Ah, le aspettative. Che fragorosa sensazione di benessere quando seguiamo con un certo interesse un titolo, nella speranza che tutto ciò che ci viene mostrato nei soliti trailer sia lontanamente vicino a ciò che che abbiamo idealizzato nella nostra testa. Eppure i ragazzi polacchi – giovani, inesperti e alla loro prima prova – di Layopi Games sembravano crederci fortemente, tanto che nel promuovere il loro lavoro, Devil’s Hunt, facevano riferimento a un franchise in particolare, Devil May Cry, e la sfrontatezza con cui incasellavano questo confronto lasciava ben sperare che forse avessero tra le mani un titolo sicuramente non ai livelli dello storico marchio di Capcom ma semplicemente godibile, ben studiato e divertente. Tagliamo subito la testa al toro annunciando che nessuna di queste buone intenzioni è stata rispettata e che la situazione attuale non è molto lontana dal disastro su larga scala.
LE CORNA BISOGNA SAPERLE PORTARE
Desmond è un giovane boxeur. Ha una villa da sogno, il conto in banca infinito e una bella fidanzata. Figlio di un grande imprenditore che lo odia (non si sa il perché) e lo accusa di aver mandato in fallimento l’azienda di famiglia (anche qui, non sappiamo cosa abbia fatto di preciso), dopo aver chiesto alla fidanzata di sposarlo va a fare un incontro di boxe, ma al rientro a casa la trova a letto con il suo migliore amico (!). Disperato, prende la macchina e decide di suicidarsi lanciandosi con la vettura a folle velocità da un ponte. Muore. Viene raccolto da Morte e portato al cospetto di Lucifero, che gli offre un lavoro (e poi dicono della crisi): diventare un soldato alle sue dipendenze, un Esecutore, con la missione di raccogliere anime e uccidere le persone cattive (?).
Ha una villa da sogno, il conto in banca infinito e una bella fidanzata
Sull’aspetto drammaturgico abbiamo appena notato che ci sono problemi di dimensioni gargantueschi, ma andiamo oltre, perché di questo ne parleremo più avanti. Il punto è che le ambizioni dello studio erano titaniche, ma il loro essere privi di qualsivoglia forma di esperienza si evince quando mettiamo mano su mouse e tastiera e andiamo a provare a fondo il titolo, trasformando quello che sarebbe dovuto essere un road to review piacevole, spensierato e ricco di dettagli in un viaggio di sola andata verso l’Inferno.
FARE O NON FARE. NON C’È PROVARE
Essenzialmente Devil’s Hunt dovrebbe essere catalogato come action. Dico dovrebbe perché la struttura ludica che ne forma la spina dorsale, effettivamente, è più simile a un walking simulator che a un action tutto cazzotti, demoni, poteri e diavolerie varie. Tutti i livelli, assolutamente privi di una qualsivoglia forma di level design, solo lunghissimi – e pesantissimi – scenari a corridoio che non dobbiamo fare altro che percorrere, saltare, accucciarsi, teletrasportarsi, tutto su stretta decisione del gioco. Siamo letteralmente degli esecutori che picchiamo demoni inferociti, dotati di due braccia demoniache su stile Chad di Bleach ma impossibilitati a superare un ostacolo alto meno di un metro, a meno che non appaia il tasto di azione che consente di scavalcarlo con un’animazione di grande agilità. Il teletrasporto è la testimonianza vivente di questo suicidio che vorrebbe essere un level design orizzontale e verticale ben congegnato: la meccanica è la stessa che abbiamo visto in Vampyr, ma anche qui possiamo teletrasportarci in una piccola porzione di mappa, roba di una manciata di centimetri.
