Il mercato dei live service sembra il prossimo obiettivo di Sony PlayStation e la recente acquisizione di Bungie da parte del colosso nipponico, in questo senso, appare come una tacita intenzione di puntare su progetti a lungo termine, articolati e complessi, capaci di costruire nuove ed appassionate community.
Se da una parte abbiamo Destiny che regna incontrastato sul fronte di MMO semplificati, da far girare su console e pc, un vero e proprio contendente il gioco non c’è mai stato: Anthem è stato un fallimento impressionante, Outriders è molto buono, ma a quanto pare le vendite non si sono rivelate incoraggianti, pur rimanendo lodevole l’intenzione di continuare a supportare il titolo con delle prossime espansioni e contenuti aggiuntivi. Poi ci sono i due The Division, forse i contendenti che più hanno dato fastidio al titolo Bungie.
Sia per il lancio del primo come del secondo capitolo, ricordo di essere riuscito a staccare totalmente la connessione profonda che ho con Destiny per dedicarmi al titolo Ubisoft. The Division era tattica, precisione, ispirazione e anche approfondimento di un open world mai banale, rigido e sinistro nella New York post pandemia (!), sommersa di neve e fazioni di ogni genere pronte a prendere il controllo della città.
Dopo i primi tre mesi di forte entusiasmo, la neve ha cominciare a sedimentarsi vicino al fuoco della passione: le azioni si ripetevano perdendo di mordente e i DLC successivi non riuscirono ad attirare l’attenzione necessaria. Ricordo di aver ripreso in mano il primo The Division proprio nei suoi ultimi mesi di attività, prima dell’uscita del sequel, notando netti miglioramenti, di quelli per cui se uno sviluppatore o publisher ci avesse speso tempo e investimenti, avrebbe potuto asfaltare senza problemi ogni pretendente al trono – o almeno, io la vedo così – dunque le speranze erano riposte tutte nel sequel.
The Division 2 arrivò con un carico di aspettative enormi a cui faceva eco la promessa degli sviluppatori: “Abbiamo capito cosa ottimizzare dal primo capitolo, questo sequel sarà stupefacente”, ed effettivamente The Division 2 fu una vera e proprio botta diretta nelle vene a cui l’immediata dipendenza mi faceva contare i minuti che mancavano dal mio rientro a casa da commissioni o simili, solo per riprendere il mio agente e continuare l’avventura su Washington.
dopo un primo capitolo non proprio perfetto, The Division 2 è stata una vera promessa di rivoluzione mantenuta, ma ora sembra che il gioco non abbia più nulla da dire
Mi sono sempre definito un grande appassionato di Destiny, pur mantenendo il lume della ragione, per cui alle lodi chirurgiche ho sempre messo in parallelo anche critiche chiare a difetti non più difendibili. Nel pieno del secondo anno di attività di Destiny 2, quello più difficile che ha visto migrare un numero impressionante di giocatori su altri lidi, The Division 2 si dimostrò un sequel validissimo, tanto da riuscire a staccarmi per quasi tutto il 2019 dal gioco Bungie.
The Division 2 era la vera promessa mantenuta e, tolti i classici nostalgici della neve di New York, il resto del pacchetto era davvero intrigante e funzionale.
Un anno. L’appeal di The Division 2 è durato essenzialmente un anno, per poi ricadere nello stesso problema del predecessore, la convulsa ripetizione, mettendo in mostra il vero problema principale per la perdita di interesse e valore: Ubisoft. Ma spieghiamoci.
The Division 2 nel tempo ha ricevuto DLC, un sistema di stagioni e altri contenuti, ma proprio quando stava costruendo qualcosa di totalmente unico, ecco la svolta inaspettata, con il ritorno a New York, il ripescaggio di i vecchi personaggi secondari e il giocare tantissimo sulla lore, elemento narrativo fino a quel momento mero contesto di contorno, qualcosa da molti criticato, puntando il dito alla semplicità con cui il nostro alter ego accetta missioni dove trucidare decine di criminali senza battere ciglio.
Con tutta questa attenzione alla narrativa, paradossalmente, la macchina The Division ha mostrato il fianco su un organo che era forse il meno importante. Ubisoft in quel momento aveva bisogno di rinfrescare e stabilire limiti e potenzialità del titolo. Il problema è che tutto questo è stato gestito in modo estremamente pigro, tra svolte del racconto poco credibili, agenti doppiogiochisti senza alcun motivo e l’unico collante interessante, l’agente traditore Aaron Keener, eliminato nel giro di una missione.
Proprio pochi giorni fa Ubisoft ha dato il via a una nuova stagione, assieme a nuovi contenuti, di The Division 2, ma gli appassionati sono alla porta, interessati a capire il futuro del franchise che per la seconda volta è in stallo, senza alcun segno di risveglio imminente. Il defibrillatore che dovrebbe riportare i giocatori a solcare le strade di Washington tarda ad attivarsi, e il futuro sembra meno roseo del previsto. Si, ma esattamente perché? Perché in ballo c’è The Division Heartland, misteriosa declinazione free to play di cui – ancora – non si sa praticamente nulla.
il futuro di the division non può racchiudersi in un titolo free to play
Se la stessa natura da free to play fa tremare le gambe a molti, ché di solito non è sinonimo di qualità assicurata, molti appassionati hanno paura che possa trattarsi di una declinazione più accessibile dedicata all’aspetto battle royale. E del film Netflix annunciato, qualcuno ha più saputo nulla? Del romanzo? Del mobile game? Di ipotetici The Division 3 o comunque dei contenuti più succulenti che non siano nuove stagioni con bersagli random da eliminare?
Insomma, Ubisoft, perché non credi di più nei tuoi veri cavalli di razza? La cosa peggiore che un appassionato di un titolo live service possa assistere, è vedere un gioco di una potenzialità impressionante, andare in frantumi a causa del poco interessamento della sua casa madre.
Credete di più in The Division 2, dateci contenuti e vi ripagheremo con rinnovata fiducia, ma se ogni tot settimane mi ritrovo a dare la caccia a soliti nemici con skin variabili, senza più stimolo alcuno, l’interesse è in una discesa senza fine. Credete in The Division 2 e salvatelo dalla monotonia, grazie.