Raccontare i supereroi sta cominciando a diventare difficile? Sì e no. Quel che è certo è che,
dopo l’ottimo Daredevil,
la formula “Netflix” applicata ai personaggi minori di Marvel sembra cominciare a mostrare i primi segni di stanchezza. O forse, più correttamente, di pigrizia produttiva. La formula di per sé potrebbe essere ancora valida, ma come tutte le buone idee non può reggersi su se stessa: c’è bisogno di risorse, di scintille, di attori validi e soprattutto di sceneggiatori con un po’ di voglia di lavorare.
Non basta prendere un genere cinematografico e ispirarcisi a ogni piè sospinto (la Blaxploitation, in questo caso), inondare di ocra ogni scena (Sorrentino? Sei tu?) per creare un contesto urbano torbido e malsano, o puntare solo sulla bravura degli artisti che interpretano la fantastica colonna sonora.
LUKE CAGE, CHI ERA COSTUI?
Il primo, grande problema di Luke Cage sta nella narrativa del supereroe che non sembra mai decidere da che parte andare.
dietro la corazza, Luke Cage si rivela debole e poco convincente
Luke vuole fare l’eroe oppure no? È dalla parte dei buoni oppure vuole solo starsene per conto proprio ed essere lasciato in pace? È davvero autore del suo destino, conscio dei suoi poteri e delle responsabilità che si portano appresso, o è un tizio che si fa manipolare dal primo che passa?
Non sto parlando di conflitti interiori o dilemmi morali di un personaggio che ne è consapevole e li affronta (e in questo senso
Daredevil fa un lavoro di gran lunga migliore),
ma di continui salti e cambiamenti di prospettiva da una puntata all’altra, e che rendono complicato capire cosa pensi, e cosa voglia davvero Cage nella vita. Un personaggio che, dietro la corazza che lo rende indistruttibile, si rivela non tanto fragile (che pure non sarebbe un male), quanto debole e poco convincente.
F4 – BASITO
Il secondo, grande problema di Luke Cage sta nella scrittura, che in molti casi rasenta il minimo sindacale, in tanti appare raffazzonata, e in diverse occasioni è proprio piena di errori marchiani, specialmente per quel che riguarda la parte “investigativa” della serie (SPOILER ALERT: più o meno a metà stagione Misty scopre che non è stato Luke Cage a uccidere un poliziotto, e lo fa con l’ausilio di un collega e di un software che identifica il volto del vero assassino. Nonostante questo, Cage rimane sempre ricercato da tutti come temutissimo “cop killer”, e nell’ultima puntata addirittura la stessa Misty gli chiede conto di quel delitto).
Il protagonista Mike Colter è azzeccato, e per la maggior parte del tempo è anche nella parte
Tolti lo stesso Cage e Misty, il resto dei personaggi oscilla tra lo stereotipo più becero e il prevedibile, quando non vira decisamente verso il deludente, e non è che puoi sempre nasconderti dietro il citazionismo di un certo modo di fare cinema negli anni Settanta. Il protagonista Mike Colter è azzeccato, funziona e per la maggior parte del tempo è anche nella parte (quando la sceneggiatura glielo consente, si capisce), così come la “spalla” Misty, l’affascinante Simone Missick. Il problema sono tutti gli altri,
a cominciare dall’infermiera dei supereroi Claire Temple, interpretata da una Rosario Dawson al limite dello sbadiglio in macchina. Il poliziotto corrotto lo sgami dopo venti secondi; il mentore di Luke, Pop, è così buono e immacolato da essere in odore di santità, e del resto ha un barattolo in cui pagare le multe quando si dicono le parolacce; il dottore che ha “creato” Luke è diventato ovviamente buonissimo, e nonostante abbia cessato ogni attività, nel fienile (nel fienile!) ha un laboratorio totalmente attrezzato in cui migliorare il suo stesso esperimento compiuto anni prima con macchinari costosissimi e super top-secret. Ma solo facendo cose assolutamente a casaccio, si intende, che funziona sempre.
F5 – FACCIA CATTIVA
Poi ci sono i cattivi. Si dice che un supereroe valga tanto quanto i suoi avversari, e forse c’è un motivo per cui Batman continua a piacere tanto. I villain di Luke Cage, invece, sono degli sfigati di proporzioni epocali.
I villain di Luke Cage sono degli sfigati di proporzioni epocali
Per buona misura, gli sceneggiatori ce ne hanno messi tre o quattro, ma non ce n’è uno solo che funzioni. Cornell “Cottonmouth” Stokes, il gangster che gestisce l’Harlem’s Paradise dove lavora lo stesso Luke Cage, è funestato dall’interpretazione di Mahershala Ali, che ho sempre considerato un attore assolutamente poco convincente e mai efficace, fin dai tempi dell’ormai dimenticato
4400, e che qui fatica davvero a rendere credibile il suo ruolo da kingpin (per dire, in
Daredevil c’è Vincent D’Onofrio). C’è Mariah Dillard, la cugina cattiva di Cottonmouth, la Frank Underwood di Harlem, interpretata da Alfre Woodard, sul cui talento recitativo avrebbe sicuramente qualcosa da dire il buon Renè Ferretti. C’è
Diamondback, il villain che incontriamo a metà stagione, e che per la prima parte della serie viene sempre e solo nominato con grande rispetto e timore, neanche fosse Keyser Söze, per cui ti aspetti non dico Morgan Freeman, ma almeno un Forest Whitaker, e invece
ti viene fuori un disperato che non ha niente del carisma che hanno cercato di venderti per sei puntate, dovrebbe essere un re della malavita ma gira sempre da solo, ed è sostanzialmente un imbecille.
Luke Cage non funziona, insomma. L’idea di fondo è sicuramente buona, e le prime due puntate, nonostante un ritmo abbastanza lento, hanno un non so che di affascinante che in qualche modo coinvolge. Il problema sono le undici che vengono dopo. Provaci ancora, Netflix.
VOTO 5.5
Genere: azione, crimine, drammatico
Publisher: Marvel Studios
Regia: vari
Colonna Sonora: Ali Shaheed Muhammad
Intepreti: Mike Colter, Simone Missick, Theo Rossi, Alfre Woodard, Rosario Dawson, Mahershala Ali, Frank Whaley, Erik LaRay Harvey
Durata: 55 minuti/episodio
Episodi: 13