Souvenir di un altro mondo

the witcher

L’altro giorno, girando per negozi distrattamente, il mio sguardo è stato catturato da uno di quei cosi con la molla che si appendono allo specchietto retrovisore. A forma di scheletro, è il classico feticcio kitsch che per cinque minuti cattura la tua attenzione, lo prendi e lo molleggi in maniera che possa fare la sua danza macabra in stile Fantasia, e poi lasci lì sullo scaffale. Nel mio caso invece mi ha fatto pensare, o meglio ricordare.

Un oggetto del genere era finito a casa mia durante gli anni universitari, non so se l’avessi comprato in qualche fiera o avuto in regalo, e lo avevo appeso alla libreria fatta di griglie di acciaio sotto la quale, a casa dei miei, avevo il computer della morte™, compagno di mille avventure. Era lì, quando passavano gli autobus sulla strada ballava un po’, durante le telefonate mi divertivo a tirargli le gambette ossute e godermi la sua strampalata danza.




La notte del 6 aprile del 2009 stavo facendo un drittone di quelli pesanti, in compagnia di The Witcher, perché mi ero finalmente deciso a smaltire il backlog e chiudere l’avventura dello strigo. Intorno alle 3.30, lo scheletro, quello scheletro, inizia una danza molto più macabra del solito, e mi coglie un giramento di testa. La mia reazione, che a distanza di anni ancora mi fa ridere in maniera amara ma sincera, è quella di premere il tasto per il quick save e mettere la mani sulla scrivania, pensando che mi stessi sentendo male.

Non ero io, era la terra che stava tremando a 230 km da me. Mia sorella esce dalla sua camera, i miei per fortuna dormono, e viviamo trenta secondi irreali, per fortuna al sicuro dall’onda distruttiva di quella nottata. Ancora oggi, a distanza di otto anni, faccio fatica a togliermi da dosso quella sensazione irreale di spaesamento e di senso di vuoto, se non altro perché, nel mio piccolo, il mio pensiero andò immediatamente a un’amica che era tornata a casa in Abruzzo proprio in quei giorni.




I souvenir di mondi virtuali che mi porto dietro sono oggetti del mondo reale trasfigurati del loro valore materiale

Il perché di questo excursus malinconico è duplice, perché dopo otto anni il mio cervello tiene ancora indissolubilmente legati un oggetto materiale, come lo scheletro, uno immateriale, come The Witcher, e un fenomeno drammatico come quello del terremoto. Non posso pensare a uno senza ricordare gli altri due, e ho sempre pensato che è buffa la fluidità con cui il cervello fonda le cose, e associ oggetti del mondo reale a quelli di uno virtuale.

Ragionando su largo spettro, spostandoci un attimo dalla malinconia di quella nottata, non si tratta dell’unica strana unione tra oggetti e videogiochi. Non posso pensare, infatti, al mio modellino di Testarossa Bburago senza collegarci OutRun, oppure il pallone della Nazionale vinto con chissà quale merendina a John Barnes European Football su Amiga giocato insieme al mio vicino di casa. Lo stesso con cui si lanciava Golden Axe e poi magari, dall’altro, ricordo benissimo che prendeva la mia spada di He-Man, quella con i suoni, e si riproduceva in ridicole mosse fuori al balcone. Più recentemente, per me Civilization VI è il gioco dell’agendina di TGM con cui ho scritto gli appunti a Colonia, Skate è il gioco delle mie Nike SB e Watch Dogs 2 è il titolo che mi ha fatto scoprire di essere allergico ai porri (una lunga storia). Più del merchandising dei giochi, guardandomi indietro scopro che i souvenir da un altro mondo (a riguardo, dire la parola souvenir senza il CD omonimo degli Alcest mi è difficile) che mi porto come bagaglio personale sono oggetti del mondo reale, che trasfigurati del loro valore materiale, diventano porte d’accesso ai mondi virtuali di cui sono simbolo, per me, e lo saranno probabilmente per tutta la vita. Un po’ come se quello scheletro, in realtà, non fosse altro che una reliquia di Vizima.

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