L’importanza di avere buoni amici (su Facebook)

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Quello della comunicazione tra videogiocatori su internet è un tema di cui non mi stanco mai, specie in virtù del fatto che, salvo sporadiche eccezioni, rappresenta la quasi totalità degli scambi sull’argomento tra persone adulte che lavorano, hanno mogli, figli e commissioni da sbrigare. Facebook, ora come ora, ha soppiantato il ruolo che una volta avevano i forum, e se da un lato si è evoluto come un ambiente più dispersivo, dall’altro permette alle persone di conoscere l’interlocutore su aspetti non prettamente legati ai soli videogiochi. A casa Zuckerberg si condividono gusti letterari, cinematografici, musicali ma anche attitudini personali decisamente più intime: elementi che concorrono a maturare un’immagine dell’altro che, se anche non fotografa la sua personalità in maniera univoca, almeno la inquadra con un’approssimazione sufficiente a intavolare confronti con l’illusione di “conoscersi”.

Può capitare, allora, che un videogiocatore faccia esperienza di un gameplay che mai dimenticherà proprio perché alcuni suoi contatti si permettono di insistere, anche privatamente, sulla qualità di un titolo che in prima battuta avrebbe rimesso sullo scaffale. Mi è successo recentemente per SOMA di Frictional Games, che dopo un’oretta stavo per cancellare dal disco fisso perché troppo “disturbante” per la mia indole da amante degli strategici turn based. Lasciato un messaggio di commiato sulla bacheca poco lontano da «sarà un capolavoro ma mi mette paura e non ce la faccio», sono stati tantissimi gli amici che, con grande umiltà, mi hanno scritto di non mollarlo, di resistere anche cambiando le condizioni ambientali di fruizione perché subito dopo il punto in cui mi ero fermato la tipologia di tensione sarebbe cambiata e, conoscendomi, erano convinti che lo avrei apprezzato tantissimo. Sto parlando di persone, magari frequentate solo virtualmente, che mi hanno contattato persino su Messenger, senza fare spoiler, per farmi cambiare idea. Non stavano affermando alcuna superiorità di giudizio, ma solo amore per quell’IP e un desiderio palpabile di condividerlo. Confesso che sono rimasto colpito, tanto da trovare la forza di spegnere il surround, accendere le luci della stanza, abbassare il volume, superare quel checkpoint galeotto e finire SOMA, godendomelo tutto fino all’ultima scena.

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È utile sforzarsi di essere sempre onesti quando si esprime un parere personale

Tempo fa avevo fatto un ragionamento analogo parlando di Elite Dangerous, laddove stavo per ricadere nel loop dei viaggi infiniti tra sistemi: il replay di un amico mi ha fatto riflettere sul fatto che non era quello il momento di perderci ancora del tempo. Episodi come questi capitano quotidianamente, tra persone educate e non fanatiche, anche per abitudini alimentari, riflessioni spirituali o pratiche educative, sempre e comunque quando alla base c’è quell’umiltà di scrivere ”assaggia, pensa, prova” senza volersi imporre, senza giudicare, senza verità in tasca.

Tornando ai videogiochi, diversamente dalle classiche recensioni delle testate giornalistiche che sfruttano un meccanismo top-down legittimato dall’autorialità, la relazione tra pari poggia la sua efficacia proprio su quella fiducia che si instaura nel tempo, confidenza dopo confidenza, al netto persino di avere opinioni contrastanti su titoli particolarmente discussi (Star Wars: Battlefront II anyone?) ma sempre espresse con la riserva del IMHO. Il fenomeno degli influencer testimonia appunto che al grido di “sono uno di voi” si possono orientare all’acquisto larghe fette di popolazione senza bisogno di fare pubblicità o investire quattrini in particolari strategie di marketing. Diventa allora fondamentale imparare a fare un po’ di selezione all’ingresso, scegliendo il pubblico a cui si vuole parlare e da cui ci si vuole far consigliare. È utile sforzarsi di essere sempre onesti quando si esprime un parere personale, così da farsi “conoscere” per quello che si è davvero, dimenticando l’immagine che si vuole dare all’esterno, inutile se ciò che si cerca è un confronto costruttivo. Certo, ci vuole anche un po’ di fortuna, perché è un attimo a riempirsi di contatti virtuali sciocchi e superficiali… ma come scriveva Claudio non più tardi di ieri in questo editoriale, il tasto “unfollow” è il primo dei nostri amici: vogliamogli bene.

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