NieR: Automata - Recensione e Videorecensione

PC PS4

Non si può cominciare a parlare di NieR Automata se non dalla fine, quella vera, che arriva dopo tre run e cinque epiloghi diversi che in realtà sono un unico, grande disegno, fatto di prospettive diverse, complementari, mai alternative. Un corpus singolo folle e geniale, che pur a tratti esasperante, prolisso e problematico, riesce a scalfire ogni dubbio grazie alla potenza di una visione autoriale inattaccabile e cristallina, capace di trasmettere emozioni in grado di attaccarsi addosso e scuotere come pochi altri giochi. Il merito è anche di una colonna sonora a dir poco meravigliosa, che accompagna empaticamente l’azione in modo incessante, quasi a creare un unicum sinestetico che non mi capitava di percepire dai tempi del mai troppo lodato Zone of the Enders, con cui, almeno in termini poetici, NieR Automata ha ben più di un legame. Dopo gli ultimi, indimenticabili, titoli di coda la mia reazione ideale sarebbe stata correre da Yoko Taro, il game director, per prima dargli una testata fortissima, e poi abbracciarlo. NieR Automata è così: un titolo imperfetto e per certi versi anche aspramente criticabile, ma capace di raggiungere vette così alte da fugare agilmente quasi ogni dubbio, e soprattutto, sopperire ad alcune mancanze grazie a un’originalità grezza ma rinfrescante, a volte fallace ma sorprendente. In un mondo che spesso vive di idee riciclate e di narrazioni piatte e formalmente derivative, sarebbe da ciechi non premiare il team giapponese per aver trovato il modo di raccontare e sconvolgere attraverso l’uso quasi esclusivo del linguaggio videoludico.

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NieR Automata è un seguito indiretto del precedente capitolo della saga che nasce da una costola di Drakengard, e ne riprende il setting post-apocalittico, spostando le lancette dell’orologio molto più in là con gli anni (11944), fino al collasso definitivo del pianeta Terra, oramai privo di umani, fuggiti apparentemente sulla Luna, e in balia di una guerra tra biomacchine aliene e androidi, guardiani al servizio dell’umanità che combattono alacremente per restituire la Terra ai “legittimi” colonizzatori. Il contesto bellico sci-fi è in realtà il mero pretesto per condurre una narrazione di stampo filosofico, che ricalca diversi topoi classici della fantascienza in un mix ottimamente riuscito tra questioni identitarie tipiche del cyberpunk e un’indagine di chiara matrice nipponica, a metà strada tra dinamiche sociali ascrivibili a una visione orientale e concetti filosofici e metafisici che tirano in ballo apertamente la dottrina occidentale. E dunque, ecco che i nomi dei personaggi principali, 2B e 9S, androidi identificati da freddi sigle indicanti i modelli, assumono immediatamente il significato di “To Be” e “Nein Es”, ovvero un anelito shakespeariano verso l’essere e una negazione della freudiana natura dell’animo dell’uomo.

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Il contesto bellico sci-fi è in realtà il mero pretesto per condurre una narrazione di stampo filosofico

Da subito, dunque, il campo di battaglia vero si sposta dal reale all’ontologico, per quello che diventa un viaggio alla ricerca del significato di essere umani, che per quanto scontato possa sembrare, riesce a toccare tantissimi temi contemporanei in maniera brillante e mai banale. Dal senso dei sentimenti a quello della bellezza, passando per l’organizzazione del vivere comune, ogni capitolo offre punti di vista diversi e sfaccettati, e lo fa senza affidarsi soltanto a dialoghi e cut scene, ma riducendo la narrazione frontale e lineare in favore di soluzioni di gameplay che ci portano verso le scoperte in modo laterale, come se fossimo in un enorme puzzle il cui disegno prende forma pian piano.

