Dragon Quest XI – Recensione

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Mettiamo subito le mani avanti: a prescindere da come la pensiate, non sarà questo l’episodio di Dragon Quest che vi farà ricredere sulla saga. Il capolavoro di Yuji Hori è sempre stato percepito come un caso a parte dal pubblico occidentale, cresciuto e formato da ben altri capisaldi. Se un salaryman riscoprisse oggi la passione per i videogiochi che aveva da piccolo e si mettesse all’opera con Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta, con ogni probabilità si troverebbe a casa, dal momento che restano immutate alcune regole che la saga non sognerebbe mai di scrollarsi di dosso. Dal canto mio, continuo a chiedermi perché diavolo devo andare a dormire per recuperare l’energia e solo dopo entrare in chiesa per salvare la partita… Non potrei fare tutto assieme in un albergo?

Perché devo distribuire oggetti vari per farli usare in battaglia dai miei eroi? Non basta una voce del menu comune a tutti, come avviene praticamente in ogni altro gioco di ruolo nipponico? E perché mai non posso spendere direttamente i soldi che ho depositato in banca al momento di un acquisto invece di andare a ritirarli ogni volta? Domande, queste, che non hanno né avranno una risposta negli anni a venire: Dragon Quest è il più classico esponente del genere e questo – a seconda dei punti di vista – è il suo più grande pregio come il suo maggior difetto. Tuttavia, chi ama la saga o sa chiudere gli occhi su certi (voluti) anacronismi non faticherà a trovare in Dragon Quest XI il miglior capitolo della storica serie, un primato certamente non da poco.

SNELLIRE SENZA SEMPLIFICARE

Nel suo essere fedele alle tradizioni, il nuovo capitolo dell’iconica saga non si fa mancare comunque alcune interessanti concessioni. In primis il salvataggio automatico,vera e propria manna che terrà traccia dei nostri progressi con una discreta frequenza, a cui va aggiunta una distribuzione piuttosto marcata di angeliche statue presso cui registrare i progressi e svolgere le solite funzioni che ci si aspetta dalle chiese (disintossicazione, resurrezione e così via) anche lontano dai centri abitati.DRAGON QUEST XI Recensione

Dragon Quest XI è il miglior capitolo della storica serie, un primato certamente non da poco

Una notizia importante, quella del salvataggio, anche perché i punti di ristoro spesso e volentieri sono posizionati nei pressi di falò dove accamparsi per recuperare energia e sfruttare i servigi della classica forgia alchemica con cui creare o migliorare l’equipaggiamento. Questa è stata migliorata, integrando nel processo di creazione un breve sottogioco in cui l’oggetto va forgiato con un numero finito di martellate per sfornare risultati più pregevoli; inoltre, qualunque cosa venga creata in questo modo frutterà Perle del Perfezionista con cui migliorare seduta stante l’equipaggiamento posseduto, senza investire ulteriori materiali. Poi c’è il viaggio: messa da parte la celere acquisizione dell’incantesimo di teletrasporto con cui raggiungere locazioni già visitate scongiurando sin dalle prime battute il rischio del backtracking, Dragon Quest XI introduce gli spostamenti a cavallo per attraversare rapidamente le mappe maggiormente estese, travolgendo nel contempo i nemici più deboli – questi ben visibili nel loro vagare, alla faccia degli scontri casuali – una volta al galoppo. Il provvidenziale destriero non è sempre disponibile e va richiamato con un’apposita campana quasi sempre presente dalle parti dei falò, ma rende buona parte degli spostamenti assolutamente indolore, permettendoci di viaggiare con stile e ammirare al meglio il paesaggio senza incappare in combattimenti a raffica. Ecco, la grafica del gioco è qualcosa che metterà d’accordo tutti, perché è davvero splendida. La cura dei particolari e il sapiente uso di ombre e colori brillanti mi fa davvero esplodere la testa, e devo ammettere di aver catturato centinaia di schermate cercando di immortalare paesaggi davvero mozzafiato, sia di giorno che di notte, opportunamente popolati da diversi tipi di nemici.

