Death Stranding 2: On the Beach – Recensione

PS5

Il viaggio di Sam si sposta dal territorio nordamericano al continente australiano, tra vecchie abitudini, nuovi incontri, momenti folli e panorami di rara bellezza virtuale.

Sviluppatore / Publisher: Kojima Productions / Sony Interactive Entertainment Prezzo: € 79,99 Localizzazione: Completa Multiplayer: Asincrono PEGI: 18+ Disponibile su: PlayStation 5 Data d’uscita: 26 giugno

Qualche giorno fa, in occasione della world premiere di Death Stranding 2: On The Beach, nel contesto della Summer Game Fest, Hideo Kojima si è lasciato andare a delle dichiarazioni, riportate poi dai portali di tutto il mondo. I virgolettati suonavano tipo “sono un po’ preoccupato che il gioco stia piacendo a tutti, perché le migliori opere, quelle che rimangono nella storia, sono quelle più controverse”. Mi viene difficile pensare che fosse realmente nelle sue intenzioni creare qualcosa di controverso, questa volta. Mi è parso, anzi, che il director sia voluto andare abbastanza sul sicuro, il che non è necessariamente un male, come vedremo.

death stranding 2

Lou è di una dolcezza infinita.

Death Stranding 2 è più un classico sequel “bigger, better” che un colpo di teatro in stile Kojima, ricalcando in un certo senso l’operazione che Nintendo ha fatto con Tears of the Kingdom post Breath of the Wild, riproponendo il concept originale in modo più curato, consapevole e ricco. Dell’effetto sconvolgente del primo Death Stranding, vero e proprio caso videoludico dal suo annuncio fino ad anni dopo la sua pubblicazione, capace di mettere in scena una personale e originalissima visione della science fiction, rimane un world building che fa da fondamenta per un secondo episodio d’approfondimento, che si pone l’obiettivo di osservare e interpretare gli eventi precedenti sotto un altro punto di vista.

Dell’effetto sconvolgente del primo Death Stranding rimane un world building che fa da fondamenta a un secondo episodio d’approfondimento

Scavando nel passato – e nella psiche – del suo protagonista e puntando tutto su un gameplay ancora più rifinito, vario, profondo, raccontando una storia più intima e circoscritta, avvolta da un rinnovato spettacolo visivo (sia paesaggistico che tecnico) e impreziosita da una deriva action che, personalmente, ho apprezzato parecchio.

“SEI L’UNICO CHE PUÒ FARLO, SAM”

Una delle frasi più ricorrenti, anche nel primo episodio, è anche quella che descrive perfettamente un mondo devastato in cerca di eroi, trovandolo in un lavoratore instancabile, timido, capace di caricarsi sulle spalle il destino dell’umanità sotto forma di beni materiali, con un senso del dovere che va oltre la propria forza. Sam Porter Bridges (Norman Reedus), dopo aver ri-connesso il Nord America, evitato il Last Stranding e salvato il suo BB, Lou, si ritrova a vivere una vita semplice, da padre single, ritirato al confine col Messico, fino a quando Fragile (Lea Seidoux), che ora ha fondato un’altra impresa di spedizioni, la Drawbridge, si presenterà alla sua porta. L’obiettivo è chiedergli di imbarcarsi nell’ennesima impresa: collegare il Messico alla Rete Chirale per conto dell’APAC, la società privata e totalmente automatizzata di consegne e comunicazioni (con una server farm collocata direttamente sulla Spiaggia) che ha rilevato il lavoro della Bridges nelle UCA (e il controllo del governo), con l’intermediazione del loro nuovo Presidente (Alastair Duncan).

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Il famigerato Geo-Varco, capace di riavvicinare tra loro continenti altrimenti irraggiungibili.

Il colonialismo è uno dei temi di questo nuovo capitolo, con il Presidente delle UCA che non vuole mettere pubblicamente la faccia in questa missione per non destare (legittimi) sospetti su possibili mire coloniali verso il Messico. Quello che, a tutti gli effetti, è il lungo prologo messicano dell’opera diventa il perfetto palcoscenico per mostrare, in piccolo, quelle che poi saranno le caratteristiche salienti delle avventure in terra australiana, vero fulcro del mondo di gioco, a cui si giungerà dopo due eventi scatenanti. Il primo è l’apparizione di un così detto Geo-Varco, un passaggio tra il mondo dei vivi e la Spiaggia che funge da tunnel spaziale verso altri punti del globo, normalmente irraggiungibili dopo lo Stranding. Continente che, ça va sans dire, fa gola alle UCA e all’APAC (ma non solo) molto più del solo Messico. Il secondo è l’assalto che Fragile e Lou, in attesa che Sam torni dalla sua missione messicana, subiscono proprio nel rifugio del corriere da un gruppo armato che riesce a ferire gravemente la donna, non prima che la stessa riesca a far “saltare” il bimbo verso la Spiaggia, perdendone però le tracce.

