Può For Honor far gola a un appassionato di picchiaduro? Uno di quelli che dormono con Neo Geo sul comodino, che ripassano a memoria il moveset di Akira Yuki ogni sera come un mantra o che non riescono ancora a trovare la risposta a uno dei dilemmi più machiavellici di sempre: meglio Garou o Third Strike? Nonostante il nuovo pargolo Ubisoft presenti oggettivamente tizi che se la danno di santa ragione, può un fan dell’arte del combattimento binario trovare un valido motivo per investire tempo e energia in un gioco comunque lontano dalla sua comfort zone a base di hadoken e power wave? Lo scopo di questo Speciale è dare una risposta a voi, ma soprattutto a me stesso, partendo da un lontano passato.
IT’S BETTER TO BURN OUT THAN TO FADE AWAY!
Uno dei primi giochi di combattimento uno contro uno della storia è Warrior di Vectorbeam (1979), un duello tra cavalieri visto dall’alto realizzato in wireframe, inequivocabile prova che gli scontri all’arma bianca sono sempre stati presenti nel nostro hobby. Le armi, però, devono offrire qualcosa di nuovo rispetto a calci e pugni, perché altrimenti resterebbero confinati al rango di scelte estetiche e stilistiche. Lo abbiamo capito praticamente da subito: The Bilestoad su Apple II riprende tanto i rozzi combattimenti di Warrior quanto la prospettiva aerea, ma li rielabora in chiave bitmap, inserendo nella tenzone la possibilità di troncare gli arti dell’avversario e decapitarlo al termine del duello, ben cinque anni prima del più celebre Barbarian di Palace. Negli anni Novanta, al culmine della “febbre da picchiaduro”, Shin Nihon kikaku riporta in auge la meccanica con Samurai Spirits, unendo l’eccellente pixel art e il carismatico character design della casa di Eikichi Kawasaki a un sistema di gioco che osa essere differente grazie a fioretti, katane, artigli e lame di ogni tipo. Tante sono le intuizioni: le armi possono essere perse limitando drasticamente il moveset dei personaggi, e un combattente disarmato è condannato a subire un fastidioso chipping damage finché, con addosso tutto il coraggio del mondo, non affronterà direttamente un taglio potenzialmente fatale con la celebre (e spesso estremamente romanzata) Shinken Shirahadori , ovvero la tecnica di disarmo a mani nude. Un sistema di gioco raffinato, tanto da concedersi un passo falso in quel bellissimo disastro che fu Samurai Spirits 3, dove un paio di potentissimi fendenti erano sufficienti per terminare un round senza troppo spazio per le finezze, imperfezione corretta pochi mesi dopo addirittura raddoppiando la vitalità dei lottatori nel successivo Amakusa Kourin.
Il ritmo dei combattimenti di For Honor richiama per certi versi Virtua Fighter
Il tutto è retto da un meccanismo che gira attorno alla postura variabile del nostro guerriero, punto di partenza da cui direzionare fendenti o alzare le difese, assieme a un indicatore della stamina, che, qualora esaurito, ci lascerà per pochi cruciali secondi in balia dell’avversario, capaci di difenderci disperatamente ma privi di grinta negli affondi. Imparare le basi è discretamente facile grazie a filmati e tutorial; andare a fondo è però un altro discorso per via delle abilità dei singoli guerrieri e di tecniche avanzate come la parata (intercettare al momento giusto un attacco nemico con un fendente forte) e lo spezza guardia, da seguire con proiezioni o mosse speciali. Generalmente, il moveset dei guerrieri non è particolarmente esteso, trovando il suo punto di forza nella diversità dell’offerta e sullo studio delle tempistiche.
Imparare le basi di For Honor è discretamente facile grazie a filmati e tutorial; andare a fondo è però un altro discorso
Ricordiamo l’ovvio: For Honor non è un picchiaduro in senso stretto, con le sue mappe enormi e le modalità di gioco piuttosto varie; in quest’ottica sarebbe stato poco oculato focalizzare l’esperienza su interminabili duelli in cui i due avversari si fronteggiano fino allo stremo con un’infinità di tecniche. Qui, a seconda del tipo di scontro, chi se la vede male può darsela a gambe cercando l’aiuto dei compagni, alla faccia dei personaggi più lenti e meno intraprendenti che, se non correranno ai ripari, rischiano di trovarsi circondati da un gruppo di vichinghi inviperiti. Indispensabile in simili momenti la modalità Vendetta: consideratela un po’ la vostra Desperation Move, attivabile riempiendo un apposito indicatore parando e schivando. Più danno, più resistenza, colpi invulnerabili alle interruzioni e il knockdown degli avversari garantito, se attivata nel momento del loro attacco. Questo non cambia che l’aspetto più “casinista” del gioco sia un fattore da tenere a mente prima ancora di posare lo sguardo sulla copertina: se la vostra idea di picchiaduro deve tassativamente focalizzarsi su duelli uno contro uno all’ultimo sangue, For Honor a mio avviso non fa per voi.
THERE CAN BE ONLY ONE
Se invece siete stanchi di Southtown e non avete paura di un po’ di varietà, sono felice di confidarvi che lì in Ubisoft qualcuno ha fatto i compiti, inglobando nelle dodici classi da impersonare un bel po’ di meccaniche con cui probabilmente avete già familiarità. Prendiamo ad esempio il gigantesco Shugoki, ovvero il nerboruto picchiatore della fazione dei samurai: dispone di super armor con cui resistere al primo attacco ricevuto senza tentennare, permettendo di caricare un brutale attacco imparabile. Tuttavia, i colpi successivi gli causano danni extra; alla stessa maniera, il suo Abbraccio del Demone è quanto di più simile ci sia a una command throw, capace di far recuperare energia al colosso e impossibile da contrastare (al contrario delle normali proiezioni in seguito a uno spezza guardia), tuttavia destinata a danneggiarlo se va a vuoto. Grandi potenzialità offensive si alternano a importanti penalità se usate senza criterio, favorendo la lettura delle mosse e della postura dell’avversario, intuendo come reagire e quando.
Il sistema di combattimento di For Honor lascia fortunatamente poco margine per il cosiddetto button mashing
La diversità si fa sentire anche tra le cosiddette avanguardie, ovvero i personaggi “base” delle tre fazioni. Il Guardiano (classico cavaliere inscatolato con spadone a seguito) concatena automaticamente due colpi se il taglio laterale leggero va a segno, e può interrompere un assalto verticale con l’animazione iniziale di un fendente leggero nella stessa direzione, creando uno stile di gioco diretto e votato all’attacco, mixando una gamma di tecniche facili da apprendere con robuste spallate caricabili. La strategia del samurai Kensei ruota principalmente attorno al terzo e ultimo attacco imparabile di una delle sue combo , una sequenza che può subdolamente essere iniziata anche da semplici stoccate d’avvicinamento come lo spezza elmi. Il razzatore dei vichinghi trova invece la sua ragione di esistere nel fastidio puro, con diversi colpi mirati a stordire l’avversario; un giocatore stordito non può vedere l’indicatore della guardia nemica ed è costretto a intuire sul momento da dove arriveranno i prossimi colpi, affidandosi al colpo d’occhio. E mano a mano che prederete confidenza con il gioco imparerete a amare la possibilità di cancellare gli attacchi pesanti, la chiave per far mandare in panico un avversario umano con mind game di tutto rispetto.
I fanatici del Just Defend di Garou e del Parry di Street Fighter 3 si troveranno a casa