Senza spoilerarvi nulla, la struttura stessa del gioco, inizialmente composta da due run che sembrano speculari ma che in realtà non lo sono, serve per comprendere chiaramente le motivazioni e la storia dei diversi personaggi e delle fazioni in guerra. Anche gli strumenti gnoseologici attraverso cui si compongono parti del racconto sono l’effetto di dinamiche di gameplay, come la manomissione delle macchine, che – oltre a fornire vantaggi in battaglia – diventa il modo di accedere a cutscene supplementari in grado di chiarire praticamente ogni cosa. Parimenti, la funzionalità di rete ci permette di riparare i corpi degli androidi degli altri giocatori per farli combattere al nostro fianco, in quella che rappresenta emblematicamente una poetica riflessione sul concetto di fratellanza e di eternità. D’altronde, A2 e 9S inizialmente non sono altro che due gusci uguali a tanti altri e ai molteplici corpi vuoti e rotti trovati in giro, pronti a sacrificarsi, anche a costo di autodistruggersi (dinamica ovviamente presente in caso di situazioni disperate), nella consapevolezza di poter trasferire i propri dati in un altro corpo uguale e adatto a proseguire la battaglia. Ma è proprio così? Ni, e proprio quando il disegno sembra più o meno prendere forma, la terza run getta una nuova luce su tutto, attraverso ulteriori punti di vista narrativi che, come in un gioco di scatole cinesi, svelano la vera natura dell’opera e fanno fare il definitivo salto di qualità allo storytelling.

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Da subito il campo di battaglia vero si sposta dal reale all’ontologico

La narrazione, ribadisco, non è mai accessoria o soverchiante rispetto al gameplay, e brilla anche grazie alla capacità di Yoko Taro di sfondare la quarta parete quando ce n’è bisogno, sfruttando la splendida interfaccia come se fosse quella degli androidi e mescolando le carte in ogni momento, attraverso un game design che divora e rielabora tutto ciò che è tradizione nipponica: JRPG, action, adventure, platform bidimensionale, visual novel, shmup a scorrimento verticale con momenti di bullet hell e perfino twin stick shooter. NieR Automata riesce a essere tutto questo grazie a un complesso sistema di alchimie, che per quanto a tratti imperfetto, mantiene intatto il feeling genuino di ogni genere senza mai scalfire l’identità dell’opera e, anzi, sfrutta le diverse componenti per arricchire l’esperienza, sia sotto il profilo del gameplay che dal punto di vista della narrazione in senso lato. Alla lista di fonti di ispirazione, però, ho volutamente mancato quella degli open world, collettrice delle diverse esperienze che il titolo di Platinum ha da offrire, ma che, purtroppo, incarna anche l’elemento debole dell’intera produzione.

CRITICA DELLA RAGION MECCANICA

A privare NieR Automata dello status di capolavoro indiscutibile sono due fattori legati alla natura aperta dell’avventura, e costituiscono un limite tanto tecnico quanto concettuale al lavoro degli sviluppatori. Il primo è che, fondamentalmente, il gioco è davvero poco ottimizzato e non sempre bello da vedere. In termini di design grafico, infatti, al netto di soluzioni eccentriche e discutibili dal punto di vista del gusto, è tutto estremamente ispirato e coerente con la visione autoriale di cui prima, ma è innegabile che in termini di potenza grafica NieR Automata sia la fiera delle texture poco definite, dei modelli poligonali poveri e di un riciclo degli asset non esattamente elegante. L’obiettivo, chiaramente, era quello di restare “leggeri” per spingere il tutto a 60 fps in ogni momento, ma alla luce del fatto che i rallentamenti ci sono, anche su PS4 Pro (e, per quanto mai drammatici, sono pure tanti), sinceramente giocare a un titolo che per certi versi sembra una remastered di una produzione PS3 è abbastanza angosciante, per quanto ci si possa beare della direzione artistica e dell’uso intelligente di una palette cromatica spenta e volutamente decadente.

