Nel cuore di una oscurità primordiale, il Doom Slayer torna a brandire furia e acciaio contro l’inferno stesso, pronto a riscrivere l’antica arte dello sterminio demoniaco.
Sviluppatore / Publisher: id Software / Bethesda Softworks Prezzo: € 79,99 Localizzazione: Completa Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: Steam. PlayStation 5, Xbox Series X/S
Mi ha divertito parecchio la raccomandazione del publisher di non svelare particolari della trama. Non perché la narrazione di Doom: The Dark Ages sia risicata, tutt’altro! Questo nuovo capitolo della rinascita della più celebre serie di id Software, iniziata nel 2016, è sorprendentemente curato sotto il profilo narrativo: la trama è al centro dell’esperienza, con cutscene elaborate, personaggi significativi e una costruzione del mondo più dettagliata del previsto. Il punto è che, nella sostanza, il risultato dopo qualche livello diventa assolutamente esilarante.
Ci si ritrova in un mondo in puro stile Eternia dove alta tecnologia e fantasy convivono, con tanto di ipertrofico sosia di Re Randor ai ferri corti contro un esercito di demoni sul piede di guerra. Manca solo Skeletor, insomma, ma l’antagonista non sembra farsi troppi scrupoli nell’assaltare l’ultimo baluardo dell’umanità. E in mezzo a tutto questo c’è lui: il Doom Slayer, persino più brutale del solito.
Il DOOM Slayer è un’arma da evocare nelle situazioni disperate, simbolo di silenzioso, reverenziale terrore
DOOM: THE DARK AGES, L’ULTIMO GUERRIERO DI ARGO
Non fatevi fuorviare dal titolo di questo paragrafo: è solo una strizzata d’occhio alla storia dei videogiochi da bar, utile a sottolineare quanto Doom: The Dark Ages si discosti radicalmente dai suoi predecessori. Proprio come il protagonista di Argus no Senshi (meglio noto in Occidente come Rygar) brandiva il leggendario Diskarmor, un’arma a metà tra scudo e catena, anche il Doom Slayer impugna un’egida letale come elemento fondamentale del suo nuovo arsenale. Sempre pronto a bloccare colpi e proiettili, lo scudo ha un ruolo centrale nel gameplay: è assegnato di default al tasto destro del mouse, sacrificando la classica modalità di fuoco alternativo in favore di una vera rivoluzione.

Lo scudo rotante si è piantato nel lardo del Mancubus: troppo ghiotto per non tenere premuto il grilletto.
La parata non è solo difesa, ma un’azione versatile: può innescare una carica esplosiva su un nemico inquadrato per coprire fulmineamente le distanza, essere scagliata in stile Capitan America per trafiggere i bersagli più robusti, o persino aprire finestre tattiche decisive grazie a effetti di stordimento e lacerazione con cui massimizzare i danni presso i nemici più resistenti e smembrare le loro corazze. È uno strumento pensato per gli artigiani del dolore, che avanzando sbloccheranno potenziamenti in grado di amplificare ogni aspetto del combattimento. Riempite un nemico di piombo fino a rendere malleabile la sua armatura e sgretolatela con un lancio ben assentato per ottenere munizioni e cure. Oppure rimandate al mittente i proiettili verdi con una parata perfetta, stordendolo e spianando la strada per un contrattacco letale.
rimandate al mittente i proiettili verdi con una parata perfetta, stordendolo e spianando la strada per un contrattacco letale
La brutalità è il mantra, e il Doom Slayer non è mai stato così terrificante: un autentico avatar della devastazione, in grado di schiantarsi al suolo da altezze vertiginose e scatenare onde d’urto capaci di polverizzare intere orde demoniache. Non solo i nemici più coriacei, ma anche la semplice carne da cannone ha un ruolo cruciale nell’ingranaggio della battaglia: eliminarli con metodo, magari arretrando al momento giusto, garantisce bonus vitali quando salute e corazza iniziano a scarseggiare perché in guerra, come diceva Jesse Ventura, non c’è tempo per sanguinare. Il meglio emerge negli scontri in campo aperto, quando lo Slayer affronta da solo un intero esercito, sfruttando l’ampiezza delle arene per muoversi, ripararsi e decidere con precisione letale come decimare le forze demoniache. In quei momenti, The Dark Ages si trasforma quasi in un Danmaku in prima persona: proiettili ovunque da schivare, parare, deviare e rispedire al mittente, cercando il varco giusto per ribaltare l’esito dello scontro mentre tutto attorno il motore grafico fa gli straordinari demolendo oggetti scenici tra le carcasse straziate dei nostri nemici.
Il gioco rallenta brevemente quando si eseguono parate perfette o si lancia lo scudo, offrendo un controllo eccellente anche nelle fasi più caotiche, ossia il 99% del tempo. Uscire vivi e vittoriosi da un assedio colossale è davvero una esperienza gratificante, e in quei momenti, quando la polvere si posa sulle frattaglie dei nemici dilaniati e le incalzanti tracce metal dei Finishing Move Inc. cedono il passo a un sinistro silenzio, Doom: The Dark Age si conferma come un vero e proprio concentrato di esaltazione e carisma.
In certi momenti, The Dark Ages si trasforma quasi in un Danmaku in prima persona
IL CUORE DI TENEBRA BATTE AL SUO POSTO
Doom Eternal è probabilmente il miglior gioco che molti non sono riusciti ad apprezzare fino in fondo, soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati. La sua marcata verticalità mal si conciliava con un sistema di combattimento incentrato sull’uso di armi specifiche e colpi mirati ai punti deboli dei cattivi più coriacei, generando loop che obbligavano a girare intorno all’arena seguendo gerarchie ben precise.
