Classe Z – Recensione

Arrivati all’ultimo anno di liceo, alcuni ragazzi considerati problematici o “portatori sani di caos” vengono spostati in una nuova sezione, al fine di allontanarli dalle altre classi e lasciarli liberi di procedere verso l’inevitabile bocciatura. Un giovane professore cercherà di cambiare il loro punto di vista per aiutarli a prendere il diploma… non senza ostacoli.

Influencer, youtuber e Facebook star sono all’ordine del giorno. I giovani ne sono assuefatti, e non è la prima volta che qualcuno riesce ad uscire dal web per approdare al cinema: lo scorso anno, ci provarono i The Pills, ma – pur partendo da un iniziale entusiasmo – critica e incassi si sono rivelati disastrosi. A mio modestissimo parere, ciò che mancava al film del collettivo romano era proprio la modellazione del prodotto che presentavano al media di appartenenza, il cinema. La loro operazione volta a portare il format di YouTube nelle sale non aveva funzionato, e questi sono errori da cui si dovrebbe imparare. Si dovrebbe.

Classe Z immagine Cinema 01A differenza di quel che si vociferava nel web al momento del suo annuncio, la colpa del disastro del film non è da imputarsi alla presenza delle star del web, e – a ben vedere – neanche alla loro poca recitazione; Classe Z cade malamente perché, parafrasando Montanelli, dimostra come l’italiano sorvoli volutamente sugli errori, continuando nella sua ignoranza. In questo caso, insistere nel voler portare un simile format al cinema.

Classe Z cade malamente perché, parafrasando Montanelli, dimostra come l’italiano sorvoli volutamente sugli errori

Classe Z si può riassumere come un classico video dei suddetti youtuber, tra frasi fatte, montaggio edulcorato e filosofia spicciola presa da Instagram; il tutto concentrato in un lungometraggio di circa 90 minuti. Pur cercando la dimensione “social”, Classe Z mostra il solito grande problema del cinema italiano, la mancanza di aderenza alla realtà: i genitori sono inesistenti o permissivi in tutto, mentre scuole ed ospedali si trovano in perfetto ordine e pulitissimi. Potrebbe apparire un difetto da poco, ma è un elemento che allontana lo spettatore dalla credibilità della storia. E, volendo aprire una parentesi, è un motivo in più perché prodotti comunque non esenti da difetti – come, ad esempio, Lo chiamavano Jeeg Robot – vengono divinizzati dallo spettatore, hanno cioè il coraggio di mostrare quello sporco che nella nostra società è sempre esistito, per quanto tentiamo di nasconderlo.

Nonostante un incipit comunque interessante e qualche buona trovata, il film ha un ineluttabile calo verticale dopo appena una decina di minuti. Pigrizia è la parola chiave, che viaggia in parallelo con furbizia. Pigrizia perché la cura con cui è stato confezionato il film è praticamente vicina allo zero, anche quando presenta, senza un minimo di sfumatura, i classici stereotipi di ragazzi sulla falsariga di “Breakfast Club”. Furbizia perché già riesco a immaginare le file di ragazzi/e in coda al botteghino, che non baderanno alla logica o alla qualità, ma solo a supportare i relativi idoli del web.

VOTO 4.5

Classe Z immagine Cinema locandinaGenere: commedia
Publisher: Medusa
Regia: Guido Chiesa
Colonna Sonora: Giovanni Arcadu
Intepreti: Greta Menchi, Andrea Pisani, Alessandro Preziosi, Antonio Catania, Francesco Russo
Durata: 92 minuti

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