Firkraag sei mio (il drago rosso di Baldur’s Gate 2, per chi non lo conoscesse)! Il party è preparato: i retti guerrieri brandiscono armi +4, il disonesto ladro è esperto nell’evadere palle di fuoco et similia, mentre l’eclettico mago ha memorizzato incantesimi devastanti. Pertanto, lo ripeto, Firkraag sei mio! La pianificazione è perfetta, la disposizione del party strategica, le faretre sono colme, ho altresì fatto abbondante scorta di pozioni dell’eroismo, perfette per quel “buff” in più, sempre utile in simili frangenti. Poi, qualcosa va storto: la THAC0 non entra, il tiro salvezza non salva, la “freccia mordente” manca il “facile” bersaglio. La fiammata scaturita dalle arroventate fauci fa piazza pulita di mago e arciere in un sol colpo, nonostante la tunica di resistenza al fuoco. Ed è il game over.
Cos’è andato nel verso sbagliato? Dove ho errato? In realtà, a livello di tattica era davvero tutto ben concepito, solo sono stato colpito da una ingenerosa dose di alea adversa, ovvero sono stato vinto dagli “stramaledetti” numeri casuali, la cui randomica generazione già mi perseguita sin dai tempi del Commodore 64, laddove veniva prodotta una serie di cifre pseudocasuali in base al cosiddetto “seme” (seed, in inglese), il punto di partenza di una sequela predefinita. In pratica, il sistema di molti GdR simula il getto di un dado a 20 facce, tipico “babau” del Dungeons & Dragons (lo si può trovare, in genere, nella scatola rossa), che può determinare le più svariate sorti: il successo di un tiro per colpire, la realizzazione di un tiro salvezza, e via così. Di fronte alla sorte, si sa, nella vita o si è come Gastone Paperone, cui tutto bene va, oppure il cugino più sfortunato, ma decisamente più simpatico, forse perché più simile a noi – Paperino, ovviamente.
In ogni caso, come da tradizione storica del Gioco di Ruolo, ho imparato ad accettare e a ben tollerare la variabile “fato” nelle mie partite, e ancora oggi – dopo essermi fatto le ossa con i vari Baldur’s Gate e derivati – apprezzo quei titoli che in non piccola misura poggiano le sorti di un incontro/scontro su quella ineffabile incognita così tipica della vita vera. Dunque, Morrowind, che ancora fattorizzava la possibilità di mancare il bersaglio in base al nostro attributo Agility, e i più recenti Blackguard (di Daedalic), Shadowrun (la serie), e il temibilissimo Darkest Dungeon, che fa dello “stress” riversato sui personaggi il suo terrore più grande.
i programmatori – a volte – sono un po’ troll, oppure non hanno afferrato bene il concetto di probabilità
Dopo queste “dottissime” considerazioni, potreste chiedervi allora perché in giochi come XCOM, ove sovente viene indicato un solido 90% di probabilità di andare a segno, si possa arrivare a mancare il bersaglio sino a quattro volte consecutive. Beh, è noto a tutti che il computer bara e che la IA si agevola… e nel caso questa sia la vostra sorte, è forse meglio giocare a Oblivion, dove un’ascia bipenne va sempre a segno!