Metro Exodus – Provato

Le generose porzioni di Metro Exodus che ho potuto provare la scorsa settimana, nella cornice di una bella location a Londra, si sono dimostrate molto vicine a quel che mi aspettavo. Il ché è un bene, considerate le alte aspettative che non ho mai fatto mistero di riporre sulla nuova creatura di 4A Games, ed è comunque un’indicazione importante per chi temeva una brusca virata della serie: i contesti ambientali di Metro Exodus sono davvero ampi, in gran parte liberi nell’esplorazione, ma non cedono a un criterio indiscriminatamente open world, mantenendo intarsi coreografati e un’attenzione al dettaglio che in alcuni casi ha rallentato il tentativo di vedere il più possibile – lungo i tre scenari proposti – complici i pregevoli dettagli che mi sono trovato ad ammirare per qualche minuto di più, con un sorriso compiaciuto che si allargava sulla faccia.

Il cuore della post-apocalisse batte forte, scandendo la grande atmosfera

Ciò non vuol dire che Metro Exodus sia privo di difetti, talvolta vistosi per caratteristiche vecchie e nuove, ma è una rassicurazione importante sulla qualità generale e sul modo di fruirla. Il cuore della post-apocalisse batte nello stesso modo, scandendo la grande atmosfera, costringendoci a procedere oculatamente, ma ci inonda con un’impressionante mole di caratteristiche in una sequela di scenari altrettanto generosi. È come se le buone pietanze di Metro 2033 e Metro Last Light fossero servite in un pranzo molto più ricco, proprio come le fantastiche repliche dell’equipaggiamento postatomico che occupavano i tavoli del locale londinese.

UN PO’ S.T.A.L.K.E.R., UN PO’ MAD MAX, UN PO’ FAR CRY, MA GENUINAMENTE METRO

La corposa prova ha coinvolti tre grossi livelli, capaci di esprimere compiutamente la notevole varietà di Metro Exodus con un tono ambientale sempre più desueto, almeno per gli standard della serie. Volga, già visto e giocato in altre occasioni, corrisponde a una grigia area rurale devastata dalle radiazioni e, come il nome suggerisce, interessata da larghi tratti fluviali zeppi di animali mutati sulle sponde e fra i malsani ristagni paludosi, perfetta per prendere confidenza con gli articolati meccanismi dell’equipaggiamento e il sistema di missioni principali e secondarie. La seconda mappa, Caspian, è invece la protagonista delle sequenze nella videoanteprima, una gigantesca landa desertica che non può non evocare memorie dalle ambientazioni di Mad Max; lo scenario mette a disposizione diversi mezzi – anche se ho potuto provarne solo uno, un placido furgone – e rende ancora più cruciale un uso adeguato degli strumenti a nostra disposizione, con spaziosi orizzonti particolarmente adatti a ottiche e armi sulla distanza, magari caricate con munizioni di liquido infiammabile.

Metro Exodus non presenta alcuna icona d’obiettivo a sporcare la visuale in prima persona, ed è anzi necessario ricorrere alla mappa “a mano” per identificare la giusta direzione; è possibile smarcare luoghi d’interesse scrutando l’ambiente con il binocolo, mentre gli NPC più importanti introdurranno compiti primari e opzionali attraverso una scrupolosa e ben scritta descrizione narrativa. Più avanti sarà possibile potenziare la bussola, usandola per procedere verso gli obiettivi di missione, ma questo non riguarda le quest secondarie e, comunque, non viene espresso in una forma astrattamente ludica, bensì coinvolge ancora una volta un’animazione contestuale con l’osservazione di un apposito bracciale – sorta di Pip Boy in versione Metro – completo anche di orologio, indicatore di radiazioni e, laddove l’aria sia irrespirabile, del tempo ancora concesso dai filtri della maschera antigas.

Gli scenari sono davvero ampi, in gran parte liberi nell’esplorazione, ma non cedono a un criterio indiscriminatamente open world

In tutti i casi, compreso un meccanismo di crafting e modifica delle armi drasticamente ampliato, con zaino da appoggiare a terra per le creazioni, il tempo continua a scorrere durante qualsiasi operazione gestionale e spinge, così, a prepararsi all’azione esplorando container e rovine alla ricerca di materiali, per rimpolpare l’equipaggiamento con consumabili, armi, munizioni o mod, a fronte di strutture che sanno ripagare l’attività esplorativa con un level design mai lasciato al caso. Il sistema di controllo, da parte sua, segue la maggiore complessità attraverso l’ampliamento dei comandi: su console occorre premere i tasti dorsali insieme alla crocetta o ai quattro pulsanti principali per attivare due catene di azioni aggiuntive; con mouse e tastiera alla mano, dunque coi controlli che ho scelto di usare per gran parte della prova, effettuata su pompatissimi PC (4K, GeForce 2080Ti) e, secondariamente, su Xbox One, i comandi sono invece spalmati ordinatamente per le più comuni funzioni, mentre quelle avanzate sono accessibili con la prolungata pressione dei tasti (cambio filtri, dispositivo da polso e via così), talvolta insieme al click sinistro del topolino (ricarica della torcia o delle armi a meccanismo speciale).

