Durante quest’ultimo weekend, nel cuore del Vodafone Village milanese sono andate in scena le finali invernali della ESL Vodafone Championship. Mentre sul palco del Theatre gli atleti si contendevano il premio in palio, l’accesso all’arena era monopolizzato da un angolo di prova non meno competitivo: quattro postazioni munite di sedile, volante e pedaliera per provare con mano le sbandate controllate – non troppo nel nostro caso – di DiRT Rally 2.0.
FRENA… FRENA!
Invitati da Koch Media, abbiamo dunque preso posto nell’abitacolo e ci siamo lanciati in un paio d’ore a bordo di una mitologica Golf GTI, non prive di incidenti e testacoda, ci tocca ammetterlo. Fin dalle primissime curve, dunque, è emersa tosta e prepotente la sensazione che il secondo capitolo del titolo rallistico di Codemaster non abbia alcuna intenzione di abbandonare l’impostazione fortemente simulativa che ne ha caratterizzato l’esordio, suscitando altissimi livelli di apprezzamento nei giocatori più esperti. Il rovescio della medaglia è il muro di difficoltà contro cui finiranno inesorabilmente per schiantarsi, metafora scelta non certo per caso, tutti gli altri potenziali piloti virtuali che decideranno di approcciarsi al secondo capitolo di DiRT Rally senza alcuna esperienza pregressa. Inutile indorare la pillola: il gioco è tosto e, senza i km necessari sul curriculum, anche solo tenere la macchina in strada alla prima curva può rivelarsi un’impresa. C’è tuttavia un fascino quasi magnetico che trasuda dalle lamiere ammaccate di un’auto sportiva vittima dell’imperizia del suo pilota, soprattutto quando nella postazione affianco la sua gemella scivola come un coltello nel burro caldo tra tornanti e curvoni che si affacciano sull’abisso, grazie alle mani salde e ai nervi d’acciaio di chi impugna il volante. Non c’è ingiustizia dietro la simulazione selettiva di DiRT Rally 2.0, ma una spinta all’auto-miglioramento.
il gioco è tosto e, senza i km necessari sul curriculum, anche solo tenere la macchina in strada alla prima curva può rivelarsi un’impresa
DON’T CRY FOR ME, NEW ZEALAND
A un paio di mesi dalla release ufficiale, prevista per il 26 febbraio, DiRT Rally 2.0 si è già mostrato sorprendentemente stabile, benché il suo motore sia stato sottoposto a una decisa opera di revisione. Va detto che i contenuti testabili tuttavia erano parecchio limitati e la richiesta di non avviare il tracciato ambientato in Argentina lascia supporre che quest’ultimo non fosse ancora rifinito come gli altri due disponibili. Buona parte del nostro test, durato circa due ore, si è svolto in Nuova Zelanda, su un lungo e tortuoso percorso sterrato, caratterizzato da ampi tratti di terreno distesi a ridosso di un costone di roccia e frequenti saliscendi. Tutti i segmenti disegnati sul fianco della montagna ci hanno dunque costretto a tenere traiettorie limpide, come suggerito anche con una certa veemenza dal nostro copilota, per evitare urti che generassero danni tali da condizionare il proseguimento della nostra gara. Inutile sottolineare come ogni avvertimento si sia rivelato vano e che il metallo della scocca della Golf si sia trovato più volte a misurare la sua durezza contro l’immobile pietra, eppure tutto ciò è servito a provare in prima persona l’influenza dei danni sulle performance, ben oltre la mera deformazione estetica, comunque notevole. Più che apprezzabile si è rivelato anche il contesto naturale in cui la gara era immersa, non certo il punto forte del motore, ma in ogni caso molto buono da un punto di vista estetico. Il secondo tracciato disponibile, invece, era un circuito di Rallycross in cui ci siamo trovati a competere con altre quattro vetture controllate dalla IA e dotate di una discreta aggressività, tale da regalare gare mai monotone o scontate.
Il secondo tracciato era un circuito di Rallycross in cui ci siamo trovati a competere con altre quattro vetture controllate dalla IA