Una vita è sufficiente per imparare il Kung Fu? Questa la frase di apertura che mi appare sulla PS5 quando lancio Sifu, avvincente e decisamente impegnativo picchiaduro con elementi roguelike. In qualità di pro player momentaneamente senza sponsor ora che è venuta a mancare mia zia Concetta, forte dei miei trascorsi con i più ostici beat ‘em up dei tempi d’oro come Final Fight, Double Dragon, ma soprattutto Kung-Fu Master che come il titolo suggerisce è basato sulla stessa arte marziale del titolo Sloclap, mi accingo con una certa aria di sufficienza a vendicare la morte del padre della protagonista – io quando posso gioco sempre con PG femminili – certo di chiudere la pratica in un paio di orette.
Ricevo una compilation di schiaffazzi di EnzoBraschiana memoria che non ha precedenti e questo mina le fondamenta di un’autostima che ritenevo incrollabile. Non mi capacito di quanto accaduto. È tutta la vita che mi dedico ai videogiochi, vanto un’esperienza pluridecennale, addirittura ho praticato il Kung Fu sull’arcade di casa Irem, come è possibile questa débâcle? Fatico addirittura ad eseguire le combo a tasti multipli, io che dominavo le mezzelune di Street Fighter II urlando Shoryuken quando i miei montanti andavano a segno e altre espressioni irripetibili le rare volte in cui mancavo il bersaglio. Mentre mi interrogo su questi per me inaccettabili avvenimenti, su YouTube e Twitch iniziano a circolare gameplay e dirette in cui ragazzini troppo giovani per aver mai infilato 200 lire in un cabinato avanzano nel gioco seminando morte e distruzione per i corridoi come nella celebre scena del film Oldboy. Ritorno alla schermata Home, e la domanda è ancora lì: Una vita è sufficiente per imparare il Kung Fu?
TANTE, TANTE VITE SPESE
Tralasciando il significato che assume la massima all’interno del gioco, in cui il protagonista invecchia diventando sempre più forte tecnicamente ma sempre più debole nel fisico, rimane aperta la questione, ripetiamola ancora: una vita è sufficiente per imparare il Kung Fu? Forse sì, forse no, ma non è questo il punto. Se pratico il Kung Fu per un determinato periodo di tempo, arrivo a un certo livello di conoscenza che diventa parte integrante delle skill a mia disposizione nella vita reale. Quindi forse non imparerò mai – nell’accezione di padroneggiare – il Kung Fu, ma si suppone che allenandomi a lungo sia in grado almeno di dare un pugno. Questo accade in tutte le arti marziali e più in generale in tutte le attività in cui siano richieste competenza e abilità. Una vita è sufficiente per imparare ad andare in skateboard? Tony Hawk direbbe di sì, i protagonisti dei vari epic fail che popolano TikTok magari la pensano allo stesso modo ma potrei non concordare. Tuttavia riescono lo stesso ad andare in uno skate park ed eseguire qualche trick.
Allora perché se un artista marziale incompleto può comunque dare due pugni, o uno skater scarso può comunque divertirsi con la sua tavola, un videogiocatore esperto come me si sta frustrando a venir malmenato a Sifu senza vedere progresso alcuno? Perché a differenza di Kung Fu, skateboard, chirurgia, cucina, chitarra elettrica e tutto ciò che vi viene in mente, nei videogiochi le skill sono usa e getta. Avevano ragione i nostri genitori quando ci dicevano che stavamo perdendo tempo, che non saremmo andati da nessuna parte a suon di giochini. Un bravo cuoco trentenne che decidesse di cambiare mestiere, potrà deliziarci con i suoi piatti anche quando compirà quarant’anni, magari avrà perso un po’ la mano e non sarebbe in grado di imporsi in competizioni gastronomiche, ma il suo bagaglio di conoscenza sarà sempre lì, pronto all’uso. L’aver finito Final Fight con solo tre gettoni – ok, va bene, tredici. No, ventuno – non mi è servito più a nulla una volta che il gestore della sala giochi ha restituito il cabinato. Con buona pace di mia nonna, forte dell’adagio che andare in bici, una volta imparato, non si scorda mai. Non si scorda mai, ma se non andrò mai più in bici non mi serve più a nulla. Forse, se mi capitasse di nuovo Final Fight tra le mani, potrei dire la mia, ma ora sono qui piantato con Sifu a pensare in che modo la mia esperienza sia stata annullata e soprattutto se valga la pena applicarsi per imparare una serie di tecniche, strategie e combo che poi finiranno nell’oblio. Perché è questa la realtà.