Quel che è più grave, a mio modo di vedere, però, sono le regole alla base dell’open world di Platinum, che rasentano l’ingenuità sotto diversi punti di vista. Dalla collocazione di quest secondarie in aree vuote e desolate, alla presenza di troppi muri invisibili per forzare soluzioni di movimento particolari, fino ad alcune questline che sono la celebrazione massima del frustrante effetto tergicristallo tra due o più luoghi, il mondo di NieR Automata è piccolo, bruttino e non fa venire troppa voglia di esplorazione, che è un po’ l’antitesi di come dovrebbe essere un open world. Tra l’altro, passare dalla meravigliosa post-umanità di Horizon Zero Dawn a quella di NieR Automata, che seppur profondamente diverse hanno alcuni elementi in comune, è tremendo e davvero mortificante per la produzione nipponica, che per fortuna ha al suo arco moltissime frecce per risollevare una situazione che, almeno nelle prime ore, può procurare perfino un po’ di sconforto.

nier automata recensione ps4 xbox one pcEppure, quando si passa dalla mesta esplorazione alle fasi di azione NieR Automata inizia a brillare grazie alla sua capacità di essere un flusso ininterrotto di galvanizzanti scariche di adrenalina; merito di un combat system che riesce a unire la varietà già vista nel precedente capitolo della saga alla raffinatezza tipica di PlatinumGames. E dunque, ecco che arriva la velocità estrema, un sistema di schivate basato sul tempismo perfetto, in grado di fornire momenti di “bullet time” preziosissimi e combo spettacolari. Piuttosto che affidarsi a un approccio puramente action à la Bayonetta, la scelta è stata di tenere in conto l’anima action JRPG, relegando il numero massimo di combo alla potenza e alla natura delle armi. La fluidità dell’esperienza non ne risente, così come la profondità dell’intero sistema, che va a braccetto con una delle più belle meccaniche di personalizzazione che abbia mai visto negli ultimi tempi, ovvero un array di memoria configurabile ed espandibile grazie all’uso di chip che regolano qualunque aspetto del nostro androide. Le opzioni sono tantissime e offrono un grado di sfida comunque accessibile: si va dal sacrificare l’interfaccia in favore della potenza di fuoco, fino alla possibilità di puntare tutto sull’auto-cura e la prevenzione dalla manomissione, scelta comprensibile soprattutto alzando il livello di difficoltà su difficile o estremo (dove si viene oneshottati che è un piacere).

Il mio consiglio è di affrontare NieR Automata con calma e godervi per bene le prime due run

Per godersi l’intera storia c’è bisogno di almeno una trentina abbondante di ore, ma per sviscerare l’intera offerta ludica dovete aggiungerne almeno altre quindici o venti. Il mio consiglio è di affrontare NieR Automata con calma e godervi per bene le prime due run, perché per quanto l’intera avventura possa essere affrontata interamente anche dopo il true ending, il sistema di levelling dei nemici dell’end game è drammaticamente fallace e squilibrato, e finisce per offrire una sfida praticamente nulla. Un errore grossolano, questo, che spero possa essere corretto attraverso qualche patch, soprattutto in virtù dell’ottima funzione che ci permette di giocare singoli capitoli, utilissimi per scoprire anche i finali minori (che sono 26) e godersi le tante finezze più o meno nascoste in giro.

FENOMENOLOGIA DELL’OS

Tornando al viaggio, dunque, NieR Automata è un gioco che ha bisogno di tempo per esprimersi e farsi comprendere. Io stesso ero perplesso dopo la prima run, perché non capivo il punto di diverse scelte; questo nonostante fossi genuinamente divertito dai combattimenti ed esaltato dal modo in cui, con un cambio di prospettiva e di inquadratura, il titolo muti genere, pur senza perdere ritmo e fluidità. L’inizio della seconda run è stato spiazzante, laddove i dettagli hanno cominciato a conquistarmi e a farmi andare fuori di testa: è stato lì che mi sono arreso alle regole del gioco, certo a volte forzate e frustranti, ma che – una volta interiorizzate – mi hanno lanciato nell’universo decadente messo in scena da Platinum e mi hanno trattenuto in uno straniante stato di grazia. Se dovessi scegliere un’altra opera dello stesso sviluppatore con cui creare un forzatissimo paragone, direi che NieR Automata è un po’ The Wonderful 101 nella sua capacità di reinventarsi in ogni scena e di utilizzare i diversi generi come fonti da mischiare, in modo da descrivere al meglio ogni situazione proposta. In ogni caso, però, rappresenterebbe un confronto non del tutto adeguato, perché NieR Automata è figlio di Nier e dell’amore folle che Yoko Taro ha dedicato al progetto; qui la visione del game director nipponico ha trovato compimento su un livello più alto, grazie al ruolo di Platinum.

