http://www.corriere.it/cronache/17_g...a8378d9f.shtml
Dunque, per capire meglio, più che ai segnali esteriori bisogna ricorrere alle motivazioni interne?
«Infatti. Io ho lavorato parecchio sul fenomeno dei videogiochi, dove spesso la missione è quella di eliminare esseri fantastici oppure delle sagome umane. Basta cliccare e si abbatte una persona, e vince chi ne abbatte di più. L’effetto è immediato. Nel mondo virtuale, il concetto dell’ammazzare perde il senso della corporeità. Ma anche nella vita reale ciò che appartiene alla cultura, alla tradizione, al rituale e al tabù è venuto meno: mentre per le generazioni passate nel pensiero della morte agiva il peso della religione, con il demonio, la chiesa, eccetera, oggi con i defunti ci puoi giocare, come nella festa di Halloween. La morte è diventata banale, ha perso pathos».
Questo porterebbe addirittura a uccidere con leggerezza i propri genitori?
«Freud dice che tutti noi abbiamo pensato, almeno una volta nella vita, di uccidere qualcuno. Se non l’abbiamo fatto è perché sono intervenuti dei freni inibitori: il rispetto e la cultura della vita, il timore della legge e della punizione eccetera. Oggi stiamo andando verso una società pulsionale, priva di tabù in cui la famiglia viene vissuta come uno spazio privo di freni inibitori: il dramma, paradossale, è che ci permettiamo di essere più violenti con le persone che più ci amano. Anche perché la famiglia (come del resto la scuola) non suggerisce più un’idea di autorità, di rispetto, di educazione, di coesione. E anche in casa il senso della morte è scaduto, banalizzato, come se fosse una semplice malattia: un’equivalenza diseducativa».