Alien: Covenant - Recensione


Ambientato cronologicamente dieci anni dopo Prometheus, Alien: Covenant corregge parecchi degli errori che hanno reso il predecessore lo zimbello cinematografico del 2012, portando questa trilogia prequel a palesare una maggiore consapevolezza e identità, anche se alcuni difetti – ahinoi – sono tutt’altro che spariti. Prometheus (di cui, non lo nascondo, io stesso rimasi profondamente scosso e deluso) si distingueva certo per una messa in scena visivamente accattivante, che tuttavia era accompagnata da una sceneggiatura che aveva lo stesso effetto di un pugno sui denti: incoerente, fumosa, sicuramente con potenziale, ma di difficile teorizzazione, vista la totale mancanza di voglia nell’affrontare di petto i temi proposti riguardo Dio, la mortalità, l’atto stesso della creazione e quindi, l’immortalità. Nel caos generale, sapevamo che Prometheus era un sequel di Alien necessario a narrarci le origini degli Xenomorfi, ma non si riusciva a capire quale fosse la direzione artistica intrapresa.

Alien: Covenant, fortunatamente, ha raddrizzato un po’ il tiro. L’aver cambiato la squadra di sceneggiatori ha portato un gran bene al film, che risulta più asciutto e compatto: niente frasi interrotte a metà e nessun interrogativo lasciato in sospeso… tutto fila liscio fino ai titoli di coda, anche subendoci odiosi spiegoni. Avremo quindi il giusto collegamento tra le due pellicole e, cosa importante, un baricentro attorno al quale far girare tutta la trilogia: David. L’androide è uno dei superstiti della spedizione Prometheus e scopriremo, con grande gioia, che tutto ruota attorno a lui e alle azioni discutibili che aveva già messo in opera durante la sua prima apparizione.

alien covenant

L’impressione che si ricava dalla visione di Prometheus e Covenant è quella della svendita di un’icona

Preso a piccole dosi, Alien: Covenant è un film di una bellezza impressionante e vanta almeno tre scene di raro impatto che rimangono impresse negli occhi, come tutta la direzione narrativa che, facendosi più chiara, risulta maggiormente apprezzabile. Lontano dalla saga originale (tutta sangue e horror, una vera macchina infernale portatrice di ansia, terrore e claustrofobia), la trilogia prequel abbraccia un racconto più votato all’action, ampliando parallelamente il tema etico della creazione. Alien: Covenant, proprio come Prometheus, abbraccia quindi una sfera intima e metafisica, rispetto a quanto proposto dai primi film della serie.

Preso nella sua interezza, invece, Alien: Covenant è un film che dimostra tanti, troppi lati scoperti. Ridley Scott – cui gli si vuole un grande bene, va detto – non riesce a dettare i tempi, e la stanchezza comincia a farsi sentire pesantemente. Il modus operandi ormai è quello, tanto che lo spettatore anticipa gli eventi futuri del film con grande facilità. Trovo ad esempio assurdo che nel 2017 si vedano ancora persone che in situazioni di estremo pericolo decidono di dividersi, con conseguente decimazione di uno dei due, per non parlare del classico personaggio che si allontana per andare al bagno da cui non farà mai più ritorno. Tolti questi classici – ed evitabilissimi – cliché da horror di Serie B, viene da chiedersi il motivo per cui Alien sia diventato, improvvisamente, un prodotto action che punta tutto sull’intrattenimento. Il cambio di rotta è chiaro e tocca abbracciarlo, e d’altronde è sbagliato fossilizzarsi su qualcosa che appartiene al passato; tuttavia, l’impressione che si ricava dalla visione di Prometheus e Covenant è quella della svendita di un’icona. Siamo più dalle parti di John Wick che del primo Alien del 1979: sono rimasto colpito più dalla vena entertainment che da quella horror, e non riesco bene ad abbracciare questa nuova direzione come del tutto positiva. Di certo il tempo e il prossimo capitolo della saga porteranno nuove risposte, conferme e consapevolezze.

VOTO 7

alien covenantGenere: fantascienza, horror
Publisher: 20th Century Fox
Regia: Ridley Scott
Colonna Sonora: Jed Kurzel
Intepreti: Michael Fassbender, Katherine Waterston, Billy Crudup, Danny McBride, Demian Bichir
Durata: 122 minuti

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