Al centro di tutto, ovviamente, c’è il sistema di combattimento, che richiede tempismo e perizia, e che col tempo diventa un modo per danzare felici in mezzo a selve di robot e proiettili, laddove la prima lezione per durare per più di due minuti è distinguere i nemici cui sparare da quelli che, invece, è meglio saltare o schivare. La possibilità di modificare completamente il layout dei tasti è una grandissima intuizione e rende l’intera esperienza più confortevole possibile, anche perché a volte servono davvero tutte le sei dita poggiate sul pad per trarre il meglio da alcuni combattimenti. Allo stesso modo, l’integrazione dei due personaggi e delle loro caratteristiche convince senza ombra di dubbio, proprio con il già citato minigioco della manomissione, che diventa una sorta di mini concentrato dell’esperienza shmup/twin stick shooter, a ribadire la coerenza artistica alla base dell’intero progetto. La capacità, infatti, di sintetizzare e distillare l’intero significato dell’opera all’interno dello stesso racconto, attraverso sequenze peculiari (come alcune boss-battle, i fantastici momenti a scorrimento laterale o quelli in cui subiamo la manomissione dei nemici), è l’ennesima dimostrazione della purezza e della forza del concept di gioco.

NieR Automata è un prodotto dall’identità estremamente definita e dalla personalità superba

Il punto è proprio questo: per quanto goffa e rozza possa essere a tratti la realizzazione, e per quanto discutibilmente folli possano sembrare alcune regole che dominano l’universo diegetico, nel suo complesso NieR Automata è un prodotto dall’identità estremamente definita e dalla personalità superba, che con ogni probabilità si ritaglierà il ruolo di cult proprio come il primo episodio, perché sua ideale prosecuzione filologica e frutto della stessa, incredibile sensibilità. Se siete amanti delle produzioni nipponiche, NieR Automata è dunque un titolo che va obbligatoriamente vissuto; se non lo siete, ma amate il videogioco come mezzo espressivo, fareste bene a farlo vostro comunque, dandovi un pizzicotto sulla pancia e perdonandogli le sue mancanze, perché una volta arrivati al true ending – a mio avviso uno dei migliori epiloghi che il medium possa vantare – vi sentirete dei giocatori dall’animo più nobile.

Imperfetto, grezzo, volutamente complesso, NieR Automata arriva a tanto così dall’essere un capolavoro grazie alla sua incredibile personalità e alla capacità visionaria di Yoko Taro. La realizzazione tecnica a tratti insufficiente e un open world ottuso non inficiano fortunatamente la genuinità del gameplay e la capacità del gioco di trasformarsi in qualcosa di bello, divertente e appassionante a ogni cambio di prospettiva. Nel suo essere vuoto e desolante, NieR Automata riesce a trasmettere con malinconica lucidità il dramma e la gioia di essere umani, pur raccontando una drammatica vicenda di androidi e macchine. A convincere più di tutto è proprio il modo in cui il director giapponese è riuscito a narrare la sua storia sia attraverso le funzioni del gioco stesso. E scusate se è poco.

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Pro

  • Mix di generi estremamente equilibrato.
  • Sistema di combattimento e personalizzazione ottimo.
  • Storytelling incisivo e innovativo.
  • True ending epocale.
  • Colonna sonora spettacolare.

Contro

  • Tecnicamente insufficiente.
  • Oper world triste.
  • End game un po' rotto.
8.7

Più che buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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