Non è solo la direzione artistica che spicca, quanto la magistrale cura per i particolari, un aspetto che offre il meglio di sé nelle visite ai centri abitati, tra i migliori (se non i migliori in assoluto) nella storia dei JRPG. Accettate l’umile parere di un tizio che solitamente li visita pigramente, facendo provviste prima di racimolare informazioni presso l’NPC di turno e partire alla volta del prossimo dungeon: le città di Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta hanno un grande carattere, e offrono mappe incredibilmente articolate e ricche di punti d’interazione. Che si tratti di scrigni nascosti, armadi da aprire o scaffali che nascondono nuove ricette da sperimentare nella forgia, il layout dei centri abitati si rivela sempre interessante e meritevole di una visita approfondita, esaltato da una ricerca maniacale dei dettagli che solo una saga fondamentale come Dragon Quest può permettersi.

UN’AVVENTURA CORALE

Dragon Quest XI è grande, tanto che settanta ore di gioco sono davvero il minimo per raggiungere la conclusione dell’avventura. In questo lasso di tempo è importante notare quanto la trama si dimostri via via più interessante e articolata partendo da una base abbondantemente già vista, con il classico protagonista predestinato a salvare il mondo e muto come la tradizione di Dragon Quest esige.DRAGON QUEST XI Recensione

Settanta ore di gioco sono il minimo per raggiungere la conclusione dell’avventura

Il merito di quanto appena detto va a una narrazione che fa il suo dovere, limitando i momenti morti che un gioco tanto lungo obbligatoriamente porta con sé grazie a un cast di interessanti personaggi che sanno donare il giusto interesse a una storia che ci mette un po’ a ingranare. Tra questi figurano gli obbligatori compagni di viaggio, tutti utili e discretamente interessanti, con vette di eccellenza raggiunte dall’eccentrico artista circense Sylvando e dalla bisbetica maga in miniatura Veronica. Non essendoci classi nel senso stretto del termine, il gioco permette di plasmare ogni protagonista con i punti abilità conquistati a ogni avanzamento di livello da investire in una griglia suddivisa per specialità, decidendo di optare per la maestria con differenti tipi di arma o approfondire le capacità proprie di ogni singolo personaggio (le magie di attacco, nel caso di Veronica), ben consci che i progressi acquisiti potranno essere “respeccati” a piacere presso le chiese. Il combattimento è classico come il resto del gioco, impreziosito dalla stessa cura grafica che avvolge la produzione. In altre parole, conoscerete probabilmente a menadito l’arcinoto bestiario scaturito negli anni dalle matite del Bird Sudio, ma non avete mai visto gli iconici mostri così in forma, animati e rappresentati con grandissimo stile.

Gli scontri possono essere iniziati sferrando un colpo preventivo per guadagnare un vantaggio tattico, e il loro andamento a turni è tra i più canonici. Proprio per questo è assai utile – nonché efficace, la CPU è dannatamente brava – affidare comportamenti automatici a qualcuno dei quattro personaggi che compongono il party, per snellire quei momenti in cui il grind si rende una necessità, sia per accumulare denaro che per salire di livello durante i rari picchi di difficoltà, giacché il gioco è generalmente piuttosto semplice, e saranno rari quei boss capaci di mettervi alle strette. Fortunatamente anche i personaggi nelle retrovie guadagnano regolarmente esperienza e, anzi, possono subentrare in azione una volta che il party “ufficiale” viene sconfitto. Una novità è lo stato Pimpante, ovvero momenti in cui i personaggi si infervorano e diventano più forti, arrivando a scatenare utilissime tecniche combinate assieme ad altri personaggi nella medesima situazione. Non esiste un indicatore per capire quando uno dei protagonisti andrà su di giri, quindi lo stato Pimpante si rivela un’interessante variabile capace di fare la differenza nei momenti più inaspettati; tutto ottimo, tranne quando anche i nemici decidono che è il loro turno di potenziarsi!

QUALCHE OMBRA IN MEZZO ALLE LUCI

Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è davvero un gran gioco, ma va detto che l’avventura principale è estremamente lineare, rigida nella sua narrazione senza possibilità di sgarrare dal percorso impostato da Square Enix; al contrario di quanto visto in Octopath Traveler, quindi, tanto per citare un concorrente arrivato negli ultimissimi tempi.

