Si tende spesso a parlare di dissonanza ludonarrativa quando l’azione sullo schermo va in contrasto con i temi trattati dal videogioco, ma siamo sicuri di non essere di fronte a un non-problema?
Qualche mese fa – più o meno sul finire dell’anno scorso – si parlò molto di dissonanza ludonarrativa, tanto che su diverse testate del nostro Bel Paese spuntarono molti articoli di opinione sul tema. Diversi colleghi dissero la loro su questo argomento, spesso portando esempi concreti per validare le tesi che stavano elaborando, in un botta e risposta piuttosto piacevole che ha coinvolto gran parte della critica videoludica italiana. In verità questo articolo avrei voluto scriverlo allora, ma poi per vari motivi ne discussi solamente in privato con alcuni colleghi e amici.
non ho potuto fare a meno di ripensare a quel dibattito
Nel caso non lo sapeste, Ghost of Tsushima è ambientato sull’omonima isola giapponese durante le invasioni mongole del XIII secolo. Nel gioco impersoniamo Jin Sakai, un samurai che si ritrova a fronteggiare l’esercito di Khotun Khan approdato sulle sponde di Tsushima per conquistarne i territori, per poi tentare successivamente di sottomettere l’intero arcipelago del Sol Levante sotto il dominio di Kublai Khan. Jin e gli abitanti di Tsushima si trovano alle prese con un invasore straniero che mette a ferro e fuoco l’isola, bruciando e saccheggiando le fattorie, torturando e giustiziando chiunque provi a ribellarsi al dominio mongolo, e costringendo il popolo giapponese a rifugiarsi in campi profughi di fortuna per sfuggire alla guerra. Una situazione riportata in maniera tutto sommato verosimile dagli sviluppatori, che non si fanno problemi a mostrarci la cruda realtà della guerra e soprattutto le conseguenze del conflitto sulla popolazione civile.
un mucchio di riso è più prezioso di un lingotto d’oro
Un altro esempio di dissonanza ludonarrativa è quello del classico eroe che deve salvare qualcuno in imminente pericolo ma ha tutto il tempo di farsi gli affari propri. Basti pensare a un qualsiasi The Legend of Zelda, compreso l’ultimo Breath of the Wild, dove Link può sì dirigersi immediatamente al castello di Hyrule, affrontare Ganon e liberare la principessa dalle grinfie della Calamità, ma può anche spendere giorni e giorni (reali e virtuali) a svolgere qualsiasi tipologia di attività mentre Zelda patisce le pene dell’inferno. D’altronde quella povera principessa è nel castello da un secolo, cosa saranno mai una settimana o due in più?
La dissonanza ludonarrativa viene controbilanciata dalla sospensione dell’incredulità
Qualcuno potrebbe non farsi alcun problema nel vedere Lara Croft dispiacersi per l’uccisione di un cervo nelle battute iniziali del reboot di Tomb Raider, per poi partecipare attivamente alla carneficina di mercenari che segue. Altri invece, come il sottoscritto per inciso, potrebbero storcere il naso: ma come, appena qualche minuto prima Lara versava lacrime perché costretta dalla fame a cacciare, e poi uccide brutalmente, senza scrupoli e senza nessuna conseguenza psicologica decine e decine di soldati prezzolati?
la dissonanza ludonarrativa è un argomento complesso