Bloodstained: Ritual of the Night - Recensione PS4

PC PS4 Switch Xbox One

C’è un motivo per cui Symphony of the Night inizia esattamente dove finisce lo stupefacente Chi no Rondo per PC Engine, e non è certo da ricercarsi nelle gustosa citazione alle battute iniziali di Wonderboy III: The Dragon’s Trap. No, il comune denominatore tra le due opere va inquadrato nella persona di Toru Hagihara, director di entrambi i titoli e vero e proprio ponte vivente tra le due declinazioni di Castlevania, quella puramente arcade e l’altra, influenzata dal Metroid di Yokoi e compagni. In tutto questo, Koji Igarashi ricopre il ruolo di assistente durante la creazione dell’avventura di Alucard, ma non è affatto un demerito: lavora alacremente come programmatore, consulente e partecipa attivamente alla creazione della trama, arrivando dunque a plasmare più di chiunque altro la convincente sekaikan di un titolo tanto influente. È quasi paradossale, ma c’è stato un tempo in cui quasi non ne potevamo più dei seguiti spirituali di Castlevania sulle console portatili Nintendo.

Oggi, invece, in molti ne rimpiangiamo il ricordo: i giochi a libera progressione controllata sono stati declinati in decine di forme, eppure in molti venderebbero la propria giugulare al primo vampiro di passaggio per scoperchiare una capsula temporale capace di riportarli alle origini. Perché è un po’ come i film con gli zombi: puoi metterci dentro non morti centometristi e mille diavolerie simili, ma il romeriano della prima ora farà sempre e comunque carte false pur di avere un bel centro commerciale!

I AM THE WIND

Ora sostituite il Monroeville Mall che la precedente affermazione ha dipinto nella vostra mente con un enorme castello immerso in un’atmosfera gotica, ricco di stanze e nemici da conquistare, guadagnando livelli, armi e magie impersonando un personaggio pronto a saltare su un’infinità di piattaforme pur di raggiungere la sua nemesi. Niente luchadores variopinti o archeologi che scimmiottano l’era d’oro del software su MSX, bensì un viaggio a ritroso verso le radici oscure del genere. Io lo volevo da anni, un ritorno simile, così come lo ha desiderato Igarashi, seduto sul suo trono dopo l’addio a Konami, interrogandosi se del fiero spirito appartenuto ai suoi vecchi datori di lavoro non fosse rimasto oggigiorno altro che un miserabile mucchietto di sfere del pachinko, tanto per andarci forte con le citazioni.

è piacevole muovere i primi passi nei panni della bella Miriam ascoltando le note di Voyage of Promise

Iga ha dunque dato forma alle richieste e ai soldi di quelle anime assetate di sangue digitale che lo hanno finanziato su Kickstarter, creando un’avventura il più aderente possibile alla sua passata produzione, un moderno “Igavania”, ovviamente privo di quella licenza lì. In quest’ottica, Bloodstained: Ritual of the Night fa centro, porgendo a fan e backer esattamente quello che gli è stato promesso, ovvero un’esperienza a metà strada tra Symphony of the Night e Dawn of Sorrow ricca di tutti gli elementi tipici della passata produzione di Igarashi. È un prodotto realizzato da un team decisamente talentuoso in quello che fa: ci si sente a casa ed è davvero bello vedere i numerini innalzarsi ad ogni colpo sferrato, esaltandosi per il danno che aumenta ad ogni livello guadagnato o in seguito al reperimento di qualche esotica arma dal nome strano. Allo stesso modo, è piacevole muovere i primi passi nei panni della bella Miriam ascoltando le note di Voyage of Promise, ovvero la traccia iniziale di una nuova, splendida colonna sonora realizzata dalla veterana Michiru Yamane, capace di riportarci indietro ad altri tempi e manieri con il suo inconfondibile stile. È un gioco onesto, Bloodstained: Ritual of the Night, perché mantiene promesse espresse in fase di crowdfunding, non ultima quella riguardante un obbligatorio castello demoniaco (Akumajou, appunto) davvero grosso da esplorare, ricco di ambientazioni affascinanti e un bestiario caratterizzato da un discreta dose d’inventiva, macabro ma con piacevoli attimi d’umorismo come l’ormai celebre micio satanico extralarge. Torneremo a parlare più avanti, però; per adesso mi preme sottolineare come Bloodstained: Ritual of the Night sia anche un gioco traboccante di contenuti, uno con cui i completisti si troveranno a loro agio anche dopo aver conquistato il trofeo di platino tra oggetti da raccogliere, missioni secondarie, cibi da cucinare e centinaia di anime cristallizzate che aspettano di essere assimilati trafiggendo il cuore di Miriam, donna d’azione risoluta e ben disposta a padroneggiare le abilità dei demoni più feroci pur di scoprire se dietro la maschera indossata dall’ex compagno Gebel resti un briciolo di umanità.
Bloodstained Recensione PS4

