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The Evil Within 2

PC PS4 Xbox One

The Evil Within 2 - Provato

All’evento londinese della scorsa settimana, vero e proprio showcase dei titoli di Bethesda per i prossimi mesi, non poteva mancare una nuova e più approfondita prova di The Evil Within 2, pronto ad accogliermi in versione PC. In particolare, l’opportunità di spingersi ancora più avanti è stata data solo ai reduci della demo gamescom, con un’ora di gamplay su uno dei capitoli più rappresentativi (il quinto, per la precisione) per i “nemici maggiori” presenti nel gioco, quelli da affrontare tra un’imprecazione e l’altra, fino a un catartico sospiro di sollievo. Veri e propri boss, nella fattispecie, per i quali non ho voluto abbassare il livello di difficoltà fin alla fine della prova, per quanto mi fosse consigliato per questioni di tempo; l’atto di incosciente coraggio è stato premiato dagli sviluppatori con una mezz’ora di gameplay aggiuntiva, giusto per riuscire ad avere ragione dell’ultimo mostro in modalità Survival, quella su cui la vera anima del gioco è stata costruita. Credo di avergli fatto tanta tenerezza (non ne dubito, ndKikko).

CUMULO DI MORTI (LE MIE) NELLA VILLA MALEDETTA

Il contesto era ancora quello illusorio ma pericolosissimo dello STEM, il macchinario “virtual-orrorifico” costruito dall’organizzazione Mobius per accedere a memorie umane singole e collettive, in cui l’investigatore Sebastian Castellanos sta disperatamente cercando di ritrovare la figlia; in particolare, sono emerso da uno degli spazi che fanno da collegamento alle varie aree di gioco, dopo aver fatto incetta di tutti i punti potenziamento che il prototipo concedeva, in vista del pesante scoglio subito dietro l’angolo.

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Ho provato The Evil Within 2 nella versione PC

Ho così visitato la “dolce” infermierina con l’altrettanto invitante sedia delle torture, rinforzandomi su diverse caratteristiche per poi riemergere di fronte al giardino di una grande villa, ai cui cancelli una sequenza mi ha informato dell’incombenza del boss. Non è stato per nulla facile: l’informe creatura era estremamente veloce e i suoi colpi pericolosamente ampi, capaci di spazzare via quasi interamente la barra della salute, con l’assoluta necessità di prendere confidenza con lo scenario, i vari impedimenti per rallentare l’incedere della creatura e rinvenire le opportunità per averne finalmente ragione. Niente di nuovissimo, intendiamoci: si trattava di pozze di liquido infiammabile, cariche speciali per avvolgere l’aberrazione in bolle al rallentatore e qualche riserva di munizioni più potenti (i dardi esplosivi per la balestra), posti in uno spazio recintato ai margini del cortile (anche questo con un piccolo valore strategico); in tutti i casi, però, l’avversario andava ucciso in una perenne condizione di fuga, correndo come matti solo per voltarsi nei momenti opportuni e consumare le riserve di munizioni fin quasi all’ultima pallottola, comprese quelle costruite con il sistema di crafting nella ruota di armi, munizioni e intrugli vari, accessibile in qualsiasi momento.

Dopo una serie di infernali girotondi la creatura è finalmente caduta in un urlo straziante, consentendomi di proseguire all’interno della struttura. Qui ho trovato una porzione relativamente simile a quanto visto in uno dei capitoli visti a Colonia, un susseguirsi di ambienti destinati a mutare nello stile allucinatorio di Outlast II o, ancor meglio, di Layers of Fear, tra stanze e corridoi più o meno sontuosi, intervallati da piccoli puzzle ambientali. Almeno uno di questi mi ha ben impressionato per fattura e impatto visivo: in generale, al di fuori di questi momenti, la vera sfida al giocatore risiede negli elementi classici dei survival horror di Shinji Mikami (qui solo produttore esecutivo, pur se supervisore del progetto), dunque nella scarsità delle risorse accoppiata alla forza dei nemici, con l’aggiunta, qui, dell’evidente invito allo stealth di alcune sezioni; l’atmosfera, tuttavia, beneficia parecchio dei passaggi come quello necessario a risolvere un enigma, in una specie di paradosso fotografico da rimettere insieme con oggetti, piccole viazioni e tanta goduria visiva.

la vera sfida al giocatore risiede negli elementi classici dei survival horror di Shinji Mikami

Il percorso si è concluso con un nuovo servo del male asserragliato nel buio, dalle forme vicine – come tante altre cose di The Evil Within 2 – al linguaggio estetico dei migliori Silent Hill. Se fossi stato a casa mia avrei seriamente rischiato di lanciare il gamepad, gesto con cui tante volte ne ho verificato l’incredibile robustezza: la creatura era capace di muoversi a terra come sul soffitto, talvolta nascondendosi per poi tornare implacabilmente all’assalto, e solo centrarla in un punto preciso, senza sprecare colpi, consentiva disattivare un timer fino alla fine della sequenza, come unico modo per uscirne. Il contesto era coerente al villain cui stavo dando la caccia, l’esteta fotografico Stefano Valentini, ed è proprio il riuscito mood visivo ad aver tenuto banco per buona parte della prova, insieme a un livello di difficoltà elevato e intrigante da perseguire, senza eccessi di frustrazione ma con la giusta caparbietà. Credo che il resto, a questo punto, lo scopriremo il prossimo 13 ottobre.

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