è più simile a un walking simulator che a un action tutto cazzotti
Per farla breve, i primi sei capitoli di Devil’s Hunt, in termini di minutaggio, sono così divisi: cinque minuti di passeggiate nella mappa, un minuto di combattimento e altri tre o quattro minuti di infinite cutscene. Inutile dire dunque che questi continui tempi morti rompono inevitabilmente l’attenzione come il ritmo di gioco. Non succede solo nei momenti iniziali, come forma indiretta di tutorial per apprendere tutte le meccaniche, è proprio Devil’s Hunt che si basa su questa amalgama uscita malissimo di azione e narrativa che si prendono a cazzotti da sole. Verso il capitolo sette la situazione migliora, si cammina meno e si picchia di più, ma ogni volta veniamo costantemente interrotti da queste dannate cutscene che, per quanto confuse, sono ricche di dettagli. Sembra quasi come se ci sia qualcosa di preesistente a cui gli sviluppatori stanno facendo riferimento. Un dubbio che troverà fondamento più avanti.
IO TI SPIEZZO IN DUE
C’è da dire comunque che per quanto sbilanciatissimo e povero di prove concrete, almeno fino al già citato capitolo sette che copre circa tre ore di gioco effettivo (percepite saranno state almeno trenta), il sistema di combattimento si è dimostrato funzionale in battaglia.
Purtroppo la mancanza di un sistema di lock on influisce negativamente sulla gestione delle combo e dei diversi poteri demoniaci, con il nostro protagonista che durante l’esecuzione rimane letteralmente fermo, mentre i nemici ci gireranno attorno, riuscendo facilmente a mettersi fuori dal nostro raggio d’azione. Difetto che si supera appena presa dimestichezza con tutte le abilità. I nemici sono tutti uguali, con skin che si ripetono all’infinito pescando da una varietà di tre tipi: demoni, banditi e angeli. Poi ci sono quelli un po’ più grossi, ma anche lì il riciclo è all’ordine del giorno. Il colpo d’occhio degli ambienti è notevole dato che, come già scritto, il gioco presenta e carica una massa gigantesca di dati che rende il titolo veramente pesante, ma su schermo la varietà di dettagli sarà visibile. Buoni gli effetti particellari in fase di azione, colorati e variegati, che rispondono bene nel momento in cui devono esplodere al suono e al tocco dei nostri possenti muscoli, rendendo le fasi di azione dunque un punto a favore del titolo.
il sistema di combattimento si è dimostrato funzionale in battaglia
Oltre alla barra della salute, abbiamo anche un indicatore di Furia che, senza troppe sorprese, al suo riempimento ci permetterà di attivare la nostra Super, con Desmond che si trasforma in uno spietato demone quadruplicando forza ed energia, il tutto per una manciata di secondi. Questo boost momentaneo purtroppo rompe il già delicato sistema di combattimento: in questa forma demoniaca, dopo una combo da tre hit, il quarto colpo sarà una mossa automatica che smembrerà il nemico. Questa cosa purtroppo accade anche con i mid-boss che, nonostante siano più resistenti, vengono calcolati alla stregua di un demone minore qualsiasi. Una svista non da poco in un titolo che dovrebbe presentare un bilanciamento effettivo e concreto in combattimento.
PAPÀ CASTORO, RACCONTACI UNA STORIA
Con Devil’s Hunt potremmo semplicemente chiuderla così, elogiando qualche buona ispirazione estetica e un sistema di combattimento funzionale, ma come ho detto decine e decine di righe fa, l’aspetto drammaturgico è tanto ricco quanto narrato con i piedi. Se consideriamo la scarsa qualità del titolo, è davvero un problema di poco conto, ma la storia è così slegata dal prodotto finale che sembra quasi che lo stesso videogioco sia stato creato – volutamente male – con il pretesto di raccontare questi eventi. Perché, dunque, non scriverci un libro?
l’aspetto drammaturgico è tanto ricco quanto narrato con i piedi
Devil’s Hunt ha qualcosina di buono, ma il lavoro finale dei ragazzi di Layopi Games è lontano da qualunque standard qualitativo appena sufficiente che ci si può aspettare nel 2019. Macchinoso, pesante e limitato, le troppe cutscene spezzano continuamente il ritmo e tutti gli elementi si amalgamo con difficoltà evidente. Purtroppo una storia interessante non giustifica e non cancella il lavoro mediocre fatto su tutto il resto.