Miriam può equipaggiare fino a cinque diversi tipi di anime allo stesso tempo

È tutto molto semplice: Miriam può equipaggiare fino a cinque diversi tipi di anime allo stesso tempo, dotandosi dunque di svariate tipologie di incantesimi e abilità, dalla difesa all’attacco direzionabile tramite l’analogico, passando per i classici buff e l’evocazione di famiglia. L’alchimia permette di potenziare queste magie nell’aspetto e nell’efficacia, ma ovviamente la dama sa farsi valere anche con una vasta gamma di armi, da padroneggiare attraverso l’uso continuativo di tutte quelle movenze che oramai dovreste conoscere a menadito dopo anni di giochi di combattimento. Mi spiego un attimo meglio con un esempio: all’inizio dell’avventura metterete le mani su un paio di scarpe da kung fu, che permetteranno a Miriam di sfoggiare rapidi attacchi sfruttando le sue lunghe gambe. Con questo strumento – e inizialmente solo con questo – potrete scatenare una combo di tre calci con una serie di input in stile rekka; padroneggiate la tecnica uccidendo un numero adeguato di nemici vi sarà possibile usarla con tutte le armi dello stesso tipo. Allo stesso modo, presto conquisterete un altro tipo di stivale (assai più figo in virtù della lama retrattile posta sulla punta, va detto!) con cui esibirvi in un rapido attacco in picchiata: fate vostro anche questo e lo vedrete aggiunto all’arsenale di tutte le scarpe da combattimento che calzerete, assieme al precedente. È un sistema interessante che permette di valorizzare con la dovuta pazienza ogni tipo di arma, ma ovviamente nulla vi vieta di imbracciare di volta in volta quella che fa più male per marciare sfrontati verso il boss di turno. Bloodstained: Ritual of the Night si presta ad essere giocato con il vostro personalissimo ritmo, forte di tre livelli di difficoltà e un New Game+ con cui continuare a far baldoria nel castello di Gebel anche dopo i titoli di coda, che richiedono bene o male una quindicina di ore al livello di difficoltà base per essere raggiunti reclamando il finale migliore.

I AM THE SUN

Una cosa che però non riesco a farmi piace di Bloodstained: Ritual of the Night è la direzione artistica, che non ho difficoltà nel definire schizofrenica. Miriam è bellissima, un personaggio realizzato con convinzione e adeguato sforzo creativo, credibile nelle movenze e fluido da controllare, personalizzabile peraltro nelle fattezze dopo aver incontrato un determinato NPC. Il suo aspetto riflette anche parte (il corsetto è sempre quello anche quando indossa un’armatura a piastre, a parte rarissime eccezioni) degli oggetti equipaggiati che, per la cronaca, comprendono un buon numero di citazioni più o meno subdole come nel caso di una familiare maschera sacrificale in pietra, l’ideale quando hai in programma la resa di conti con Jonathan Joestar ma proprio non ce la fai a staccarti da Bloodstained: Ritual of the Night.

Il castello offre scorci innegabilmente convincenti e a tratti anche malinconicamente evocativi

