La brama di varietà dei videogiocatori – Editoriale

Ancora lungi dall’essere un gamer, fui iniziato al gioco degli scacchi in un momento indefinito della mia preadolescenza. Durante una vacanza a Volterra, i miei genitori comprarono una scacchiera di alabastro, e cogliendo l’occasione mio padre mi insegnò i rudimenti.

varietà

L’entusiasmo si esaurì dopo qualche settimana, per poi riaccendersi con Battle Chess sul mio Amiga 2000, più che altro per assistere ai modi pittoreschi con cui i vari pezzi si toglievano la vita. Era il 1990, più di trenta anni fa. Passa il tempo, e arriviamo alla tristemente famosa “fase uno” della pandemia, con il mondo chiuso in casa e tutti noi che improvvisamente ci scopriamo scrittori, poeti, pittori e pasticcieri con risultati spesso imbarazzanti. Un mio amico ha invece approfittato della quarantena per avvicinarsi proprio agli scacchi, e una sera di poche settimane fa, dopo cena, mi racconta della sua nuova passione, mentre senza nemmeno chiedermi se volessi fare una partita già mi invita a posizionare i “bianchi”. Non posso tirarmi indietro, ma almeno gradirei essere informato sulle novità introdotte in queste tre decadi. “Va bene”, chiedo osservando il mio piccolo esercito, “Quali nuove unità sono state aggiunte?” Dall’altra parte un’enigmatica poker face. Incalzo. “Sì, insomma, che nuovi personaggi ci sono? L’assassino? Il bardo?”.

COME SI SONO AGGIORNATI GLI SCACCHI NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI? NUOVE UNITÀ? NUOVE MECCANICHE? HANNO AGGIUNTO BARDO E ASSASSINO?

Nulla, il mio avversario mi fissa senza proferir parola. Molto scorretto – penso – sa che non sono aggiornato e vuole partire avvantaggiato. Così mentre fingo di stare al suo gioco, armeggio con lo smartphone googlando “Chess new units 2021 update”. Ottengo risultati non rilevanti, così decido di improvvisare e inizia la sfida. Qualcosa mi ricordo, con l’alfiere elimino prima un pedone e poi una torre. A quel punto chiedo quanto manca per farlo livellare. Ha già ucciso due nemici, immagino la valanga di punti esperienza, ormai dovrebbe diventare un paladino o qualcosa di simile, o almeno unirsi al cavallo – non in quel senso, maliziosi – e diventare un alfiere a cavallo, non dirmi che non esistono neanche le mount. Nulla di tutto ciò. Termino la serata con tre sonore sconfitte e l’opinione che la regina andrebbe nerfata, si muove troppo, le sue abilità sono esagerate, non va assolutamente bene. Ma soprattutto, non riesco a concepire come un gioco antichissimo sia rimasto uguale nel tempo, e che alla gente vada bene così. E penso al mio mondo, i videogiochi.

In quest’ultimo anno mi sono cimentato abbastanza seriamente con Legends of Runeterra, che viene praticamente stravolto ogni due mesi: nuovi campioni, Monumenti, abilità Concentrazione, Carte Celestiali, per non parlare dei continui e minuziosi bilanciamenti di punti vita e danno. Se provate a giocare oggi con un mazzo creato un anno fa, vi rompono il Nexus in cinque turni, perchè le nuove carte hanno aperto la porta a strategie, manovre di attacco e tattiche difensive una volta impensabili. E guai se non fosse così: giocatori in rivolta, titolo disinstallato e team di sviluppo nella lista nera, accusato di sedersi sugli allori, pensare solo ai soldi, aver esaurito la creatività, rilasciare solamente “more of the same”. Eppure tutto questo pretendere novità a spron battuto non trova riscontro nella vita reale, anzi siamo ben felici se durante la nostra assenza tutto rimane immutato. “Stessa spiaggia, stesso mare” cantavano Mina e Focaccia, “Tutto è come quando me ne andai”, facevano eco i Nomadi.

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