Venerdì mattina, dopo alcune ore di sonno e altrettante di treno, a pochi passi da Piccadilly Circus, nella sede britannica di Bethesda si è aperto un varco temporale che mi ha permesso di calpestare, per la prima volta, il suolo di Karnaca, città in cui si svolgono le vicende di Dishonored 2, di cui vi ho ampiamente parlato in occasione di E3 e gamescom, oltre che sul numero 335 della vostra rivista preferita. Sapete, dunque, che il nuovo capitolo della saga di Arkane Studios è uno dei giochi più attesi dall’intera redazione, e gran parte delle cose viste durante l’estate ci hanno convinti ad aspettare con ansia le nuove avventure di Corvo Attano ed Emily Kaldwin. La prima prova gamepad alla mano, però, è quella che spesso ti fa capire quale possa essere il potenziale vero di un prodotto, al netto del marketing e dell’hype, e per fortuna in quel di Londra, a traghettarci verso Karnaca, c’erano entrambi i personaggi giocabili.
WELCOME TO KARNACA
La protagonista, neanche troppo silenziosa, del primo capitolo era la splendida città di Dunwall e, data la natura del gioco, si presuppone che Karnaca ne erediti il ruolo di matrice di possibilità e collimatore di fascino.
Dishonored 2 offre un maggior equilibrio tra lo stealth e il combattimento
Battute a parte, il biglietto da visita di Dishonored 2, in termini di level design, è una chiara ammissione di consapevolezza: Arkane Studios è partita da quello che funzionava nel primo episodio e l’ha reso più complesso, più grande, più elaborato. Villa Meccania è un saggio abbastanza plateale, barocco e volutamente stravagante, dei punti di forza di una serie che non si presenta affatto snaturata, ma ben decisa a esplorare tutte le possibili varianti di un sistema che ha funzionato a dovere per il primo episodio. Il punto centrale dell’architettura della villa, così come dell’intera città, si conferma essere la verticalità, visto che per superare ogni ostacolo c’è praticamente sempre una via che contempla lo spostarsi di livello: non solo scale, ascensori e condotti dell’aria, ma anche vetrate da rompere, salti nel vuoto e passaggi poco ortodossi.
Il dettaglio delle ambientazioni è sopraffino, e il Void Engine, che ha preso il posto di Unreal Engine 3, è evidentemente pensato per restituire nella maniera più autentica possibile strutture architettoniche complesse, superfici e giunture meccaniche. È nella cura degli ambienti e nella loro rifinitura che Dishonored 2 stacca abbastanza il predecessore, mentre al di là di animazioni e texture tutto sommato migliori, i modelli degli esseri umani sembrano ancora legati a una generazione grafica di mezzo. Poco male, perché in realtà l’approssimazione pittorica e grottesca è una cifra stilistica importante per la saga e, nel complesso, Dishonored 2, seppur orfano di Viktor Antonov, è comunque un gioco estremamente affascinante e gradevole alla vista. Due le note stonate dal punto di vista tecnico della prova: un frame rate a tratti ballerino e la necessità di giocare con il pad, nonostante la prova fosse su PC.
LA VIA VECCHIA E LA VIA NUOVA
Ho avuto modo di giocare la missione sia con Emily che con Corvo: nel primo caso ho optato per la giovane ex imperatrice, in modo da godermi tutte le novità in maniera più sorprendente. Essendo la quarta missione, a mia disposizione c’erano già diversi poteri, tutti nella rosa di quelli già visti durante le fiere: Domino, che permette di selezionare una serie di bersagli e ripercuote gli effetti di tutto ciò che facciamo al primo sugli altri, Far Reach, una sorta di rampino energetico che ci trascina verso una superficie (e che non rende invisibili come il Blink di Corvo), e lo spettacolare Shadow Walk, che trasforma la giovane donna in una creatura d’ombra che può passare agilmente inosservata (o diventare una bestia letale).
Il punto centrale dell’architettura degli interni, così come dell’intera città, si conferma essere la verticalità
Interessante anche l’albero di sviluppo delle abilità, che configurano in modo più o meno stealth o violento il loro funzionamento: Shadow Walk, che normalmente si interrompe dopo la prima uccisione, può essere potenziato per estendere il numero di vittime prima che svanisca l’effetto, mentre Far Reach può diventare un efficacissimo strumento per sbaragliare i nemici lanciandoli per aria. Il sistema di upgrade è simile, in termini di logica, a quello dello scorso Dishonored, ma la diramazione di ogni abilità in tre diverse strade aggiunge un po’ di strategia allo sviluppo dei personaggi. In termini di stile, per quanto dai video Emily sembri decisamente e spropositatamente potente, in realtà si tratta solo di un’impressione data dalla spettacolarità dei doni che le ha riservato l’Esterno. Se dovessi descrivere la differenza tra i due, definirei Emily meno fisica e Corvo più pratico (non si tratta, dunque, di una banale scelta stealth/violenza). Entrambi possono essere sviluppati a piacimento e si possono ottenere risultati simili con poteri diversi, e soprattutto non c’è limite alla creatività nell’uso delle abilità.