La scomparsa del figlio è il vero evento portante che sposta il focus di tutto il racconto verso il personaggio di Sam

Una scena drammatica e splendidamente girata, già vista nei trailer degli ultimi mesi. Il trauma trascina Sam in un periodo di isolamento e alcolismo. La scomparsa del figlio è l’evento portante che sposta il focus di tutto il racconto verso il personaggio di Sam, che riesce a scuotersi dalla disperazione solo perché sostenuto da Fragile e da tutto il team della Drawbridge, a bordo della DHV Magellan, nave capace di attraversare le correnti di catrame e rendere gli spostamenti molto più fluidi e agevoli che in passato. Un mezzo fondamentale per riuscire nell’impresa di riconnettere tutta l’Australia ma anche un luogo da vivere e in cui rifugiarsi. I nuovi personaggi che la abitano, in questo senso, sono tutti adorabili e supportivi nei suoi confronti e l’atmosfera a bordo del vascello è una boccata d’ossigeno, rispetto a certe sensazioni ben più opprimenti del primo capitolo, alleggerendo anche l’apatia e la meccanicità con cui il protagonista affronta il lavoro.

Dove c’è DHV Magellan c’è casa!

Tarman (George Miller) è un capitano perfetto con un passato drammatico, ben nascosto sotto uno strato di catrame (quello che ha inghiottito la sua mano anni prima) e determinazione, Rainy (Shiori Kutsuna) è dolcissima, incinta di 7 mesi, la gestazione bloccata dagli effetti dello Stranding e la capacità di invertire gli effetti della Cronopioggia, Tomorrow (Elle Fanning) è sicuramente il personaggio più sorprendente e misterioso, per come si evolve nel corso del racconto, legando tantissimo con Fragile e Rainy e contribuendo parecchio al buonumore della spedizione. Senza dimenticarsi di Dollman (Jonathan Roumie), uomo il cui Ka, separato dal corpo, si è legato ad un burattino che Sam di porterà sempre dietro, per avere un po’ di compagnia, consigli utili e due occhi in più, potendolo lanciare in aria per osservare da un punto privilegiato i dintrorni.

DEATH STRANDING 2: CARTOLINE DALL’AUSTRALIA

Anche questa piccola meccanica è parte di un gameplay che non è stato stravolto ma molto migliorato e approfondito. L’ecosistema australiano è decisamente più vario, più vivo a livello geografico e meteorologico, laddove (crono)pioggia, vento, (Varco)sismi e incendi rendono ancora più esaltanti, pericolose, imprevedibili e interattive le traversate, sia a piedi che con i mezzi a motore. Fiumi in piena capaci di trascinarci via con tutto il nostro carico, fuoco che divora le foreste, circondandoci e spingendoci ad usare intelligentemente il nuovo cannone di catrame in dotazione alla Drawbridge; le scalate montane tra freddo, aria rarefatta e rischio valanghe. Di per sé la sopravvivenza non è un reale problema, Death Stranding 2: On The Beach rimane un titolo volutamente poco spietato, ma lo spettacolo di questa natura arcigna rende tutto più esaltante e teso, illusorio e coinvolgente.

Qualsiasi sia l’approccio al titolo quello che rimane al centro è l’interattività, la sensazione impareggiabile di fisicità

L’approccio è più vicino ad un puzzle game che ad un survival, laddove la pianificazione del percorso è (quasi sempre) totalmente libera, dandoci la possibilità di raggiungere l’obiettivo sfruttando la tecnologia o il nostro fisico virtuale, costruendo strutture o sfruttando quelle lasciate ai posteri dagli altri fattorini di tutto il mondo, condivise attraverso la Rete Chirale grazie al Social Strand System, che ritorna trasformando anche questo capitolo in un’avventura collaborativa asincrona deliziosa, capace di rimarcare quanto sia fondamentale aiutarsi per superare le situazioni più complesse. Qualsiasi sia l’approccio al titolo quello che rimane al centro è l’interattività, la sensazione impareggiabile di fisicità, di peso, di presenza in questo mondo. Tutto va trasportato, pesato e pensato, ogni passo si “sente”, ogni consegna portata a termine è una profonda soddisfazione; un “gioco di lavorare” come non ce ne sono. Anche l’approccio ai combattimenti è molto più libero, con stealth e assalti a testa bassa assolutamente equivalenti per efficacia ma molto più divertenti se affrontati del secondo modo.