DRAGON QUEST XI Recensione

La trama continua a essere estremamente lineare, al contrario di quanto visto in Octopath Traveler

Questo si riflette anche nell’esplorazione, con paesaggi lussureggianti e ricchi di vedute da cartolina che, però, tengono al guinzaglio il giocatore nei corridoi virtuali imposti. È possibile saltare e cavalcare speciali mostri per ampliare limitatamente le opzioni di movimento, ma se desiderate lanciarvi da un dirupo verso un passaggio in basso e il gioco non lo prevede, verrete fermati da un muro invisibile, c’è poco da fare. Per contropartita, esistono missioni secondarie spesso non banali da ricevere presso determinati NPC, con cui prendere pause dalla narrazione, assieme a locazioni inizialmente inaccessibili che richiederanno particolari oggetti per aprire la strada verso premi parecchi interessanti. Un’altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è l’impossibilità di vedere le nuove armature indossate dai personaggi, a meno che non si tratti di completi, messi assieme accumulando gli indumenti che li compongono. Generalmente solo le armi appaiono differenti una volta impugnate: un peccato, perché modificare completamente l’aspetto dei nostri paladini era uno dei punti di forza di un altrimenti fin troppo dozzinale Dragon Quest IX su DS. Un ultimo appunto riguarda il sonoro: il doppiaggio è eccellente, e riunisce dialetti e idiomi (c’è una città ispirata a Venezia dove la popolazione parla un bizzarro mix tra inglese e italiano!) in un crogiolo linguistico ambizioso e riuscito, capace di donare una precisa identità a ognuna delle zone esplorate.

Il succitato complimento, purtroppo, non può essere esteso alla colonna sonora, che riutilizza le classiche tracce del compositore Koichi Sugiyama in formato midi, al posto di quelle orchestrate. Considerata anche la lunghezza dell’avventura, il rischio che queste vengano riutilizzate allo sfinimento fino a divenire noiose e stucchevoli è un’opzione da mettere decisamente in conto. Per concludere, un consiglio personalissimo ai neofiti: il classicismo di Dragon Quest si è sempre esteso anche alle trame, mettendo in scena scontri tra bene e male con tono fiabesco, anni luce distante dalle altisonanti tamarrate che negli ultimi lustri hanno contraddistinto l’altra serie di Square Enix, quella con la boy band che guida la decappottabile mentre il mondo va in malora… Mancano un gigante dal cuore d’oro e uno spadaccino spagnolo che tiene in serbo la frase da recitare all’assassino del padre, ma Dragon Quest XI è un po’ la bellissima fiaba che Peter Falk reciterebbe al nipotino a letto con la febbre, congedandosi con un dolcissimo “ai tuoi ordini. Se la cosa non vi dispiace, l’ultima creatura di Yuji Hori saprà conquistarvi come pochi altri giochi.

Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è probabilmente il miglior Dragon Quest di sempre, ma questo non lo rende automaticamente un gioco per tutti. La trama ci mette un po’ per scrollarsi di dosso un buon quantitativo di stereotipi e ingranare come si deve, ma una volta nel vivo sa farsi amare grazie a set piece orchestrate con gusto e un buon numero di adorabili personaggi. Artisticamente il livello è davvero molto alto, capace di ammaliare con paesaggi mozzafiato e, allo stesso tempo, svecchiare un po’ il tratto di Toriyama e discepoli. Globalmente un prodotto raccomandatissimo per gli amanti della saga e per chi, in generale, ha tantissimo tempo da investire in una lunga e piacevole avventura.

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Pro

  • Avventura piacevole e duratura.
  • Artisticamente riuscitissimo.
  • Alcune limature ben accette che non snaturano l'essenza di Dragon Quest.

Contro

  • Se il classicismo a tutti i costi di Dragon Quest non fa per voi, con questo non cambierete idea.
  • Tracce sonore midi.
  • Generalmente semplice, con rari picchi di difficoltà.
8.9

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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