Detto ciò, anche la gamma delle sfumature di possibilità in termini di combattimento e relativo “caos” generato è apparsa ben più ampia: ci sono alcune uccisioni (come quella di Jindosh) che impattano molto meno di altre sulla nostra reputazione, così come è ben più facile smacchiarla attraverso una condotta “sana” e liberando la città dalle manifestazioni del caos (apparentemente rappresentate da fastidiose zanzare e dai loro nidi). In generale, quello che peserà sull’esito della vicenda sarà il nostro livello di interazione con i civili, ma per un quadro generale dei rapporti tra personaggi, Esterno e ambientazione dobbiamo aspettare necessariamente di conoscere più dettagli sulla storia.
Tornando alla prova vera e propria, passando a Corvo mi è sembrato palese che Arkane Studios abbia elaborato le differenze tra i due personaggi in base agli stili di gioco più o meno utilizzati dai giocatori del primo titolo: chi utilizzerà il protettore dell’Impero si troverà in mano lo stesso personaggio che ha potuto apprezzare nel primo capitolo, con qualche novità nelle sfumature dei suoi poteri data dal nuovo skill tree, ma senza apparenti stravolgimenti in termini di condotta di gioco. Il Blink resta uno dei poteri più potenti, mentre il Bend Time, ovvero l’attivazione dell’effetto ralenti, è vitale per chi decide di combattere, soprattutto nella versione in cui otteniamo, di riflesso, un boost alla nostra velocità.
in termini di level design, Arkane Studios è partita da quello che funzionava e l’ha reso più complesso, più grande, più elaborato
Proprio in merito ai momenti in cui, volendo, è possibile sfoderare la spada, Dishonored si conferma un gioco dalle battaglie coreografiche e dagli ottimi colpi di classe: i veri nemici di Villa Meccania sono i Clockwork Soldier, ideati dalla geniale follia di Jindosh per tutelare la sua preziosa dimora. Ecco, fronteggiare i colossi meccanici è estremamente divertente e regala la cifra della varietà di gioco di Dishonored 2: si può optare per un approccio stealth e distruggerli, ma grazie a dei particolari kit è possibile invertirne i circuiti e utilizzarli come comodissimi scagnozzi, mentre se si sceglie di affrontarli a lama sguainata ci si può focalizzare sulla testa e rimuovere il loro sensore di vista, cosicché i costrutti faranno affidamento soltanto all’udito; a quel punto, muovendosi silenziosamente, ce la possiamo svignare, o magari lasciare una mina meccanica semovente per distruggerli definitivamente.
Rispetto al passato, la sensazione che mi ha lasciato Dishonored 2 è quella di offrire un maggior equilibrio tra lo stealth e il combattimento, almeno dal punto di vista della quantità di opzioni. In termini di qualità delle opportunità ed efficacia degli approcci, invece, mi è difficile dare un giudizio: per questioni di tempo, e per permetterci di sperimentare, l’AI dei nemici durante la prova era impostata su livelli molto bassi, per cui ben presto il tutto si è trasformato in un Luna Park di sadismo e showcase dei poteri.
L’elemento più prezioso del test, a conti fatti, è stato il rapido confronto con gli altri colleghi e con gli sviluppatori: nonostante l’area di gioco fosse relativamente piccola, gli approcci utilizzati sono stati decisamente vari e altrettante le finezze che ci siamo persi, dimostrateci impietosamente da uno dei dev. Per esempio, sarebbe stato possibile entrare nella magione senza allertare il proprietario, così come disabilitare praticamente tutti i meccanismi di difesa semplicemente sgattaiolando tra gli ingranaggi in funzione. Il dedalo di piattaforme, pareti a scomparsa e passaggi segreti di Villa Meccania offre una quantità di opportunità di gioco davvero sorprendenti e, se tanto mi dà tanto, non penso che Arkane Studios si sia giocata il livello più spettacolare del titolo come test.
Il vero banco di prova sarà come questa costante sensazione di senso ottuso e potenziale discrezionale a disposizione del giocatore verrà orchestrata e armonizzata nel computo totale della vicenda. Il principale rischio di Dishonored 2 è legato al fatto che il precedente spiazzò tutti grazie all’effetto sorpresa dato da art direction e gameplay di qualità. Questa volta il primo dovrà essere compensato dal lavoro di scrittura, ma in termini di solidità e varietà di gioco possiamo stare sereni, dato che ci troviamo davanti a una versione ancora più raffinata del primo episodio, che non è esattamente un cattivo punto di partenza.