con relative icone sul campo) equiparabili agli “Eroi” dell’immediato predecessore; dall’altro, invece, l’ultimo nato in casa DICE riesce perfettamente a sfruttare la massa critica del numero di giocatori, la distruggibilità delle strutture e gli enormi scenari per confezionare uno dei videogiochi multiplayer più divertenti e visivamente appaganti dell’ultimo lustro. Qui lo dico e, connettività permettendo, spero di non doverlo negare nei prossimi giorni, quando andrà online la seconda parte di questa recensione.


Una piccola premessa a questa seconda parte della recensione di Battlefield 1, giusto per ribadire la scelta di TGM: circa tre anni fa, in occasione del quarto capitolo della serie “regolare”, la stampa che aveva provato il gioco anticipatamente si era ripromessa di non cadere nello stesso errore e, dunque, di non recensire più un titolo online così atteso prima di averlo visto girare sui server a pieno carico. Per quel che ci riguarda nulla è cambiato da quel giorno, e d’altronde nulla potrebbe realisticamente cambiare: in fin dei conti si tratta di una pratica sana e normalissima che avrebbe dovuto valere anche prima del disastro di connettività di Battlefield 4, ma che in quell’occasione ha ricevuto un plateale monito per essere applicata.

Poco importa l’aver perso la “gara all’indicizzazione Google” che si corre in questi casi, e nemmeno di dover confermare un giudizio complessivo che, sul piano del gioco in sé, rispecchia quello mentale di qualche giorno fa. Ho finito lo storymode e giocato debitamente il multiplayer anche prima della data di pubblicazione, l’ho rodato un paio di giorni con i server aperti e posso finalmente (e serenamente) affermare che Battlefield 1 è, per imponenza spettacolare e divertimento spicciolo, uno dei migliori giochi orientati alle competizioni online degli ultimi 10 anni; tuttavia, posso anche dire che ha avuto e sta avendo qualche problema sul fronte della connettività, e abbiamo valutato fino in fondo quanto le magagne siano legate all’attacco DDOS dei giorni scorsi, e quanto invece sia farina del sacco di Battlefield 1. Da quel che ho potuto capire, sembra molto più valida la prima ipotesi.

GUERRA TRASFIGURATA

Le armi sbloccabili nel multigiocatore sono le prime a risentire positivamente della reinterpretazione delle tecnologie di cui vi ho scritto nella prima parte di recensione. A lato del fatto che i modelli più bizzarri erano nelle mani di pochissimi soldati, e che in taluni casi non sono stati mai davvero utilizzati sul campo, le modifiche più vistose su fucili, mitragliatrici e pistole di Battlefield 1 sono state apportate sui tempi di ricarica e sulla nuda potenza. La frequenza di fuoco viene invece mantenuta mediamente bassa, a parte specifici casi (le mitragliette degli Assaltatori, o il mitragliatore di base del Supporto), e comunque spinge, insieme alla precisione, a sperimentare il più possibile nel comparto armi, qui più interessanti e desuete della media del genere.

Il risultato è che sto ancora ricercando la mia classe preferita fra Assalto, Medico, Supporto e Scout, non per carenze nell’equipaggiamento ma perché, appunto, trovare un feeling perfetto con l’arma è sempre tra gli aspetti più importanti di uno shooter, e in questo caso sembra di stare in un negozio di dolci nuovi e invitanti. A parte, poi, il largo ricorso a mortai con mirino sulla distanza, le granate a gas si rivelano un altro importantissimo fattore in gioco: questi gingilli sono a disposizione di tutte le classi per uno scopo principalmente tattico, giacché producono un danno progressivo su aree alquanto grandi e costringono i nemici a limitazioni nella maschera (non si possono usare ottiche o ironsight); allo stesso modo, le granate a gas producono anche un risultato scenografico di grande e opprimente impatto. Battlefield 1 stabilisce nuovi standard per l’uso degli effetti volumetrici, ed è proprio la rilevanza nel gameplay di gas e fumogeni – ma anche di nebbie e nuvole basse nell’ottimo meteo variabile – a unire perfettamente gli scopi giocabili e le pure esigenze di atmosfera.

La trasversalità delle risorse per sbloccare armi ed equipaggiamento (missili e bombe anticarro, esche con finta testa di soldato, mine a inciampo e altro ancora) si unisce alla lenta progressione delle classi per far sì che i pezzi avanzati siano agognatissimi, e che al contempo si venga spinti a saltare da un ruolo all’altro, persuasi anche dalla grande articolazione strategica delle mappe. Ciò non vuol dire che non ci siano motivi per coltivare un tipo di soldato specifico, e anzi una parte rilevante delle sfide con premi in XP volge proprio a questo risultato, ma ciò non inficia l’invito di Battlefield 1 alla varietà dell’approccio. Assalto, Medico, Supporto e Scout funzionano grossomodo nella tradizione della serie, e tuttavia va detto, nell’ultimo caso, che il drop fall dei tiri con fucile da cecchino è stato evidentemente rivisto dopo le critiche alla beta, e ora sembra quasi un piccolo colpo di artiglieria influenzato, debitamente, dalla velocità del bersaglio e dalla gravità. Carristi, Piloti e Cavalieri rispondono invece a regole proprie: non possono crescere di livello, e possono essere selezionati solo passando dalla mappa generale, portando con loro abilità uniche come quelle di riparare i mezzi o di colpire in corsa con una bella spada ricurva; tuttavia, la loro frequenza di disponibilità non è mai troppo elevata e, al contrario, risulta benissimo bilanciata tra esigenze di sopravvivenza della fanteria e puro senso dello spettacolo, pieno e impressionante certo, ma a suo modo misurato.