Il resto della grafica non gode sfortunatamente della stessa caratterizzazione, a partire dal design e dalle animazioni legnosissime dei comprimari come l’ex alchimista Johannes. Il castello offre scorci innegabilmente convincenti e a tratti anche malinconicamente evocativi, tuttavia è lapalissiano constatare come certe aree godano di una minore cura nei dettagli, vedi la foresta avvolta dalla nebbia del Nintendo 64 che si staglia sullo sfondo della torre à la Nebulus, uno di quei livelli in cui il motore grafico mostra qualche problema di troppo, scendendo vistosamente dal piedistallo dei 60 fps. Anche il bestiario mostra il fianco a qualche critica, in parte dovuto a un riciclo di idee tutto sommato comprensibile, visto che Iga si è trovato nella scomoda posizione di immaginare da zero centinaia di avversari privo della figura del vampiro per antonomasia e di tutti quei nemici usati e riproposti fino allo sfinimento in epoca Konami, ché ridendo e scherzando le Medusa Head rovinano i nostri salti zigzagando sin dal 1986. Però anche qui ci sono luci e ombre, con elementi fuori luogo spesso dovuti ai “favori” dovuti ai backer, come il già citato micio demoniaco o i loro ritratti, presenti in quantità industriale, mentre molti boss non convincono affatto: carino quello sfuggito al casting di Piramide di Paura formato dai frammenti di una vetrata, ma il… coso che elargisce il doppio salto non ho ancora capito cosa diavolo sia. Siamo lontani anni luce dal memorabile duello con la Morte sull’albero maestro della nave fantasma in Chi no Rondo, insomma, mentre la sensazione che il tutto sarebbe potuto essere assai meglio in salsa bidimensionale aleggia dall’inizio alla fine. Senza ricorrere per forza ai bitmap e al mostruoso lavoro che una simile scelta avrebbe caricato sulle spalle di un team piccolo come ArtPlay, visto che Arc System Works ha dimostrato ampiamente come l’uso oculato di tavolozza e poligoni possa creare spettacoli visivi tranquillamente paragonabili ai più bei classici del passato. Di certo Igarashi sa ascoltare i suoi fan, considerati i mutamenti che il gioco ha subito a livello cosmetico durante questi anni, quindi è lecito sperare che Bloodstained: Ritual of the Night sotto questo aspetto possa essere considerato un ottimo banco di prova in vista di un futuro più radioso.

AND ONE DAY, WE’LL ALL BE ONE

A Bloodstained: Ritual of the Night manca dunque quella mano di cera che trasforma un buon prodotto in uno impeccabile, ma va detto che l’amore infuso da ArtPlay nella sua creatura continua a manifestarsi anche dopo l’arrivo del gioco sugli scaffali. Al netto dei problemi della prima ora, le recenti patch hanno conferito al gioco una buona stabilità nelle versioni PS4 e Xbox One, mentre un robusto numero di aggiornamenti assolutamente gratuiti si adopereranno per fornire una buona dose di rigiocabilità extra all’avventura di Miriam. Ai tre livelli di difficoltà (inizialmente non selezionabili, se non attraverso un codice, come era abitudine ai vecchi tempi) già presenti e a modalità quali New Game + e Boss Rush si aggiungeranno in futuro due nuovi personaggi giocabili, assieme a varianti potenzialmente sfiziose come una misteriosa modalità roguelike e la possibilità di giocare in più persone online e in locale.

A Bloodstained: Ritual of the Night manca quella mano di cera che trasforma un buon prodotto in uno impeccabile

Complessivamente, però, Bloodstained: Ritual of the Night incarna la volontà di omaggiare e riproporre a una schiera di bramose creature della notte i tratti distintivi della passata produzione di un autore che ha contribuito attivamente a definire gli stilemi di un genere oggigiorno popolarissimo, riuscendo nella promessa laddove iniziative come Mighty No. 9 hanno clamorosamente fallito. Il tutto riportando in auge quel compulsivo fervore collezionistico che ti spinge a farmare eserciti di nemici andando a caccia di quell’elusivo frammento d’anima o dell’ultimo reagente con cui forgiare una nuova arma, divertendoti un mondo strada facendo. Nel nostro hobby, solitamente, questo basta e avanza.

Una promessa è una promessa, e non si può certo dire che Koji Igarashi non sia un uomo di parola: Bloodstained: Ritual of the Night rappresenta il ritorno del cosiddetto genere “Igavania” così come è stato presentato agli orfani di quella saga lì a base di succhiasangue e fruste, ad opera di un indiscusso maestro del genere e di un team capace. Non è perfetto, ma rappresenta un eccellente ritorno alle origini in equilibrio tra passato e presente, oltre a essere un titolo semplicemente difficile da mollare, una volta iniziato. Ben fatto.

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Pro

  • L’autentico ritorno del genere Igavania.
  • Colonna sonora “autentica”.
  • Vasto, e con tantissime cose da fare.

Contro

  • Direzione artistica rivedibile.
  • Per alcuni, l'estrema aderenza al passato potrebbe essere un punto a sfavore.
8.2

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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