Se mai vi foste chiesti com’è il processo che porta dalla concezione teorica di un videogioco fino al suo arrivo su scaffale, Playing Hard è il documentario che fa per voi. Sbarcato da poche settimane su Netflix, il progetto si concentra sul burrascoso lavoro che ha portato una sinergia di studi Ubisoft a sfornare For Honor, titolo ambiziosissimo che nel tempo è riuscito a ritagliarsi un’importante fetta di giocatori, nonostante le fasi di incertezza, tanto che ancora è ampiamente supportato con aggiornamenti basati sul feedback dello zoccolo duro dei fan più esigenti.
Il regista Jean-Simon Chartier ha seguito per più di tre anni il lavoro del direttore creativo del progetto, Jason VandenBerghe, dentro e fuori gli studi di Ubisoft, disegnandone una parabola sia umana che professionale. Dall’altra parte della barricata troviamo il producer, Stèphane Cardin, faro carismatico per il team, che ha schermato ogni tipo di stress pur di salvaguardare e mantenere un ambiente di lavoro più che ottimale, salvo poi concedersi weekend isolati da tutto e tutti implodendo in paesaggi innevati. Soprattutto, però, al centro si staglia un’idea che VandenBerghe coltiva fin da bambino, complice la passione sfrenata per il medioevo e le battaglie all’arma bianca, con gli occhi lucidi al solo pensiero di poter riversare il suo sogno in un progetto destinato a tutto il globo.
Occorre, però, anticipare uno snodo importantissimo che avverrà poco dopo la metà del documentario: qualcosa, nei rapporti interpersonali come nella tabella di marcia, inizia a inclinarsi. VandenBerghe viene sempre più isolato, si dedica solo ai dialoghi e alla scrittura degli eventi della modalità storia, mentre tutto il resto, comparto multiplayer in primis, subisce continue modifiche, con feature annunciate in pompa magna (tipo lo split screen per giocare in locale) successivamente cancellate per recuperare terreno sui tempi di sviluppo.
Questa rottura porta inevitabilmente allo scoperchiarsi del classico Vaso di Pandora intorno ai fattori autoriali e commerciali, evidenziando come per prodotti di queste dimensioni difficilmente si riesca a trovare una forma accettata e condivisa da entrambe le parti, in questo come in altri settori. Il progetto di For Honor non sembra più rispecchiarsi nel nuovo percorso e l’emotività di VandenBerghe, che prima lancia frecciatine alla festa di lancio del gioco, per poi piangere davanti la camera del regista, ne è l’esempio più plastico. Quello che lui considera suo figlio gli è stato strappato dalle mani, affidato a una compagnia che, ora, ne farà ciò che vuole. In questo senso, per quanto tendenzialmente i documentari dovrebbero in qualche modo offrire un quadro completo degli eventi più caratteristici, magari prendendo una posizione velata su una tale questione, Playing Hard non azzarda troppo nella direzione più critica.
Playing Hard cerca di indagare sul fragile equilibrio tra industria e firma autoriale dietro un progetto videoludico
Ubisoft ha dato il via libera per la visione globale di questo documentario, ma alla fine il regista Jean-Simon Chartier non sembra pendere da nessuna delle parti, fermandosi alla “semplice” documentazione degli eventi, ascoltando tutte le campane per poi comporre un mosaico che nella sua coerenza effettiva – magari illogica – possiede una forza concreta ineccepibile: For Honor è stato portato a conclusione, VandenBerghe ha lasciato Ubisoft in lacrime e Stèphan Cardin si concede la sua ennesima gita fuori porta, cosciente che con la chiusura del progetto a breve se ne paleserà un altro che richiederà forte e fredda determinazione.
Personalità e sentimenti contrastanti l’uno dinnanzi all’altro, la passione contro la scaletta produttiva; tutti hanno ragione e torto senza nessun vero vincitore. Se, quindi, come documentario il prodotto manca il bersaglio proprio nelle fasi finali, si può lodare l’approccio asettico di questo genere audiovisivo applicato al mondo dei videogiochi; nell’era di internet l’industry dimostra di avere tantissime storie da raccontare proprio sulle sue parabole produttive, motivo per cui siamo già in attesa di God of War: Raising Kratos, documentario su Cory Barlog e relativa lavorazione dell’ultimo capitolo del franchise di Santa Monica Studio.
VOTO 7
Genere: documentario
Publisher: Netflix
Regia: Jean-Simon Chartier
Colonna Sonora:
Interpreti: Jason VandenBerghe, Stèphane Cardin
Durata: 92 minuti