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Battlefield 1 stabilisce nuovi standard per l’uso degli effetti volumetrici

Ottimi i dettagli e le dinamiche di squadra, ad esempio per la postura di chi ricompare a fianco di un compagno, sdraiato o accovacciato a seconda della posizione dell’alleato, oppure per l’invogliante retribuzione di chi esegue gli ordini del team-leader buttandosi sugli obiettivi segnalati. È proprio nella cura per le minuzie che si riconoscono le differenze da Battlefront, ad esempio nella resistenza opportunamente contenuta delle unità speciali, i cui kit (armatura con mitragliatrice pesante o lanciafiamme) si comportano grossomodo come le icone degli eroi nel gioco di Star Wars ma, appunto, si rivelano molto meno “smargiasse” nelle possibilità. La maggiore distanza si riconosce nelle mappe, però, somiglianze superficiali a parte (neve, deserto), al punto che continuo a ritenere limitante la scelta dello scenario del Sinai per le fasi di test pubblico: anche solo un’altra mappa, magari quella del Monte Grappa o l’ambientazione urbana di Amiens, avrebbe mostrato con più chiarezza il fitto intreccio di trincee, bunker, architetture maestose, larghi spazi e differenze di altezza finemente studiate che costituisce il cuore di Battlefield 1, e che si va ad unire alla diffusa distruggibilità delle strutture per una sarabanda d’azione d’incommensurabile livello. La regola degli edifici “sbriciolabili” vale integralmente nelle mappe più aperte, mentre viene limitata ai piani terra di parecchi edifici nelle città. In tutti i casi, però, rispetta un criterio spettacolare che non va mai a intaccare la fluidità, su PC addirittura perfetta nonostante il ben d’iddio mosso dal Frostbite.

LA MOSSA DEL PICCIONE

Fra le modalità merita una particolare menzione Operations, che dispone le mappe secondo gli excursus di specifiche offensive nella Prima Guerra Mondiale. La base è una sorta di mix fra Conquista, per gli obiettivi, e Corsa, per la sequenza progressiva delle zone della mappa, affiancata dal racconto dei fatti storici o, in caso di vittoria di chi è stato sconfitto nella realtà, da volonterose ipotesi su ciò che sarebbe potuto accadere sullo scacchiere del conflitto. Rimangono del tutto intatte le regole di Conquista, Dominio, Corsa e Team Deathmatch. Il nuovo “War Pigeon”, invece, è una piacevole variante di Cattura la Bandiera, sostenuto dalla buona complessità del level design anche su porzioni ridotte delle mappe: qui, come in uno stralcio del single-player, viene esaltato l’uso dei piccioni come strumento di comunicazione nella Grande Guerra, con l’obiettivo di scovare la posizione del pennuto, difenderlo per interminabili secondi (il tempo di scrivere il messaggio) e liberarlo nell’aria, facendo punto.

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È nella cura per le minuzie che si riconoscono le differenze da Battlefront

Per la verità, ho trovato strana la mancanza di una modalità dedicata ai dogfight, considerato l’appeal spettacolare di una delle Storie, quella dell’aviatore, così come il piacevole precedente degli scontri nei cieli di Battlefront. In questi casi si fa presto a pensare a un DLC, e tuttavia la fattura e l’offerta di gioco di Battlefield 1 sono già in grado non solo di giustificare l’acquisto, ma di aprire le porte a mesi di assuefazione “pacificamente guerrafondaia”. Non è – e non vuol essere – un gioco dall’azione realistica, e anzi la presenza dei behemoth (treno, nave o dirigibile corazzati, dalla parte di chi sta perdendo in partite Conquista o Operations) rappresenta la scelta definitiva fra verosimiglianza e pure esigenze d’entertainment. Allo stesso tempo, però, il nuovo nato in casa DICE si rivela una macchina da divertimento quasi infallibile – in bilico fra Storia e suggestioni al limite della sci-fi – condita da una tenuta grafica ottima e stabile su console, e addirittura sontuosa su PC. Guardate un po’ voi se è il caso.

Con il senno di poi, anche le scelte di DICE sul single player di Battlefield 1 non mi sono sembrate errate: di sicuro sono pensate per esaltare il fascino e l’atmosfera del multiplayer, più che per vivere di vita autonoma. È proprio la fattura e il godimento delle modalità competitive ad assolvere la ridotta articolazione e longevità delle Storie da Fronte, costruite – come tutto il gioco – su battaglie reali e su un approccio visivo e d’azione quasi “fanta-storico”. Alcuni problemi di connettività sono in via di risoluzione proprio in queste ore, e pur tenendoli in conto (ho appena disputato una lunga serie di partite, senza riscontrare nuovi problemi) non si può che ritenere più che eccellente l’offerta complessiva costruita da DICE, capace di indurre totale assuefazione sulle sponde competitive online. Battlefield 1 si rivolge a un pubblico di giocatori particolarmente vasto, attraverso un approccio vario, a suo modo strategico ma sempre accessibile, e tuttavia compie tutte le sue scelte con stile e un grado di spettacolarità da mascella per terra, già lontano sotto questo aspetto da qualsiasi pretesa della concorrenza.

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Pro

  • Il single player fa il suo mestiere...
  • Ancora una volta, il top grafico per il genere.
  • Vario e divertentissimo nell'azione multiplayer.
  • Intrigante mix fra Storia e design al limite della fantascienza.

Contro

  • ...ma poteva fare molto meglio, per realizzazione e durata.
  • Chi cerca il realismo si rivolga altrove. Verdun è sempre lì.
9

Ottimo

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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