Il mio primo viaggio in Bolivia mi ha colpito: sorvolare in elicottero una terra così ricca e così bella, mentre l’atmosfera si accendeva del rosso del tramonto e la faccenda diventava sempre più pesante dal punto di vista del racconto, è stato toccante. Per certi versi conradiano, e dunque, immancabilmente deferente nei confronti di Apocalypse Now, il volo verso Itacua sulle parole del terribile El Sueño fanno molto da crocevia verso l’inferno, in una sperale di rovesciamento della morale che è indubbiamente affascinante. Come da copione, la mia principale attività in ogni produzione open world Ubisoft è quella di perdermi al suo interno, nella speranza di trovare nei dettagli la voglia di far parte del mondo di gioco. In Ghost Recon Wildlands, però, la mia immersione non è andata a buon fine, per quanto, tutto sommato, si tratta di un’ambientazione immensa, bellissima, che già solo da attraversare in elicottero stringe il cuore per la varietà paesaggistica e le gemme nascoste, tra sottomarini, relitti di navi e tante piccole chicche. Eppure…
BELLA LA BOLIVIA, MA NON CI VIVREI
Il punto è che ho trovato difficile restare all’interno del mood che permea Ghost Recon Wildlands, e per quanto sia stato il meno costante del #teamcrimine, è anche vero che la mia insofferenza nei confronti del gioco nasce proprio dal non riuscirci a trovare quel qualcosa in più che mi aveva fatto passare le notti ricostruire i dettagli delle storie spezzate nella New York post Direttiva 51 di The Division, tra un racconto alla radio e una storia olografica.
Ho trovato difficile restare all’interno del mood che permea Ghost Recon Wildlands
È chiaro, qui siamo su lidi diversi, e sul piatto c’è una libertà di gioco estremamente notevole. Eppure, il mio senso di dispersione è dovuto proprio al fatto che la distesa di sconfinata bellezza non è coerente con quello che si vive pad alla mano e, anzi, per certi versi va anche a inficiare l’esperienza, sia affrontandolo in single player che in co-op. Senza entrare nei dettagli tecnici e nel valore in sé del gioco,
la mia sospensione di incredulità è stata violentata di continuo. Nel single player, mi hanno infastidito dettagli scemi che, seppur funzionali al gameplay, mi hanno lasciato molto perplesso. I compagni comandati dall’IA, per dire, da un lato sono infallibili cecchini che ti fanno sentire quasi un inetto con il loro gergo super convinto e la capacità di essere al posto giusto al momento giusto, dall’altro però barano perché si teletrasportano e possono ballare la tarantella davanti ai nemici senza problemi. Ecco, mi sono sentito tradito, un po’ preso in giro a tratti, perché evidente che loro siano “ghost” più di me. Al di là delle battute,
quando Claudio diceva che a volte il setting estremamente serioso del gioco si scontra con la realtà dei fatti, sono d’accordo, e ‘sta cosa mi ammazza terribilmente. Anche perché in co-op, è innegabile, si finisce per essere dei caciaroni brutti, e per quanto il divertimento salga, il senso di essere in Bolivia a fare i fantasmi e combattere il cartello va a farsi friggere del tutto.
HO UN SOGNO
E dunque, a tratti ho preferito l’eremitaggio, e lì, sì, che il mio viaggio in Bolivia ha avuto senso. Ignorando il teleport istantaneo dei compagni d’arme e la progressione di gioco, con il coltello tra i denti e la voglia di essere solo, ho cominciato a esplorare, vagare, meravigliarmi per i lama che corrono felici e per gli autoctoni che canticchiano le canzoni della radio boliviana. Ho cercato la mia dimensione provando a infiltrarmi nei peggio anfratti di Santa Blanca, ho combattuto e sono morto diverse volte, ma almeno tuffandomi nelle scartoffie e nei file rubati ho cominciato a sentire la voglia di combattere il cartello.
A tratti ho preferito l’eremitaggio, e lì, sì, che il mio viaggio in Bolivia ha avuto senso
Allora, come El Sueño,
anche io ho avuto una visione, che ribalta completamente il senso delle cose, che trascende la necessità di Ghost Recon Wildlands di essere un prodotto che ammicchi a tutti e che possa essere giocato in maniera seamless, senza pensieri e senza problemi. Ho sognato un mondo alternativo simile, ma meno libero; uno di quelli in cui sei costretto a fare qualcosa perché diventa una situazione di “vivere o morire”. Ho visto un gioco in cui devi per forza giocare in co-op, ma non nel senso che accedi alla partita di qualcun altro o lo inviti nella tua, ma che esiste un unico salvataggio per l’intero gruppo e, come una volta, seduti a un tavolo a tirare dadi, si affronta la campagna di Wildlands solo tutti insieme, solo nello stesso momento. Ho visto un gioco in cui la lotta al cartello era presa seriamente perché le cutscene e gli obiettivi sono unici, e non devono essere sbloccati indipendentemente dai diversi giocatori. Ho visto un mondo con meno missioni secondarie che si accavallano in maniera confusa con le principali, e scontri più cattivi, che non invogliano mai all’approccio sconsiderato. Ho gongolato, nella mia visione, per l’assenza del NAT di Astro. Ho visto il #teamcrimine in difficoltà come quando, per puro caso e in stato di grazia, con Mario e Claudio abbiamo affrontato come una vera squadra La Yuri ed El Polito. Ecco,
in quel sogno Ghost Recon Wildlands sarebbe stato un gioco spigoloso, difficile, asfissiante e, probabilmente, per molte meno persone. Eppure, quello sarebbe stato il gioco per me.