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Le sparatorie sono molto più fluide e divertenti e anche il corpo a corpo regale parecchie chicche di gameplay.

Già dopo poche ore si può disporre di un arsenale di tutto rispetto e attaccare le postazioni di Muli, Survivalisti e i misteriosi, temibili e affascinanti Mecha Spettro a fucili (mitra, lanciagranate…) spianati è una goduria. In questo secondo capitolo c’è in generale molto più spazio per l’azione e molto meno per l’orrore, laddove i faccia a faccia con le CA rimangono momenti potenti e angoscianti (con nuove anime alla deriva da affrontare), diluiti però in un contesto dove la minaccia umana e umanoide è molto più pressante e studiata, dal punto di vista del level design. Questo è anche giustificato a livello narrativo, con la tematica della diffusione delle armi che viene contrapposta alla necessità di connettersi e riunire le comunità; strumenti che tengono divisi, a distanza, rinchiusi nei propri territori. Certo, l’IA non mi è sembrata particolarmente evoluta rispetto a 6 anni fa e, con una buona dose di forza bruta e ben equipaggiati, si può avere la meglio anche su 15-20 nemici senza essere costretti a “riemergere” dal game over.

ogni oggetto, struttura, situazione funziona e reagisce in relazione al mondo di gioco e alla narrazione, tutto si tocca con mano

Questo cambio di ritmo lato action mette comunque in risalto un Sam più aggressivo e meno goffo, audace, quasi spericolato. Da questo nascono alcune missioni pazzesche, strutturate ed esaltanti che sembrano uscite da un TPS fatto e finito, per poi arrivare a boss fight molto scenografiche anche se, in fondo, non particolarmente originali. La stessa evoluzione “ruolistica” di Sam non si basa su astratti punti esperienza ma si aggiorna al termine di ogni missione in base al nostro stile di gioco, in modo naturale e leggibilissimo, come già in parte avveniva nel primo episodio ma aggiungendo anche delle abilità e sbloccabili una volta raggiunti determinati livelli nelle varie categorie, a rimarcare la natura libera e personalizzabile dell’opera. È l’amalgama che colpisce, come tutti gli elementi che si incastrano perfettamente tra loro; ogni oggetto, struttura, situazione funziona, esiste e reagisce in relazione al mondo di gioco e alla narrazione, tutto si tocca con mano (o ci si cammina sopra), tutto “si fa”, quasi niente succede semplicemente accedendo ad un menù.

L’ambiente sovrasta il giocatore, al quale però vengono dati tutti gli strumenti per cavarsela in ogni situazione.

Death Stranding 2 è sicuramente meno concettuale del primo, quasi tutto è già stato assorbito se si è giocato il precedente episodio, ma è la qualità media del gameplay ad essere molto elevata. Quello che sorprende di più è però la meraviglia delle scene che si parano continuamente davanti agli occhi del giocatore e la composizione scenica del mondo. I tramonti, i repentini cambi di meteo, avvicinarsi ad un territorio nemico di notte, scannerizzando l’area con l’Odradek, perdersi ad ammirare il panorama una volta raggiunta la cresta di una montagna dopo minuti di fatica.

Un dettaglio grafico fuori dalla grazia di Dio, una natura forse mai così bella nel contesto videoludico

Un dettaglio grafico fuori dalla grazia di Dio, una natura forse mai così bella nel contesto videoludico, per credibilità visiva, interattività, gestione degli spazi e illuminazione. Il tutto benedetto da una colonna sonora addirittura migliore della precedente, con un lettore musicale integrato nel Terminale Anello – il nuovo “inventario indossabile” di Sam – che si arricchirà mano a mano di tutte le tracce che sottolineeranno i momenti di viaggio più intensi ed emozionanti (ovviamente funzionerà solo nei territori coperti dalla Rete Chirale, anche da questi dettagli dipende il coinvolgimento psicofisico del giocatore). La meravigliosa “To The Wilder” di Woodkid, main theme del titolo, è solo la punta dell’iceberg di una selezione di altissimo livello.

DOVEVAMO DAVVERO CONNETTERCI?