E la motosega, come già nel remake del 2016, conservava un ruolo un filo marginale: un jolly da usare con parsimonia, ottimo per uscire dai guai a patto di avere da parte un po’ di carburante. Ora gli attacchi corpo a corpo non garantiscono più un’uccisione sicura, ma possono essere utilizzati più spesso all’interno di combo pensate per massimizzare il danno su un singolo bersaglio o generare onde d’urto utili a controllare intere orde.
Doom: The Dark Age si conferma come un vero e proprio concentrato di esaltazione e carisma
Ora gli attacchi corpo a corpo non garantiscono più un’uccisione sicura, ma possono essere utilizzati più spesso
La mappa automatica si rivela quindi un alleato essenziale per orientarsi e individuare zone ancora da esplorare, e non sarà raro restare sorpresi dalle statistiche di fine livello, spesso impietose nel rivelare quanti segreti ci siano sfuggiti in ambienti che credevamo di aver scandagliato a fondo. Con una campagna strutturata su oltre venti capitoli, Doom: The Dark Ages garantisce una buona longevità, specialmente per chi intende affrontarlo a livelli di difficoltà elevati e cimentarsi nella ricerca dei numerosi segreti nascosti. Tuttavia, l’assenza di qualsiasi modalità multigiocatore rappresenta un limite non trascurabile, considerando quanto tale componente sia sempre stata centrale nell’identità del franchise sin dai suoi esordi.
UNA VOLTA UCCIDERE DEMONI ERA UN ATTO DI PUBBLICO DOMINIO
È curioso che questo aspetto sia stato trascurato a favore di elementi come il gigantesco robot Atlan (e qui scommetto che non sia un caso che il direttore creativo Hugo Martin abbia lavorato anche a Pacific Rim, un’esperienza che probabilmente ha influito sulla scelta di inserirlo) o il drago, a cui sono dedicati interi capitoli che, pur offrendo varietà e spettacolarità, restano episodi isolati e non integrati in modo organico nel sistema di combattimento, risultando più come parentesi narrative funzionali unicamente a spezzare il ritmo con un pizzico di varietà, che come reali evoluzioni del gameplay. Il primo caso risulta poco interessante e coinvolgente: il gigantesco mecha sovrasta costruzioni ed eserciti impotenti, limitandosi a sferrare pugni titanici all’indirizzo di nemici della stessa taglia in una sorta di Punch-Out! infernale e poco ispirato in cui ci si limita a schivare i colpi avversari con il giusto tempismo per caricare un attacco corpo a corpo devastante o surriscaldare occasionali armi da fuoco.

Le missioni in sella al drago sono piacevoli, ma anche fin troppo semplici: il bello comincia quando si tocca terra.
Più riusciti, invece, i livelli dedicati al drago, che propongono inseguimenti aerei in spazi angusti, in perfetto stile assalto alla Morte Nera, e combattimenti contro bersagli imponenti da colpire in volo stazionario, ancora una volta sfruttando schivate all’ultimo istante per potenziare le mitragliatrici al plasma e spazzare via scudi di energia. La maggiore libertà di movimento, unita alla possibilità di smontare dal lucertolone in speciali aree per affrontare le orde demoniache a piedi, sia lungo percorsi obbligati che esplorando aree segrete, rende queste sezioni decisamente più stimolanti.
Aggiungeteci un drago cibernetico e un colossale mech da guerra e avrete il WAD dei sogni: una fantasia metal che pare partorita da un ragazzino nerd degli anni Novanta
Del resto, il fatto che le modalità multigiocatore dei due capitoli precedenti – in particolare il Battlemode di Doom Eternal – non siano riuscite a ritagliarsi uno spazio significativo presso l’esigente utenza competitiva fa supporre che puntare tutto su un’esperienza single player esplosiva possa essere stata la scelta giusta, anche se solo il tempo (e i futuri, immancabili DLC) potrà confermarlo.
In Breve: Doom: The Dark Ages è un’esaltante evoluzione del franchise, capace di stupire per il suo approccio narrativo più strutturato e per le innovazioni nel gameplay, pur senza perdere l’identità brutale e metallica che da sempre contraddistingue la saga. Il nuovo scudo multifunzione e il redesign degli scontri danno al combattimento una profondità considerevole, mentre l’esplorazione viene finalmente premiata con aree immense traboccanti di segreti. Tuttavia, alcune sezioni più spettacolari (come quelle a bordo del mecha) risultano isolate e poco incisive, e l’assenza di una modalità multigiocatore – sebbene forse giustificata – resta un’occasione mancata per ampliare la longevità al di là della pur solida campagna.
Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di prova: Ryzen 7 5800X, RTX 4070 12Gb, RAM 32Gb 3600Mhz, SSD
Com’è, Come Gira: Doom: The Dark Ages è un gioco piuttosto esigente, e durante la nostra prova abbiamo installato un driver pre-release necessario per le GPU NVIDIA RTX serie 50 e le GPU AMD, consigliato anche su GPU RTX serie 20, 30 e 40 che non ha causato problemi con la configurazione di prova. Ovviamente driver pubblici equivalenti saranno disponibili al lancio. Grazie al Frame Generator 2x, sulla nostra macchina abbiamo ottenuto una media di circa 150 fps, garantendo un gameplay estremamente fluido e appagante, anche nel cuore stesso dell’inferno.