Make retrogaming great again!

Jungle Hunt retrogaming

Forse non lo sapete né ve ne frega nulla, ma ho una laurea in lingue straniere. Per un certo periodo ho vissuto tra Wilmington e Bayreuth, lavoricchiando ove possibile mentre miglioravo le mie competenze linguistiche e scrivevo noiose tesi, cercando nel contempo di mantenere attiva e ruspante la mia infatuazione verso i videogiochi. All’atto pratico ero soddisfatto dalla combo Game Boy Color + Neo Geo Pocket, ma per quanto riguarda notizie e approfondimenti dovevo farmi bastare le riviste locali: se da una parte non ho mai digerito quelle americane, in Germania mi affidavo a Videogames. Un nome semplice, secco, quasi spartano nel suo essere essenziale e diretto, tuttavia efficace.

Videogames trattava (al passato, perché mi risulta non esista più) i videogiochi senza troppi fronzoli, con recensioni che andavano dritti al sodo, demolendo i titoli poco meritevoli con chirurgica precisione e scrivendo nel frattempo approfondimenti piuttosto interessanti. Nel numero di gennaio 2001 apparve però un articolo fulminante, destinato a scuotere la basi del mio mondo in maniera decisiva. Mentre lo leggevo ero solo nella mia stanza e di tutto il mondo fuori me ne fregava assai poco, perché scoprivo per la prima volta che – bestemmia! – i videogiochi vecchi potevano avere un valore non solo affettivo, ma anche economico: tipo i quadri in una pinacoteca, arrivando a cifre di tutto rispetto. Per me era un po’ la fine dell’innocenza, alla stregua di un bambino che centra lo scroto di Babbo Natale con un uramawashi per paralizzarlo e razziare il sacco dei doni, solo per scoprire che sotto la barba finta si nasconde uno zio che non gli rivolgerà mai più la parola.

Pagare massicce somme per videogiochi vecchi? Che idiozia è mai questa, di grazia? Alla gente piacciono i giochi nuovi, mica quelli del Commodre 64 e dello Spectrum… quella è roba per inguaribili romantici sociopatici come me! La verità è che la bolla speculativa del retrogaming stava iniziando a gonfiarsi in silenzio, facendo attenzione a non far insospettire la mia innocenza videoludica: proprio io, che verso il 1995 avevo iniziato a venerare e raccogliere i miei giochi preferiti per quei sistemi che avevo criminalmente venduto, sacrificati sull’altare del progresso in cambio di bieco denaro da barattare in cambio dell’ultimissima divinità in silicio, ennesimo gradino nell’infinita saga dell’evoluzione tecnologica; o per quelle macchine esotiche che potevo solo limitarmi ad ammirare ai tempi di magra sulle riviste di settore, ora finalmente a portata di mano grazie ai primi lavoretti. In un lampo, le mie priorità vennero un attimo ricalcolate: se prima della lettura il mio unico pensiero era progettare un itinerario per tornare verso l’Italia e il Natale alla faccia della neve sferzante, quell’articolo mi fece provare un piccolo brivido, giacché molti dei titoli presenti su quelle pagine figuravano nella mia collezione, inconsapevoli del loro presunto valore.

cartucce retrogaming

Amare la Storia dei videogiochi non significa accatastare plasticaccia destinata a prendere polvere, bensì giocare, ricordare, studiare

Tornato a casa lanciai un paio di esche, mettendo in asta alcuni giochi potenzialmente interessanti come Panzer Dragoon Saga USA e PAL o Radiant Silvergun su un sito di appassionati che non esiste più, constatando che la gente sarebbe stata ben propensa a scannarsi per alleggerirmi del loro peso in cambio di trenta pezzi d’argento o giù di lì. Soldi che, ovviamente, non accettai: possiedo una collezione considerevole, perché i pezzi che la compongono mi piacciono e voglio continuare a giocarli ora come un tempo, non per ammassarli in un armadio o mostrarli come trofei su Instagram. Se me ne volessi sbarazzare per un motivo o l’altro, avrei probabilmente evitato di comprarli in partenza. Ivan mi chiese tempo fa di scrivere un pezzo per la Time Machine Online proprio riguardo alla speculazione che ruota attorno ai vecchi videogiochi, un argomento richiesto da più di un lettore. Cari lettori ignoti, forse lo scriverò prima o poi, ma davvero ne avreste bisogno? Oramai siete tutti diecimila volte più scafati del Dan Hero fesso e morto di freddo (il mio riscaldamento in quel di Bayreuth faceva un po’ come gli pareva) di fine millennio, mentre quella puntata dell’Angry Video Game Nerd che ruotava attorno al duello con Pat Contri per il possesso delle due cartucce del Nintendo World Championship dovrebbe avervi svezzati da anni riguardo ai prezzi spaventosi che ruotano attorno ai videogiochi più rari.

Devo scoprire le mie carte, a costo di rendermi più impopolare del solito: odio questa speculazione, detesto le persone che riempiono i gruppi su Facebook con foto del tipo “Ecco i miei acquisti odierni” senza sprecare due parole sul come e sul perché e, in generale, l’accumulo fine a se stesso. Perché amare la Storia dei videogiochi non significa accatastare plasticaccia destinata a prendere polvere, bensì giocare, ricordare, studiare e usare l’esperienza per andare avanti, creando qualcosa di meritevole. Che sia una sciocchezza come l’ultimo numero della Time Machine, un buon video per il vostro canale YouTube come fa l’amico Gianluca Santilio da anni o un successo tricolore riconosciuto a livello mondiale in stile Mario + Rabbids. Lo vedo quasi come un dovere in cambio del privilegio di esserci stato, quando sfidavo mio cugino al bowling del Victory (un clone francese del ben più celebre RCA Studio II), quando il mio amico Davide portò a casa mia la combo della morte VCS + Moon Patrol, mentre restavo col fiato sospeso durante quei dieci interminabili giri richiesti dalla prima cassettina pirata per caricare Jungle Hunt su Commodore 64, o durante quell’indimenticabile – per vari motivi, non necessariamente belli – Natale del 1988, di fronte all’inconcepibile introduzione di Menace. O, semplicemente, quando volevo andare a dormire dopo una notte di bagordi, ma Maria non voleva saperne di farmi entrare in camera da letto. OK, questa la capirete in tre.

Sono certo che abbiate esperienze simili le mie, o anche completamente diverse, ma tutte comunque importanti. Magari, anonimo lettore, sai come far uscire tutti gli Yashichi in 1943; fai a cambio col trucco per “inceppare” i bazooka in Shinobi? O per far scomparire le pantere in Rolling Thunder? Parliamone! Più fame di conoscenza, passione e amore, meno accumulo compulsivo: make retrogaming great again!

Articolo precedente
editoriale natale turrini

Lo vorreste un Natale senza videogiochi sotto l’albero?

Articolo successivo

Platone, Theuth e la catalogazione di videogiochi

Condividi con gli amici










Inviare

Password dimenticata