Quindi: una vita è sufficiente per imparare il Kung Fu? Ma chi se ne frega. Una vita è sufficiente per imparare a videogiocare? No, maledizione, non imparerò mai, e dovrò resettare ogni volta tutte le mie conoscenze. Le ore spese a Bubble Bobble valgono zero assoluto quando passo a Super Mario. Pensateci: caramelle, bastoncini, pattern di movimento dei nemici, sistemi della cifra ripetuta nel punteggio e acrobazie rimbalzando sulle bolle, tutto alle ortiche. E quanto appreso con l’idraulico più famoso del mondo? Sicuramente conoscere posizione delle monetone d’oro, funzionamento di ogni costume e schemi di attacco dei boss di fine mondo si sono rivelati utilissimi per giocare a GTA. Hey, guarda come sfreccio sulla moto per Los Santos, merito di anni spesi a uccidere tartarughine Koopas.
la lobby degli sviluppatori ci costringe a impazzire su titoli e titoli in cambio di un calcio nel sedere!
SKILL TRASFERIBILI? MA MAGARI
Ci vorrebbe una sorta di convenzione a usare gli stessi parametri fisici per tutti i titoli, un po’ come il tasto X della Play che ormai è usato internazionalmente per confermare la scelte. Bene dai, avrò buttato anni e anni della mia vita, ma almeno so che con X confermo le scelte. Un vantaggio titanico rispetto ai nuovi arrivati. E quella cosa che con Esc chiudi il menù delle opzioni su PC? Non ditelo a nessuno, lasciate che si arrangino, quei mocciosi newcomer. Qualcuno si è accorto del disagio dei videogiocatori e vuole cavalcare l’onda del dissenso. Solo questa motivazione può giustificare l’esistenza dei vari Bejeweled, Candy Crush, Cookie Jam e altri cento giochi hyper casual tutti uguali. Sono rivolti a quella categoria di persone che hanno faticato moltissimo a cercare di capire come allineare tre iconcine dello stesso tipo, e non tollerano che preziose maestrie come queste cadano nel dimenticatoio. Non sono giochi per bambini, bensì per adulti saggi che non vogliono impegnarsi in cose inutili.
Ecco allora che con un piccolo sforzo possono passare dal mettere in fila tre diamantini a mettere in fila tre ciambelle o tre pere, dimostrandoci che con quella skill acquisita una volta possono godersi centinaia, anzi letteralmente migliaia – 11015 gli stage di Candy Crush Saga al momento in cui sto scrivendo questo editoriale, undicimilaequindici! – di livelli senza dover fondamentalmente imparare nulla di nuovo. Se per giocare devo solo imparare a muovere un pollice, non è più un dramma. Alla peggio mi riciclerò come un buon autostoppista. E questo spiegherebbe anche la comoda campana di vetro della comfort zone nella quale vivono gli appassionati di retrogaming, ancorati a delle abilità che proprio non se la sentono di abbandonare. “Eh, ma i giochi di una volta erano molto più difficili”. Forse, ma smettono di essere tali quando ti ci dedichi da trent’anni e ormai puoi terminarli anche a occhi chiusi, da tanto hai memorizzato la sequenza di azioni da compiere al pad. La verità è che ti rode ammettere che hai sprecato una valanga di tempo ad imparare il nulla e così mentre il mondo va avanti a suon di HDR in 8K tu ancora accendi il tuo home computer a 320×240. E trova una sua logica anche la caparbietà dei giocatori di Hearthstone, che da quasi dieci anni si lamentano di mancanza di bilanciamento pur rimanendo ancorati alle proprie abilità acquisite, versione digitale dei pensionati che imprecano ogni santo giorno alle partite di Scopa al bar.
Adesso, cari commentatori immaginari, starete obiettando che l’esistenza di una persona non deve essere intesa solamente come una serie di opportunità per accrescere le proprie competenze, e anzi in una società dal ritmo frenetico come la nostra, la quantità di tempo da dedicare allo svago fine a sé stesso è un buon indicatore della qualità di vita di una persona. Virtualmente non c’è differenza tra finire la campagna di un RTS, guardare un film o leggere un libro: dedichiamo una piccola o grande parte della nostra vita a quell’attività, poi giriamo metaforicamente pagina e ci dedichiamo ad altro, giusto? Sbagliato. Ho imparato a leggere alle elementari, e con quei rudimenti base posso tuffarmi in qualsiasi romanzo, al massimo cercando sul vocabolario il significato delle cosiddette parole difficili, già che da buon veneto l’utilizzo del turpiloquio come wildcard mi ha limitato nel lessico.
LIBRI E FILM NON RICHIEDONO CONOSCENZE PREGRESSE, MENTRE SAPETE QUANTO HO DOVUTO SUDARE PER VEDERE I TITOLI DI CODA DI RETURNAL?