Quello che personalmente mi ha convinto meno, di tutto il lavoro Kojima Productions, è la gestione del racconto. Come detto, l’effetto sorpresa del world building, i perché e i percome, le filosofie e le culture scelte come background da Kojima, sono stati tutti più o meno esauriti nel primo capitolo, lasciando campo libero ad una storia basata più sui personaggi che sul mondo di gioco. Questo di per sé non è affatto un problema. Piuttosto, quello che mi ha dato da pensare, è stato il fatto che, tra un prologo e un epilogo straordinari, gli eventi che li collegano sono estremamente frammentati, a volte troppo vaghi, altre certamente spettacolari, ma sempre un po’ asettici e meccanici nel loro susseguirsi e incastrarsi. Manca, talvolta, una certa emozione, un certo trasporto nelle interpretazioni, nonostante il cast di altissimo livello. Questo è solo in parte giustificato dal disegno narrativo globale, di cui si avrà un quadro completo solo a pochissime ore dai titoli di coda.

death stranding 2

La Tomorrow di Elle Fanning ruba la scena ogni volta che viene inquadrata.

È come se i personaggi si accendessero a intermittenza (e quando lo fanno, le scene che ne scaturiscono sono momenti di gran cinema), mentre il lungo viaggio di Sam si dipana, nei fatti e con tutte le migliorie del caso, in modo molto simile al precedente. Anche il personaggio interpretato da Luca Marinelli, invero molto interessante (e parte dello “straordinario epilogo” di cui sopra), ha un ruolo e delle sequenze di gameplay che somigliano molto agli incontri con Cliff Unger nel precedente capitolo, il che comunque non le rende certo meno interessanti, rappresentando anzi alcuni dei punti più alti della produzione.

le tematiche sono la diffusione delle armi, il colonialismo, il cambiamento climatico, il potere delle AI e la tratta di esseri umani

Si sarebbe potuto uscire un po’ più dagli schemi, però, di questo ne sono certo. Più in generale, le tematiche che l’opera affronta sono principalmente la diffusione delle armi – come già accennato – il colonialismo, il cambiamento climatico, il potere delle intelligenze artificiali e la tratta di esseri umani ma non sempre questi discorsi sono portati avanti con convinzione, depotenziando un po’ la loro portata politica e i messaggi che l’autore voleva trasmettere.

Anche Higgs, in un modo o nell’altro, è riuscito a tornare per tormentare Sam e Fragile.

Nel suo complesso, comunque, nonostante l’andamento ondivago e i momenti di stallo, quello che Death Stranding 2: On The Beach vuole raccontare arriva chiaro, diretto e quadrato, compiuto, intrattenendo per le 40 ore necessarie per arrivare ai titoli di coda, lasciando però indietro tantissime attività secondarie da esplorare successivamente, per chi ne avrà voglia. Tra queste attività, oltre a consegne secondarie che approfondiscono personaggi e impreziosiscono il racconto, ci sono anche una nutrita serie di Missioni VR – con tanto di punteggi – a cui accedere dalla sala dedicata sulla DHV Magellan, a sottolineare la natura molto più “giocosa” di questo seguito.

In Breve: Death Stranding 2: On The Beach è il seguito che ci si poteva aspettare, o forse no, se si pensava che Kojima cambiasse le carte in tavola rispetto al 2019. La realtà dei fatti è un gameplay che raggiunge la piena fioritura delle sue meccaniche in una mappa, quella australiana, di rara bellezza naturalistica e scenografica. L’effetto deja vu è presente, la parte centrale del racconto è spesso pretestuosa, ma nel suo insieme Kojima Productions è riuscita a creare un’avventura solida, varia, con alcuni momenti spettacolari e personaggi difficili da non amare, il tutto avvolto da un Decima Engine in stato di grazia. Non dobbiamo mai smettere di connetterci.

Piattaforma di Prova: PlayStation 5 Pro
Com’è, Come Gira: La qualità delle texture, la profondità del campo visivo, la quantità delle interazioni possibili, animazioni, illuminazione; semplicemente una delle opere più belle da vedere della generazione..

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Pro

  • Paesaggi meravigliosi, fantascienza immaginifica, interattività totale. Tecnicamente clamoroso. Azione molto migliorata.

Contro

  • La parte centrale del racconto va avanti in modo un po' meccanico. Al netto delle (molte) aggiunte e perfezionamenti, non riesce a sorprendere come il primo capitolo.
9

Ottimo

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