Borderlands, il primo, uscì nel 2009 e diede vita al genere dei looter shooter. Ci volle un po’ perché altri decidessero di imitarlo, ma negli ultimi anni ne abbiamo visti vari esempi, con una caratteristica comune: una percentuale di strafalcioni molto alta.
Ormai più di dieci anni orsono, il mio primo approccio con Borderlands avvenne per caso: in quel periodo stavo superando la fase in cui mi sfondavo allegramente di Team Fortress 2 per passare a quella in cui mi sfondavo allegramente di Heroes of Newerth. Un giorno entro su Mumble (ai tempi il fratello hipster di Teamspeak) e trovo il mio gruppo di amici impegnato a giocare allo sparatutto di Gearbox. Incuriosito, decido di provarlo anch’io e bam: fulmine a ciel sereno, mi innamorai subito del mondo, dei personaggi, del gameplay un bel po’ grezzo ma anche soddisfacente, e poi i revolver elementali, quanto erano fighi i revolver elementali. E ancora oggi, i looter shooter sono un genere che non manca mai di attirare la mia attenzione. Sarà l’inevitabile ciclo della dopamina legato a quando vedi un drop arancione cadere a terra, non so.
UNA STIRPE NOBILE
Com’è noto, l’idea alla base dei looter shooter trae ampiamente ispirazione dal genere degli hack ‘n slash, ma curiosamente quest’ultimo non mi ha mai preso allo stesso modo. Non che non gliene abbia dato una possibilità eh: ho giocato a Titan Quest, Diablo II & III, Path of Exile, Torchlight I e II, Grim Dawn. Ma tutti, invariabilmente, dopo un po’ (troppo poco, per gli standard del genere) mi annoiano. Non saprei nemmeno dire di preciso perché, anche se probabilmente è un misto fra un gameplay che tende invariabilmente a declinare verso “una sacco di cose che succedono a schermo e auguri a capirci qualcosa” e la mia cronica incapacità di scegliere una build che non faccia mettere le mani nei capelli a chiunque se ne intenda un po’.
Perdonate il mio peregrinare: ciò che sto cercando di dire è che per qualche motivo, a dispetto delle somiglianze che hanno con il genere hack ‘n slash, i looter shooter invece mi piacciono un sacco ma, e qui arriviamo al punto dell’editoriale, pare quasi che siano un genere maledetto. Perché maledetto? Ma perché insomma, lo sappiamo tutti, sembra che quando uno sviluppatore decide di mettersi a lavorare a un looter shooter deve per forza infilarci qualcosa, o più di qualcosa, che non va mica tanto bene. Prendiamo l’esempio che sicuramente è venuto in mente a molti di voi: Anthem, che nel giro di poche settimane dal lancio aveva già raggiunto lo status di fallimento clamoroso e il cui tentativo di rilancio è stato di recente assegnato ad altri progetti da Electronic Arts (che è un moto gentile di dire “chiuso”). Di Anthem provai la beta, che per una serie di motivi mi convinse ad essere prudente, ma una cosa in particolare mi lasciò perplesso. Il concetto alla base dei looter shooter, come degli hack n’ slash, è che i nemici sconfitti o i forzieri aperti ci permettono di trovare armi e altri oggetti che, una volta che la polvere si è posata sul campo di battaglia, possiamo immediatamente confrontare con quanto già abbiamo indosso e decidere se utilizzare.
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