Sono un fiero sostenitore dell’italico idioma. Provo una passione spudorata verso la nobile arte del doppiaggio, e adoro cercare di riconoscere le voci di qualsiasi personaggio – principale o secondario – in serie TV, film e opere videoludiche. Sono cresciuto con Giuseppe Calvetti che prestava la voce a Guybrush in Monkey Island 3, con Michele Gammino nell’avventura grafica di Blade Runner, con Claudio Moneta nei panni di Cristof in quella meraviglia di Vampire: The Masquerade – Redemption e con Alessandro Ricci sotto la tuta di Snake nel primo Metal Gear in tre dimensioni. Insomma, conservo meravigliosi ricordi di tali titoli anche grazie al buon doppiaggio che mi ha permesso di comprenderne appieno le trame, in un’epoca in cui l’unica parola inglese che conoscevo era hamburger. Che poi, a ben pensarci, quella rondella di carne la chiamavo svizzera, quindi non potevo vantare nemmeno quel briciolo di cultura anglofona.
È forse proprio per questo che ora, a più di trent’anni suonati, continuo a difendere a spada tratta l’esistenza della localizzazione italiana, testuale o doppiata che sia. Certo, in passato come oggi, esistono vere perle di vergogna, come l’ormai storico “Ssssi sssvegli, Misster Freeman” di Half Life 2, battuto solo da Clive Barker’s Jericho e King’s Field, ma questo non mi ferma certamente dal dire che, quando possibile, preferirò sempre e comunque un’opera riadattata nella nostra lingua rispetto a una versione originale.
Sono consapevole che, così facendo, rischio di perdermi qualche inflessione particolare o gioco di parole che non può essere riprodotto altrettanto efficacemente in Italiano, ma apprezzando un titolo è sufficiente colmare le proprie lacune in un secondo momento. Anche io ho vacillato in passato: dopo una vita passata su World of WarCraft ho rischiato un ictus nel sentire nomi storici stravolti, e ancora faccio fatica a digerire quel Roccavento che – in realtà – dovrebbe rispecchiare il nome Stormwind, per non parlare dei Troll che hanno guadagnato una buffa parlata napoletana. Eppure, dopo il trauma iniziale, ammetto che tutto funziona perfettamente, e i nomi riadattati nell’italico idioma suonano in modo perfettamente musicale, senza forzature di sorta.
a più di trent’anni suonati, continuo a difendere a spada tratta l’esistenza della localizzazione italiana
Nello stesso modo in cui apprezzo una buona opera di localizzazione, sono però anche in grado di arrabbiarmi come un disperato davanti a plateali esempi di mancanza di rispetto e professionalità, come è accaduto nel caso di Wasteland 2 di inXile: Fargo, decidendo di affibbiare l’opera di traduzione alla folla grazie a un progetto di crowdsourcing (in soldoni: chiunque poteva tradurre parte del testo per portarsi a casa una copia del gioco), si è trovato con un prodotto talmente instabile e buggato che Steam ha preferito prendere le distanze, rinnegando il supporto alla lingua italiana.
L’ultima conferma del mio amore verso i doppiatori italiani l’ho avuta con Rick & Morty, una delle migliori serie animate che mi sia mai capitato di vedere (è su Netflix, guardatela!) che ho preferito di gran lunga nella sua variante italiana, con Iansante e Chevalier che prestano la voce ai protagonisti, donandogli personalità e carisma maggiori rispetto a quelle dell’autore e doppiatore originale Justin Roiland, a mio avviso sin troppo freddo e distaccato.
Infine, la frase «oggi è inconcepibile non capire l’inglese» che appare così tante volte nelle discussioni tanto da sembrare un problema ai tasti CTRL C e CTRL V, è a mio avviso totalmente insensata: sì, l’inglese lo capisco, e proprio per questo posso gustarmi un buon lavoro di localizzazione. Una traduzione è un lavoro difficile e complicato, quindi lasciamolo fare ai professionisti, con tutto il bene e la stima che posso provare nei confronti di chi decide di tradurre amatorialmente in Italiano un titolo che non lo prevede, facendo sì un favore ai giocatori, ma facendone uno ancora più grosso agli sviluppatori che si ritrovano con un prodotto “completo”, senza pagare per il servizio.