Il tempo continua a scorrere durante la consultazione della mappa o l’impressionante gestione delle armi, lasciandoci in balia dei nemici

Letteralmente decine sono gli item da craftare, in alcuni casi disponibili al volo, in altri negli appositi banchi da lavoro; nonostante i soli tre slot a disposizione (due normali e uno per i gingilli “alternativi”), anche le armi sono interessate da un impressionante gamma di pezzi per tutte le componenti, dal calcio alla canna passando per ottiche, sistemi di raffreddamento e soppressori, in modo da adattarsi a ogni stile di gioco. Restano percorribili approcci diametralmente opposti agli obiettivi, ad armi spianate con la certezza di farsi scoprire da nutriti gruppi di banditi, membri di sette o animali mutati, oppure muovendosi silenziosamente e, magari, risparmiare la vita ai nemici, con i soliti, tenui effetti visivi che sembrano sottendere alla rete di finali tipica della serie, a seconda del nostro comportamento etico con uomini e creature. Tutto questo si unisce al nuovo ciclo giorno e notte, alla possibilità di dormire in alcuni luoghi e, così, di affrontare insidie differenti a seconda del momento, magari con anomalie e maggiore densità di animali nelle azioni notturne, o nemici umani più vigili durante le ore di luce.

PROMOSSI E RIMANDATI A FEBBRAIO

Proprio gli abbattimenti melee hanno sollevato qualche dubbio non tanto nelle IA, quanto nella facilità con cui talvolta è possibile portare a termine l’azione: in particolare nell’ultima mappa, Taiga, ambientata in una zona boscosa che ha ancora meno precedenti nella saga, la caduta in un corso d’acqua ci ha privato di zaino e armi costringendoci a batterci con una balestra ritrovata nell’ambientazione e, appunto, con scontri ravvicinati all’arma bianca, per affrontare i quali è semplicemente possibile correre verso un avversario, anche frontalmente, e premere uno dei due comandi (letale o meno, qui come per le azioni stealth) per metterlo immediatamente fuori combattimento. In casi del genere, però, va detto che la difficoltà della build era evidentemente settata su un livello non troppo impegnativo, cosa che ha senz’altro coinvolto le reazioni appena descritte insieme all’impatto delle armi, a confronto con un sistema dei danni che ha comunque dato prova, in linea con la tradizione della serie, di tenere in conto zone anatomiche colpite ed eventuali corazze in dotazione ai nemici.

Un altro appunto può riguardare il comparto animazioni, punto più debole di un impianto visivo peraltro eccellente per dettagli e complessità poligonale, specie se si considera la grandezza degli scenari: si tratta di un limite antico e non del tutto colmato dalla saga, nonostante abbia notato notevoli eccezioni sui visi di PNG o in talune azioni contestuali, laddove il bestiario, per ovvie ragioni, risente meno delle movenze innaturali ma va valutato con più calma nell’organizzazione di IA e pattern, non avendo avuto il tempo di verificare la presenza o meno di una vera “catena alimentare” fra gli animali, insieme ad altri dettagli di stalkeriana memoria.

Animazioni a parte, che non sono il punto forte della serie, siamo curiosi di valutare le IA a livelli superiori di difficoltà

L’impressione, tuttavia, è che il nuovo Metro abbia tenuto fede a molte delle sue lineari prerogative, collocandole in mezzo a un’esplorazione facoltativa dal taglio molto più libero: ciò significa che la natura dei precedenti episodi torna potente nelle location delle missioni principali, ad esempio all’interno di edifici, torri o gallerie nel sottosuolo, nell’apparizione di creature particolarmente pericolose o anche in tutti i dialoghi con i personaggi che hanno lo scopo di mandarci avanti nella trama, con il solito taglio preciso e cinematografico nel dipanare gli eventi. Persino alcune creature hanno una funzione puramente estetica, come gli animali alati che si poggiano su strutture e mezzi, ma anche questo concorre a un grado di dettaglio nella rappresentazione visiva che non ha alcun paragone nelle post-apocalissi videoludiche.

METRO LEGACY

Ho approfittato della prova per costringermi a finire nei giorni precedenti l’ultimo romanzo, Metro 2035, appena antecedente ai fatti di Exodus, che sostanzialmente spiega perché Artyom e la moglie Anna abbiamo deciso di esplorare il mondo esterno alla metropolitana, ben più denso di vita di quanto i sopravvissuti moscoviti supponessero. Qualsiasi dettaglio potrebbe equivalere a spoiler, avendo riconosciuto nel trailer di presentazione all’evento alcuni fatti del romanzo, e d’altronde io stesso aspetto di sapere come mai il gruppo di coraggiosi esploratori si è allargato dalla suddetta coppia a una vera e propria comunità, comprensiva del padre di Anna, il burbero Miller, diversamente da quanto accade negli ultimi capitoli del libro. D’altronde, così come Artyom e i Tetri hanno fatto parte solo marginalmente del narrato di Metro 2034, apparendo invece in Metro Last Light, anche in questo caso potrebbe trattarsi di una libera continuazione che riprende solo alcuni eventi e, soprattutto, potenzia gli aspetti più consoni a un videogioco, come la presenza di anomalie e mutanti.

Il racconto dei giochi, coadiuvato dallo stesso Glukhovsky, si è fatto nel tempo più interessante e a fuoco rispetto a gli stessi romanzi

Metro Exodus mi ha dato la stessa, ottima sensazione del precedente titolo di 4A, ovvero che il racconto dei giochi – coadiuvato dallo stesso Dmitry Glukhovsky – si sia fatto nel tempo più interessante e a fuoco dei romanzi, sempre più propensi a prendere e abbandonare personaggi (Hunter, Omero e Sasha, nell’approfondimento di 2034) e tematiche (gli esseri superiori chiamati Tetri, appunto, o anche il terribile virus della metropolitana) con una nonchalance finanche eccessiva. È pur vero, però, che complessivamente ricorderò Metro come l’unica serie moderna che, partendo da un’idea geniale, con i suoi on the road post-nucleari ha saputo trasportarmi per più di otto anni dentro e fuori videogiochi e opere letterarie. Non posso che ringraziarla per questo , sperando che Metro Exodus porti con sé il migliore epilogo possibile per entrambe le trilogie.

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