Conferenza Electronic Arts E3 2017: il commento dei nostri inviati

conferenza ea e3 2017La trasferta in quel di Los Angeles del #teamcrimine di TGM si apre con la conferenza di Electronic Arts, che per il secondo anno di fila decide di “star fuori” dalla kermesse dell’E3 per organizzare il “suo” evento, dedicato soprattutto ai giocatori, che all’Hollywood Palladium potranno per i prossimi tre giorni mettere mano all’intera line-up della casa americana. E per il secondo anno di fila, i giochi presentati all’EA Play sono il problema minore. Claudio e Davide, che hanno presenziato all’evento, ci regalano la loro opinione.


Claudio “keiser” Todeschini

green arrow up hotSe guardo all’anno scorso, è decisamente migliorato tutto quel che riguarda accoglienza e hospitality in generale: controlli all’ingresso sempre puntuali ma non opprimenti, e soprattutto una gestione molto più snella dei flussi di persone in arrivo. In generale, l’atmosfera è stata molto più rilassata e ariosa. All’interno di una conferenza dal tono abbastanza piatto e incapace – come spesso accade per gli eventi pubblici di Electronic Arts – di catalizzare davvero l’attenzione dei presenti, quest’anno non è mancato il momento “emozionale” ed “emozionante” della conferenza. Dopo le lacrime e le mani tremanti per l’emozione di Martin Sahlin di due anni fa, durante la presentazione di Unravel, a questo giro mi ha colpito il sincero entusiasmo e orgoglio di Josef Fares, fondatore di Hazelight e direttore creativo di A Way Out, il Prison Break cooperativo che, insieme ad Anthem, ha rappresentato l’unica, vera sorpresa di questa conferenza. Sorpresa anche e soprattutto per l’energia che il suo creatore ha saputo trasmettere al pubblico nel parlare della sua creatura, a dimostrazione che, in momenti come questi, conta anche il “come” si presenta un videogioco.

red arrow down notElectronic Arts continua, secondo me, a non saper gestire i tempi e a comunicare nel modo giusto quella che, in fin dei conti, è una buona line-up, piena di cose interessanti e potenzialmente molto valide. Relegare Anthem, la nuova IP di BioWare, a un misero teaser di pochi secondi, rimandando al giorno dopo (e alla conferenza Microsoft) l’annuncio vero e proprio, senza spendere neanche una parola in più, è stato davvero deprimente per chi era presente all’evento. Così come non si spiega la decisione di costringere le centinaia di persone venute da tutto il mondo per la conferenza a subirsi trentacinque minuti di scontri multiplayer live di Star Wars: Battlefront II, oltretutto sapendo che a pochi metri di distanza ci sono le postazioni su cui, di lì a qualche istante, ci si potrà mettere le mani. Pollice verso anche per l’organizzazione della cosiddetta “Business Lounge”, che di business aveva davvero molto poco (e la lounge non è pervenuta): a parte la perniciosa assenza di caffè, quello che immaginavamo come uno spazio dove poter incontrare gli sviluppatori e accedere a postazioni demo in un contesto meno caotico dell’EA Play vero e proprio (aperto al pubblico), si è rivelato invece una bolgia infernale, con spazi ridottissimi, divanetti e persone da scavalcare per arrivare alle console e una sola saletta per gli incontri a porte chiuse (neanche insonorizzata), dove gli sviluppatori si sgolavano per provare a parlarti del loro gioco, ma senza riuscirci più di tanto, perché il volume della musica che proviene dal piano di sotto era troppo alto. Provaci ancora, EA. Ma anche no.

Davide “Shea” Mancini

green arrow up hotL’allestimento del Palladium è stato intelligente e, rispetto alla dispersione e alla fredda interpretazione corporate dello scorso anno, l’idea di creare un villaggio brandizzato funziona, così come funziona il cercare di mettere al centro di tutto i videogiocatori. Nei primi istanti sembrava di respirare l’atmosfera di un festival, più che di un pre-fiera, e il senso di celebrazione era fisicamente percepibile. È evidente come in EA sia in atto un’operazione simpatia per rendere la compagnia meglio tollerata all’occhio dei giocatori: il connubio di clima di festa, l’abbandono dei DLC e una solida line-up che punta tutto sulla competizione e al coinvolgimento sono strategie che possono dare ottimi frutti. A patto di saper comunicare, però: a conti fatti, sul palco della conferenza gli unici in grado di farlo mi sono sembrati Wilson (ma perché non affidargli la chiusura?!), Janina Gavankar (sebbene più a suo agio sull’improvvisazione che sul copione), e un arrembante Josef Fares di Hazelight, l’unico a riuscire davvero a trasmettere un minimo di entusiasmo.

red arrow down notL’idea che mi sono fatto di EA Play è che Electronic Arts abbia cose da dire, ma si sia completamente dimenticata come si fa. Dalla scaletta ai tempi degli interventi, passando per i troppi minuti concessi sul palco a un apatico Patrick Söderlund, la conferenza di EA è stata esattamente il contrario di quanto avrebbe dovuto essere, almeno a giudicare dall’impatto del resto dell’evento, e anche dal clima suggerito dall’allestimento. Nessun gioco, a parte il già citato A Way Out, ha goduto di un bel racconto, ma gli annunci sono stati buttati lì uno dopo l’altro senza una particolare attenzione ai dettagli, e senza puntare, paradossalmente, sulla forza dei selling point dei diversi titoli a disposizione. Anche la scelta di come mostrare Anthem mi ha perplesso, per gli stessi motivo indicato da Claudio. In definitiva, piuttosto che hype per il futuro, EA Play mi ha dato la sensazione di essere un tentativo goffo per tracciare una nuova identità di brand, che però al momento mi pare più un mero esercizio di volontà che un sentimento condiviso da tutti. Se gli altri sapranno fare di meglio, e francamente mi sembra difficile poter fare peggio, il gap di comunicazione tra EA e gli altri competitor si farà importante, e l’unica speranza per il publisher americano è quella di affidarsi completamente ai suoi giochi e alla capacità dei diversi team di sviluppo (vedi, sempre, Hazelight) di raccontarsi, perché altrimenti EA Play, come evento simbolico, dopo appena due anni può essere già ampiamente messo in discussione.

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