Ne avevamo parlato qualche giorno fa, ed è successo. Lo scorso 14 dicembre la Federal Communications Commission, con 3 voti favorevoli e 2 contrari, ha di fatto sancito la fine della net neutrality negli Stati Uniti, con tutto quel che rischia di conseguirne in termini di accesso libero alla rete. La battaglia è persa, ma la guerra non è ancora finita: ci sono ancora diversi passaggi prima che i provider statunitensi possano cominciare a discriminare il traffico e creare corsie preferenziali per chi e cosa vogliono. Il primo è il Congresso, che può invocare il Congressional Review Act (CRA), che con un semplice voto di maggioranza può semplicemente bloccare l’applicazione della decisione della FCC; il voto va espresso entro sessanta giorni dalla “pubblicazione in Gazzetta” (ossia la trascrizione sul Registro Federale), cosa che tipicamente richiede poche settimane. Molti membri del Congresso hanno già espresso il loro parere favorevole all’annullamento della decisione della commissione, grazie anche pressione dell’opinione pubblica, espressa anche – ma non solo – dalla mole di mail e telefonate ricevute dagli elettori in queste settimane. Se questo primo passo dovesse fallire, molti gruppi di consumatori e diversi procuratori generali si stanno già preparando a portare la decisione di FCC in tribunale, dove le castronerie belluine che contiene sarebbero esaminate da occhi auspicabilmente più attenti e da figure meno inqualificabili.
una cosa è ormai lampante: Ajit Pai, il presidente della FCC, è un cretino
Guardate questo video. Alla fine, lavatevi gli occhi con la candeggina. Poi, se ne avete il coraggio, guardatelo di nuovo
Ah, poi c’è l’Harlem Shake. A fine 2017. Sigh.
Poi ecco, ci sarebbe anche il fatto che Ajit Pai, nel suo discorso prima della votazione del 14 dicembre che ha portato alla cancellazione del concetto di net neutrality, ha sostenuto che «alcuni colossi della Silicon Valley sono a favore di forti regolamentazioni volte a colpire altre parti dell’ecosistema di internet. Troppo spesso, però, non mettono in pratica ciò che vanno predicando. I provider più spregiudicati bloccano in continuazione contenuti che non sono graditi. Regolarmente decidono quali notizie, risultati di ricerca e prodotti far vedere agli utenti, e quali no. Molti fanno soldi con un modello di business che prevede di far pagare per mettere in evidenza specifici contenuti. Cos’altro sono le Accelerated Mobile Pages o i tweet sponsorizzati, se non prioritizzazione dei contenuti? Quel che è peggio è che non c’è trasparenza su come vengono prese queste decisioni, che sembrano stridere con il concetto di internet libera. Come può un’azienda decidere di limitare il video elettorale di un candidato al senato perché le sue opinioni su un tema politico sono troppo polemiche? Come può un’azienda decidere di “de–monetizzare” dei video politici senza avvertirne gli autori? Come può un’azienda bloccare espressamente l’accesso a siti su dispositivi concorrenti o impedire che contenuti non graditi vengano caricati sulla sua piattaforma? Come può un’azienda decidere di bloccare dal suo store una app per appassionati di sigari, solo perché apparentemente l’azienda è convinta che quella app promuova l’uso del tabacco? Non avete alcuna indicazione di come vengano prese queste decisioni, e neppure io. Queste sono minacce reali che mettono a rischio l’idea di internet libera, e che vengono dalle stesse persone che dicono di supportarla».
Ah, se solo ci fosse un’agenzia governativa in grado di proteggere la net neutrality!