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Star Wars: Battlefront

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Star Wars: Battlefront - Rogue One: X-Wing VR Mission – Provato

È bene che voi sappiate che questa anteprima, in realtà, avrebbe dovuto chiamarsi “Star Wars: Battlefront – Rogue One: X-Wing VR Mission – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la demoist”, ma nonostante la comicità insita nel titolo spropositatamente lungo ho preferito non trollare il mondo e preservare la vostra pazienza, quella di Kikko e soprattutto buttare qualche carattere in più in questo articolo, che più che un’anteprima vera e propria è un racconto dell’avvenimento più bello della mia gamescom 2016, a dire il vero piuttosto scevra di emozioni sensazionali e di gioie tout court (sì, in queste settimane ho una vita particolarmente grama e sì, i miei compagni di viaggio si sono beccati tutte le cose più belle facendomi pesare l’anzianità… ma, ehi, che volete farci?).

ALL’IMPROVVISO UNO CONOSCIUTO

Tanto tempo fa, in una Colonia lontana lontana, arrivato al mio super-appuntamento con tutti gli avvenimenti Electronic Arts (già ampiamente coperti e sviscerati su queste pagine dai miei amabili colleghi) mi sono reso conto che dietro l’angolo dell’ingresso c’era uno stanzone un po’ nascosto in cui, teoricamente, era possibile provare la missione in realtà virtuale di Star Wars: Battlefront, proprio in questi giorni dichiarata ufficialmente come accompagnamento videoludico all’uscita invernale nelle sale di Rogue One, spin-off della saga cinematografica ambientato tra Episodio III (sì, a quanto pare hanno fatto Star Wars Episodio I, II e III) e Una Nuova Speranza.


la missione è pura ma bellissima formalità in primissima persona

Spinto dal mio amore per la saga e dalla gioia di poter entrare nell’abitacolo di un X-Wing, ho approcciato il buttafuori dello stanzone chiedendo di entrare allo slot successivo (sì, non sempre basta l’invito ufficiale ma bisogna mettersi in fila comunque) ma niente, non c’era posto fino al giorno successivo, e ovviamente non avrei potuto partecipare. Al che, come per magia, è arrivata in mio soccorso la principessa redazionale, Davidone Mancini, a sfoderare il suo charme e a convincere il teutonico che ero io il giornalista che stavano cercando, e che sarei dovuto entrare a vedere il gioco. Un gesto della mano e un ammiccamento dopo, grazie all’intercessione della Forza, in pochi istanti ero all’interno della stanzetta con un visore PS VR sugli occhi e un sorriso ebete stampato in faccia.

RED LEADER STANDING BY

E, beh, che dire della missione? Semplicemente, che si tratta di tutto quello che i fan hanno sempre desiderato e che probabilmente non avrebbero mai osato chiedere. Se già alla scorsa gamescom l’annuncio della modalità Fighter Squadron fece esplodere le sinapsi dei più, permettendoci finalmente di salire a bordo delle astronavi più belle della galassia per inscenare battaglie epiche all’ultimo laser, qui il salto di livello è davvero percepibile e genuinamente emozionante, manco fossimo dei bambini la mattina di Natale.

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La missione si focalizzava sull’emozione più che sull’innovazione del gameplay

Indossare il visore di PlayStation VR significa ritrovarsi dentro un candido hangar in cui un X-Wing a grandezza naturale, con tanto di unità R2 al seguito, aspetta solo noi per il decollo. Girare attorno al mezzo è sensazionale e permette di ammirare ogni piccolo dettaglio, ogni anfratto di uno scafo vissuto e usurato da mille battaglie. Mettere la testa nell’abitacolo, prima di sedersi al posto di comando, ti fa quasi sentire l’odore di macchina nuova, non fosse che la sensazione di tecnologia vissuta che ha reso immortali i primi Star Wars è preponderante e, almeno per il momento, Nosulus Rift è ancora una simpatica presa in giro.

Una volta decollato, la missione è pura ma bellissima formalità in primissima persona. Ritrovarsi a pigiare il tastino per spiegare le vele a X è godurioso quanto marginale, dal momento che l’azione prende subito il sopravvento: chiamati a scortare un cargo assaltato dai Tie Fighter dell’Impero, proprio come succede regolarmente nella modalità Fighter Squadron, risulta ancora più naturale del solito, così come rispondere al fuoco schivando i colpi avversari come fossimo zanzare il quindici di agosto, e portare al sicuro il prezioso carico. La missione è stata in realtà piuttosto breve e, per l’appunto, più che puntare sull’innovazione del gameplay si focalizzava sull’emozione, incredibile, di ritrovarsi al centro dell’azione e dello spazio in uno dei mezzi più fighi di sempre, parlando più al cuore che alla ragione degli aridi giornalisti imbruttiti da una settimana di crauti e birrette. E per fortuna, aggiungerei.

I LOVE YOU/I KNOW

Tolto il casco (e aperta la testa) ho recuperato il buon Mancini, che nel frattempo era nello spazio a fianco a provare anche lui la missione, e ho potuto chiacchierare con la demoist che l’ha accolto alla dimostrazione. La ragazza, che in realtà faceva parte del team di sviluppo in qualità di artista, si è rivelata l’autrice dei due sfondi che, fino a pochi istanti prima, avevo a pochi millimetri dalle retine, oltre a diversi dettagli ricreati fedelmente sulle astronavi che animavano un simpatico stacchetto pre-sparatoria spaziale, puramente propedeutico all’immersione spaziale.

la demoist faceva parte del team di sviluppo in qualità di artista

Una chiacchierata quasi cuore a cuore, in cui abbiamo parlato di quanto fossero belle la ruggine e la sporcizia che rendevano unico l’universo di Star Wars, prima che arrivassero l’orrenda pulizia e le aberranti superfici lucide della trilogia dei prequel.

Il diavolo sta nei dettagli, come si suole dire, e il fatto che io e molti altri amiamo queste piccole cose, fondamentali nel ricreare l’atmosfera generale anche più del gioco stesso, ha rallegrato molto la bella artista, su cui mi illudo di aver fatto colpo anche grazie a un (meritatissimo) award come best of gamescom 2016, che campeggerà all’ingresso dello stanzone da qui alla fine della kermesse tedesca. Realisticamente, tuttavia, so che sia io che lei prenderemo armi e bagagli il dì di sabato e torneremo tutti a casa, più felici di essere stati a Colonia, grazie al potere della Forza. O alla forza dell’amore per la Forza. Insomma, viva la Forza (che dio la benedorza)!

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