Prendete un regista “operaio”, una location naturale bellissima e affascinante, uno squalo che
Asylum avrebbe sicuramente realizzato meglio in CGI e
Blake Lively, attrice tutta curve e poca credibilità, e avrete
Paradise Beach. Il film è catalogabile come survival movie ma, dopo pochi minuti, vede il grado di intrattenimento discendere una scala che va da “finale dei mondiali di cricket India – Pakistan” a “riunione al centro anziani”, fermandosi su “partita a briscola con mia nonna”.
Jaume Collet-Serra è un regista che mi piace: lo considero “operaio”, quanto può essere “operaio” Ridley Scott; sono registi che lavorano bene se hanno una buona sceneggiatura tra le mani, male quando la sceneggiatura non è all’altezza. Paradise Beach rientra nel caso della sceneggiatura brutta.
Paradise Beach si trasforma da survival in un film di fantascienza
La logica di fondo dei survival movie è quella di togliere persone dal mondo civile relegandole in situazioni estreme. Nel caso particolare, la sfida è delle più primitive e significative:
l’uomo contro la natura, natura intesa come realtà che crediamo di avere sotto controllo, sbagliandoci clamorosamente.
Emblematica, a tal proposito, è la scena di Blake Lively spiaggiata su uno scoglio lontano dalla riva, come una sirena, in compagnia di un gabbiano (vero), in bilico tra la vita e la morte, che cerca disperatamente di ritornare sulla sabbia sana e salva, prima di diventare l’ennesimo potenziale pasto dello squalo.
Il problema del film di Collet-Serra è che “ruba”, in modo vergognoso, da tante, troppe pellicole, senza neanche avere il buon cuore di riorganizzare il girato per i propri scopi. Anche qui, taccuino alla mano, possiamo citare: Gravity, All is Lost, Cast Away, Buried, e potrei continuare. Paradise Beach attinge consapevolmente creandosi da solo una cornice da “film leggero per passare 85 minuti in spensieratezza”, eppure non riesce nemmeno in questo: da survival si trasforma in un film di fantascienza, con situazioni al limite dal paradossale. Tutto si potrebbe riassumere con semplice “sfortuna”, eppure mi sembra più che evidente la voglia di prendere in giro l’intelligenza dello spettatore.
Blake Lively, troppo bambolina, non riesce a rendere giustizia al film
La camera fissa sul seno e sulle cosce dell’attrice protagonista e i primi minuti pieni di stacchi di montaggio e musica pop ricordano uno spot generazione del miglior/peggior periodo di
MTV post morte di Kurt Cobain.
Blake Lively, inoltre,
non riesce a rendere giustizia ad un film che, per sua natura, dovrebbe trasmettere tensione: è troppo bella, troppo perfetta, troppo bambolina. La riuscita di film come
Alien, per esempio, non corre solo sul filo della paura, ma si avvale anche della performance di un’attrice del calibro di
Sigourney Weaver in grado di rendere credibile la sfida alla sopravvivenza. In
Paradise Beach, invece, tutto sembra una barzelletta. Ignobile anche il finale, chiaro plagio all’epilogo di
Gravity.
Paradise Beach, nonostante la natura innocente, risulta completamente disonesto con le idee del genere a cui vorrebbe appartenere.
VOTO 4.5
Genere: thriller
Publisher: Warner Bros.
Regia: Jaume Collet-Serra
Colonna Sonora: Marco Beltrami
Intepreti: Blake Lively, Brett Cullen, Óscar Jaenada, Sedona Legge
Durata: 87 minuti