Venti anni di Gothic

Venti anni fa vide la luce Gothic, ARPG di una piccola, giovanissima e pressoché sconosciuta – almeno, all’epoca era così – software house tedesca di nome Piranha Bytes, Il gioco uscì tardivamente nel resto del mondo, bel paese compreso, pericolosamente celato dall’ombra di Morrowind, ma chi si addentrò anche per poco nella barriera magica difficilmente ne è uscito mai per davvero.Non capita spesso di star qui, dalla parte degli editoriali, a elogiare un singolo gioco, in uno spazio molto più spesso dedicato ad aspetti generali su cui dibattere e confrontarci con voi. Non nego, però, di avere in mente questo editoriale su Gothic da chissà quanto tempo, di sicuro anni, e invero ho più volte “minacciato” un approfondimento del genere fra i miei colleghi della in redazione e persino altri articoli seminati in questo spazio virtuale. Oggi è arrivato il momento, nel pieno del ventennale del gioco e con un remake in sviluppo all’orizzonte.

WELCOME TO THE COLONY

Credo sia assai difficile, oggi, parlare di Gothic a chi non ha avuto la fortuna o possibilità di giocarlo nel periodo dell’uscita. Oggi il titolo è minato irrimediabilmente dal segno del tempo, a cui si aggiungono tante altre criticità che possono disturbare in più parti l’esperienza di gioco. È anche per questo che con personale passione, prima di tuffarmi nell’elaborazione del testo che state leggendo, ho installato il gioco e macinato circa quattro ore all’interno della Barriera, per poter riassaporare tutte le bellezze di Gothic approfittandone per fare gli screen che vedrete qui intorno.

A uno sguardo poco attento potrebbe in parte sembrare una recensione, ma non lo è. Si tratta di un atto d’amore per quello che è, senza ombra di dubbio, uno dei miei videogiochi preferit.

Gothic

Partiamo subito dall’ambientazione: non ho mai nascosto la mia poca passione verso i mondi fantasy e tutti i feticci annessi. Poche sono le eccezioni, tra cui la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, qualche titolo videoludico ben impostato narrativamente (The Witcher, ad esempio) e, appunto,  Gothic, che pur inserendosi nella più classica delle guerre tra orchi e umani si collocava in periferia, facendoci vivere le conseguenze di quel conflitto senza mai buttarci in prima linea, con la necessità di creare una sorta di città-prigione dove mandare schiavi e criminali a estrarre minerale prezioso per forgiare armi per gli umani. Un compito che, manco a dirlo, puntualmente si trasformava in una trappola. L’idea dei maghi del Re era di creare una sorta di Barriera dove rinchiudere queste persone, ma come spiega il prologo del gioco, qualcosa ostacola l’incantesimo, allargando in modo spropositato l’impedimento magico, con gli stessi maghi che ne rimangono intrappolati e tutti i criminali che prendono il sopravvento sulla situazione, mettendo nuove regole per assicurare il carico di metallo per l’Esterno. E qui entrano in scena tre aree diverse, capaci di far scender giù una lacrimuccia a chi le visse con stupore e ammirazione per l’originalità: Campo Vecchio, Campo Nuovo e Campo Palude.

Questo è un atto d’amore per quello che è, senza ombra di dubbio, uno dei miei videogiochi preferiti: gothic

UNA SOCIETA’ VIVA

Uno dei pregi maggiori che ha contraddistinto Gothic da tutti gli altri GdR è quello di avere un luogo di gioco non tanto caratterizzato da dettagli estetici ricchi di dettagli, bensì dalla popolazione che lo abita. Sono proprio le tre diverse fazioni e i relativi abitanti, così peculiari e organizzati nella società, a rendere la mappa di gioco un luogo che impareremo a conoscere perfettamente a ogni ripresa della partita.

Oggi può risultare una meccanica banale, qualcosa dal sapore di già visto, ma nel 2001 il sistema di Gothic era assai complesso e sfaccettato, anche più di quello di Morrowind. Non si palesava la semplicistica azione di decidere tra una o l’altra risposta in una finestra di dialogo, bensì la scelta di scovare un nascosto sistema di interazioni sia tra i personaggi che tra i Campi, strutturato dalle stesse regole dell’area in cui ci si trovava. Tre Campi in relativa armonia tra di loro, dove ogni cittadino poteva andare a visitare l’altro, per piacere o per commercio, odiando di nascosto l’altra fazione.

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