Siamo arrivati a un punto ben preciso in cui avere un soulslike di tutto rispetto è una delle priorità per alcuni publisher di punta, motivo per cui non di meno, Bandai Namco dopo mesi di silenzio e con una data non ancora definita (al di là dell’indicazione di uscita entro la fine del 2019), ci dà la possibilità di toccare con mano una prima versione di Code Vein.
L’action RPG, sviluppato dalle stessi menti di God Eater, prende in parte le caratteristiche di quest’ultima saga, fondendole con i fondamenti di genere dei Souls di casa FromSoftware. A pochi mesi dalla release, il risultato di questa anteprima è altalenante su diversi fronti.
APOCALISSE DI SANGUE
Rompiamo subito il ghiaccio: dopo un weekend passato sulla closed beta, Code Vein mi è sembrato un prodotto buono, pur con tutti i suoi difetti, nonostante le derivazioni di genere e l’ombra di una mole di contenuti studiata per sopprimere altre gravi mancanze di level design. Il mondo di gioco è oscuro e sul filo della post-apocalisse: una non precisata catastrofe ha distrutto la civiltà come la conosciamo e diffuso nell’aria una sostanza che ha trasformato tutte le persone in una sorta di vampiri assetati di sangue. Tra questi ci sono i Revenant, umani che riescono a tenere sotto controllo tale mutamento, voltandolo a loro vantaggio per diventare veri e propri cacciatori di sangue di cui dovranno farne un uso moderato e quotidiano per non trasformarsi in Perduti, smarrendo il lume della ragione e della razionalità. In questa storia così sfaccettata e ricca di dettagli, come prassi nelle opere orientali, si inserisce il nostro protagonista, guarda caso portatore di un particolare tipo di sangue diverso dagli altri, che potrebbe rivelarsi la chiave di volta per ribaltare il nuovo ordine che si è venuta a creare, dove tiranni vanno a caccia di gocce di sangue, uccidendo ogni cosa intralci il loro cammino.
la beta ci ha gettati subito nella prima missione di gioco, facendoci risvegliare senza memoria mentre veniamo catturati da razziatori di gocce di sangue
SANGUE E CLAUSTROFOBIA
Tutto il primo livello è una sequenza di corridoi ben delineati da seguire senza indugio. Questa parte iniziale risulta fin troppo angusta e claustrofobica, rendendo inutili gran parte delle meccaniche riguardo lo schivare i colpi o assestare i nostri fendenti dato lo scarso spazio dove muoversi. Quando poi ci ritroviamo in qualche macro area dove potersi muovere liberamente, saremo colpiti continuamente da nemici ben nascosti, elemento sorpresa che alla terza macro area viene già meno. Il level design inoltre è davvero poco ispirato, con shortcut che si palesano senza il minimo sforzo di ricerca o peggio, strade alternative che dovrebbero portare da qualche parte si rivelano essere vicoli ciechi senza nessun premio alla fine, se non qualche punto esperienza in più.
Il level design è davvero poco ispirato, con shortcut che si palesano senza il minimo sforzo di ricerca
CODICE SANGUIGNO
Quando a fine missione arriveremo finalmente nel quartier generale, scopriremo come la finalità di Code Vein non è tanto quella di offrire un titolo con un rinomata difficoltà da proporre al giocatore, e nemmeno impartire una condanna punitiva atta a portarci a ripercorrere più volte parti della mappa, ma semplicemente offrire una struttura di gioco ben orientata, con la presenza di dungeon, vendor e abilità da potenziare sempre più. Si ritorna nella mappa di gioco o ci si tuffa nei dungeon, notevolmente più difficili e bisognosi di arrivarci con un livello ben al di sopra della media di gioco, cambiando Codice, attingendo a Doni differenti per poter sbloccare ogni tipo di potenzialità nascosta e padroneggiare ogni tipo di alternativa. Alla fine della mia prova ero riuscito a sbloccare ben sette Codici, ognuno con Doni differenti e statistiche che cambiavano di conseguenza. Proprio in questo momento ho percepito una leggera e piacevole perversione, perché al netto del colpo d’occhio con una texture e modelli che di certo non sono al pari degli standard odierni, una totale mancanza di originalità o varietà nei nemici come nelle armi – tutti in linea con le classiche produzioni orientali vicine ai manga, basti guardare la cura impressionante nell’editor del nostro personaggio – forse è proprio questa struttura di gioco inedita che potrebbe rendere Code Vein un ibrido difficile da catalogare, ma sicuramente ottimizzato al meglio per quella che sembra essere una struttura con una notevole mole di contenuti, magari anche ripetuti più volte, che cambiano a seconda del nostro stile di gioco, approfondendo ogni tipo di Codice in nostro possesso.
Al netto di questa prova, sicuramente ricca, difettosa e ottimizzabile, ho voglia di addentrarmi ancor di più nel mondo di Code Vein