Nel 1887 morì la madre, mentre il 27 novembre 1889 vi fu il suicidio del padre: credendosi malato di una malattia incurabile, Luigi Salgari si gettò dalla finestra della casa di alcuni parenti.
I contratti obbligarono Salgàri a scrivere tre libri l'anno e per mantenere quei ritmi fu costretto a scrivere tre pagine al giorno. A causa del conseguente stress, scriveva fumando un centinaio di sigarette al giorno e beveva un bicchiere di vino marsala dopo l'altro[10]. Inoltre, dirigeva contemporaneamente un periodico di viaggi. Più che un problema di sottocompensi in proporzione alla mole di lavoro il suo esaurimento nervoso fu dovuto soprattutto alla fatica e alla stanchezza. Non solo non guadagnava, ma non era nemmeno considerato dai circoli letterari dell'epoca, ultimo smacco alla sua dignità.
Finché i suoi nervi non cedettero. A ciò si aggiunse la nostalgia della moglie, ricoverata da mesi in manicomio. Stressato e umiliato, rimase da solo e con i figli da accudire. Sempre più depresso, nel 1909 tentò per la prima volta il suicidio, gettandosi sopra una spada, ma venne salvato in tempo dalla figlia Fatima. [11] Poi, l'ultima intervista, quella di un giornalista, tal Antonio Casulli, inviato de Il Mattino di Napoli, che incontrò Salgari nel dicembre 1910, e che anni più tardi dichiarerà di aver respirato nella loro casa un'atmosfera come minimo triste e malinconica.
Infine, la tragedia: la mattina di martedì 25 aprile del 1911 Salgàri lasciò sul tavolo tre lettere e uscì dalla sua casa prendendo il suo solito tram con in tasca un rasoio. Le lettere erano indirizzate ai figli, ai direttori di giornali, ai suoi editori. Ai figli Omar, Nadir, Romero e Fatima scrisse:
« Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora... »
Li avvertiva poi dove avrebbero potuto trovare il suo cadavere, in uno dei "burroncelli" del bosco di Val San Martino, sopra la chiesetta della Madonna del Pilone, la zona collinare che sovrasta il corso Casale di Torino dove con la famiglia andava solitamente a fare i pic-nic; la zona esatta è quella del parco di Villa Rey, nei pressi dell'omonimo ex campeggio cittadino. Ma a trovarlo, per caso, fu invece una lavandaia ventiseienne, andata nel bosco per fare legna, tal Luigia Quirico. Il corpo di Salgàri aveva la gola e il ventre squarciati in modo atroce. In mano stringeva ancora il rasoio. Si uccise come avrebbe potuto uccidersi uno dei suoi personaggi, facendo harakiri, con gli occhi rivolti al sole che si leva.[12] I suoi funerali avvennero al Parco del Valentino, ma passarono inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l'imminente festa del 50° Anniversario dell'Unità d'Italia.