Ghost Recon Wildlands loot box

Tom Clancy's Ghost Recon Wildlands

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Tom Clancy's Ghost Recon Wildlands - Diari boliviani - Giorno #1

Inizia oggi la strada che ci porterà, venerdì prossimo, alla prova completa di Ghost Recon Wildlands. I motivi del percorso di recensione sono in parte i soliti, per valutare la prestazione dei server in un gioco orientato all’online, ma hanno anche a che fare con la natura cooperativa e “amicale” del nuovo open world a sfondo militare (o giù di lì) di Ubisoft, anche solo per come l’abbiamo vissuto noi: tutte le brutte facce del #teamcrimine stanno provando in questi giorni Ghost Recon Wildlands, spesso condividendo la medesima partita, e ognuno di noi vi darà la propria “versione dei fatti” fino alla recensione completa, che avrò il piacere di vergare di mio pugno.

Il codice review è pure arrivato troppo a vicino all’embargo degli articoli, considerata la vastità del gioco, e anche qui abbiamo deciso di lasciarci dietro tutte le ansie da blocco di partenza. In fondo, c’è un intero paese (e il vero governo non ne è nemmeno troppo felice) da mettere a ferro e fuoco.

LE DIMENSIONI CONTANO

Vi dico subito che, per quel che mi riguarda, la pioggia di emozioni contrastanti è stata una delle più scroscianti dell’anno. Ghost Recon Wildlands, per molti versi, sublima l’esperienza di Ubisoft sugli open world e regala uno dei mondi esplorabili più impressionanti che si siano mai visti, insieme alla bellissima libertà di approccio tattico che ci accompagnerà per tutto il gioco. Non di meno, in certi momenti paga la sua vastità con alcuni dettagli non esattamente allo stato dell’arte, soprattutto quando guardiamo attentamente (ma nemmeno tanto) alla fisica del veicoli, al “magico” comportamento delle Intelligenze Artificiali in single player e ai diversi erroretti che, peraltro, difficilmente potevano mancare in un mondo così vasto.

Ghost Recon Wildlands

Un’azione pulita con avvicinamento, soluzione dell’obiettivo e fuga può sempre regalare sensazioni sublimi

Tra i tratti addirittura eccellenti, almeno a mio modo di vedere, va messa l’esplorazione dell’enorme mappa di gioco: com’è noto, ed è effettivamente emozionante, le informazioni su ogni regione si ottengono solo andando a calcarne il suolo, operazione necessaria per scoprire i volti degli scagnozzi (o luogotenenti, fino al boss del cartello Santa Blanca) e rivelare che posto occupano nella catena criminale. Il che garantisce la non linearità della sequenza di missioni, naturalmente, ma allo stesso tempo può anche apparire un po’ schematico nella struttura, in forma non dissimile a quanto visto in Mafia 3, ben conoscendo la trafila di nemici da affrontare (6 missioni per ognuno, quindi una marea, senza contare la pletora di quest con i ribelli) per arrivare in fondo al gioco; nel caso di Ghost Recon Wildlands, però, questo comporta l’obbligo di muoversi in lungo e in largo, magari in elicottero, attraverso uno scenario incredibilmente sontuoso e ricco, ricostruito su mappature satellitari e, così, estremamente naturale alla vista.

Un’azione pulita con avvicinamento, soluzione dell’obiettivo e fuga può regalare sensazioni sublimi anche in single player, specie dopo aver sbloccato tutti e tre i tiri simultanei concessi agli alleati, e a maggior ragione offre divertimento sfrenato nelle partite cooperative, dopo che fra una risata e l’altra si trova il perfetto equilibrio di comunicazione in chat. I colpi sulla distanza hanno quel minimo di bullet-drop che costringe a stare all’erta in fase di mira, e risulta sempre fantastico il momento – frequente, se si gioca bene – in cui metà squadra decima i nemici da posizioni defilate, pronta a ripiegare sui veloci contrattacchi delle intelligenze artificiali, e l’altra metà si insinua fra baracche, capannoni o campi agricoli fino al cuore delle basi nemiche.

Ghost Recon Wildlands

Non mancano i dettagli che fanno destare bruscamente dall’immersione

Allo stesso tempo, però, non mancano i dettagli che fanno destare bruscamente dall’immersione: tra i più assurdi e sciatti, a mio modo di vedere, c’è la diversa meteorologia che appare ai partecipanti al co-op; grazie al cielo l’ora del giorno è comune, ma lo stesso non si può dire delle nebbioline, della pioggia, delle dense nuvole o di qualsiasi altro elemento che determina variazioni di luce anche importanti, come il “sole negli occhi” (si fa per dire, eh, mi riferisco agli effetti di shading del caso) nell’atto di mirare, e che invece vengono visualizzati in modo differente dalla squadra.

Non convince troppo, poi, la scelta di non sostituire con le IA i compagni di squadra mancanti, in caso di party di due o tre persone, visto che il numero o la potenza dei nemici non sembrano cambiare (o, almeno, non cambiano sensibilmente) anche se il gruppo è incompleto, con risultati tutt’altro che esaltanti sulla praticabilità delle missioni. In ordine sparso, potrei anche elencare la collocazione schizofrenica dei punti di respawn (si, un po’ come quella di The Division), la fisica ai limiti della fantascienza per i ribaltamenti delle macchine o l’atterraggio di aerei, o ancora le reazioni nulle dei nemici ai colleghi artificiali della squadra Ghost durante le sortite stealth: tutti dettagli che, in un modo o nell’altro, sono connessi allo sforzo di rendere giocabile una dimensione open world così impressionante, ma che di sicuro potevano essere risolti in modo più fine.

È pur vero, però, che tutti – e dico tutti – gli avvicinamenti in elicottero su qualche obiettivo mi hanno fatto venire i brividi lungo la schiena, e spesso l’incanto è rimasto fino alla fine della missione. Stavolta trovare la quadratura del cerchio sarà un’impresa.

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