Il finale che vorrei

Tranquilli, non entrerò nello specifico del finale di The Last of Us Part II, né tantomeno rievocherò la conclusione – discussa, discutibile – della saga del comandante Shepard, tuttavia mi preme dire che la linea di pensiero che vede l’opera delle software house come qualcosa di “sacro” e “inviolabile” non mi trova d’accordo.

In primo luogo, la difesa, accalorata, di una frangia di giocatori che propugna l’indiscutibile paternità di un’opera di intelletto videoludica si scontra con il fatto che sovente i videogiochi si reggono sulle stampelle di lavori altrui. The Last of Us, il primo – eccezionale, coinvolgente, emozionale, deve la sua esistenza e si poggia sui pilastri de I Figli degli uomini (di Alfonso Cuarón e con Clive Owen), pellicola a sua volta tratta dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica P. D. James. Certo, ci sono delle sostanziose divergenze, ma l’ossatura così come alcune suggestioni visive provengono direttamente dal film.

l’universo videoludico è ricco di reboot e remake, la cui “utilità” sovente mi sfugge

Ammettiamo che un giorno i videogiochi riescano a sbarazzarsi del cordone ombelicale che li lega al cinema e alla letteratura (e io attendo con ansia questo momento), occorre pur rendersi conto che la figura dell’autore inossidabile la cui opera egli difende strenuamente nel tempo contro stravolgimenti vari è davvero irrealistica. In assoluto, sarebbe un concetto bellissimo, in pratica – quotidianamente – gli autori hanno a che fare con la censura (purtroppo), con le esigenze degli editori, con il feedback dei utenti e con il bisogno di produrre prequel e sequel. Con la necessità, in buona sostanza, di vendere. Non a caso quello dell’intrattenimento videoludico è un universo ricco di reboot e remake, la cui “utilità” sovente mi sfugge.

Se avete visto l’adattamento cinematografico de Il Nome della Rosa saprete già che il finale del film ben poco ha a che spartire con le fasi conclusive dell’opera letteraria. Come questo stravolgimento sia stato possibile non è dato sapere, so solo che – personalmente – avrei osteggiato la prospettiva hollywoodiana; e se cogliete dell’ironia, in questo, sappiate che è voluta. Se c’è un motivo valido, invece, per cui ritengo sia inutile modificare la sequenza conclusiva di un titolo questo è da ricercarsi nel fatto che un’esperienza già vissuta, e “rovinata” (le virgolette sono d’obbligo), non è più cancellabile dalla memoria e il retrogusto amaro non se ne andrà mai.Ora, non fraintendetemi: adoro il fatto che i videogiochi siano maturati, e se si fosse rimasti a Tetris (opera meritevole, sotto altri punti di vista), io avrei smesso di intrattenermi con texture e pixel già da molti anni. “Ahimè”, nel lontano 1998 sono salito insieme a Gordon Freeman sul trasporto del primo Half-Life e da allora non sono più sceso.

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