Il videogioco contemporaneo non teme la nostalgia

“Non ci sono più i bei videogiochi di una volta”? Ma grazie al cielo! Intendiamoci, io sono uno che studia parecchio, cosa fondamentale per un redattore trentenne che, per forza di cose, una grossa fetta di golden age l’ha persa per questioni anagrafiche e ha dovuto iniziare questa passione in rincorsa. Proprio in questo momento, contemporaneamente a nuove opere, sto proprio giocando a Galaga ’88 e Neo Turf Masters, per dire, robe incredibili.

editoriale nostalgia videogiochi

È solo che mi rendo sempre più conto di quanto su certi giochi non esista possibilità di essere oggettivi, perché se da una parte il progresso tecno-ludico ha irrimediabilmente corroso titoli pionieristici anni ‘80/’90 e di inizio 2000, dall’altra la nostalgia canaglia e reazionaria di molti non vuole sentire ragioni, “riparando” come una colla miracolosa i danni del tempo e rimanendo aggrappati a un sempre più flebile “oggi fa tutto schifo”, totalmente slegato dalla reale qualità di quello che oggi offre il mercato. Crogiolarsi in questa comfort zone dimostra un attaccamento di comodo al videogioco, passione non più mossa dalla curiosità e dalla sperimentazione ma dai ricordi di tempi migliori, più semplici, colorati, col rischio di perdersi perle clamorose che con molta dedizione e passione sono riuscite a portare su un altro piano evolutivo proprio quei giochi-rifugio che sembrano intoccabili. Il videogioco di una volta esiste ancora, lo sviluppo indipendente ha basato il suo successo facendo quasi esclusivamente quello nei primi anni del fenomeno, solo in una versione incredibilmente migliore rispetto a 20-30 anni fa. Sono un iconoclasta, detesto le questioni di principio: oggi come oggi uno dei titoli più influenti di sempre, Super Metroid, è un’opera tecnicamente e ludicamente superata, pur rimanendo un pezzo di game design da far esplodere il cervello e sezionare con implacabile sete di conoscenza.

GLI ANNI PASSANO PER TUTTI

Attenzione, dicendo questo non sto ridimensionando il capolavoro Nintendo, che rimane pietra miliare e monumento nella timeline del settore videoludico, ma al contrario sto esaltando chi dalla formula è partito e ha dato un futuro a quel modo di fare gameplay, pensando ai seguiti diretti che hanno sfruttato le potenzialità delle macchine post-SNES (tra tutti Prime e il recentissimo Dread), ma soprattutto a gente come Thomas Happ, che coi due Axiom Verge ha portato nel presente quel DNA, intatto, quell’impostazione di gameplay e quello stile grafico per farlo rivivere secondo la propria visione, come fosse una naturale evoluzione, senza limitarsi alla vuota emulazione.

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Un esempio ancora più eclatante è l’esaltazione “a prescindere” dell’arcade, che analizzato oggi non cade troppo distante da meccanismi considerati tossici e mangia-soldi come i gacha-game, le loot box o i pay-to-win. Non è chiaramente un paragone diretto, sarebbe insulso (e anche un po’ un insulto), ma quelle che a tutti gli effetti erano opere quasi perfette, esaltanti giocattoli virtuali nati spremendo le migliori tecnologie sulla piazza, benedetti da sistemi di controllo pazzeschi e direzioni artistiche straordinarie (e la mia testa va subito a Metal Slug, ma c’è anche altra roba che sì, in questo caso non sembra davvero invecchiata di un giorno), venivano artificialmente tarate per spillare più soldi possibili agli utenti, con i game designer nel doppio ruolo di creativi ed esattori delle tasse.

È ANTISTORICO PENSARE CHE I GIOCHI DI UNA VOLTA NON VENISSERO SVILUPPATI ATTORNO ALL’INSERT COIN

Un approccio al medium figlio di quei tempi, di un business che ancora non osava immaginare di divorare cinema e musica nel giro di 20 anni, accettato e protetto perché circoscritto in un ambiente contemporaneamente sacro e profano come erano le sale giochi, luoghi dove venivano creati ricordi, fondati culti, celebrati rituali e dove l’amore per il videogioco veniva cementato 100 lire alla volta, da soli o con gli amici. Oggi una difficoltà così finta però non è concepibile, e non è questione di spina dorsale e machismo, ma di creare esperienze bilanciate (d’altronde basti pensare ai titoli pensati per console casalinghe, certamente duri ma decisamente più equilibrati) e libere da paletti e dogmi che si sono sciolti col passare degli anni, senza bisogno di far cadere il giocatore in trappola per questioni finanziarie, tipo rapina in un vicolo di Final Fight.

Sicuramente il movimento che più si avvicina e porta nel presente quella filosofia è il roguelite, che inverte la meccanica del gettone, non più tolto dalle tasche ma dato al giocatore (anzi, al suo avatar) per addolcire l’ennesimo retry, sotto forma di potenziamento più o meno permanente per affrontare una nuova partita, arrivando sempre più in fondo, sempre più forte e abile, aggiungendo uno strato ludico e tangibile a quello che, in piedi davanti a un coin-op, era solo l’esperienza maturata partita dopo partita; concetto che personalmente adoro e che rimane fondante (anche) di molti roguelite, però finalmente slegato da un modo di vivere il videogioco anacronistico e semplicemente non necessario da replicare per uno sviluppatore moderno, almeno nella sua forma primordiale.

NIENTE È STATO DISTRUTTO, TANTOMENO CERTI RICORDI INDELEBILI, MA TUTTO SI È EVOLUTO, FUSO, RIGIRATO SU SÈ STESSO, CHIUDENDO CICLI E APRENDONE ALTRI

Questa è Storia, cultura, e come tale va celebrata, ricordata, toccata con mano, visto che fortunatamente c’è la possibilità di farlo, ma il videogioco è esploso come una granata mandando schegge in ogni direzione, lasciando davvero la possibilità a ognuno di scegliere le proprie esperienze, quelle più adatte al proprio stile di vita, ricordando quasi più l’industria dell’abbigliamento che quella del cinema. Penso sinceramente che bisognerebbe lamentarsi di meno e giocare di più per capire che niente è stato distrutto, tantomeno certi ricordi indelebili, ma tutto si è evoluto, fuso, rigirato su sé stesso per diventare un’altra cosa, chiudendo cicli e aprendone altri, passando da Symphony of the Night a Hollow Knight, da Ninja Gaiden a The Messenger, da A Link to the Past a Breath of the Wild, perché la nostalgia dovrebbe essere qualcosa di intimo, da custodire gelosamente, mai un impedimento alle fruizione di nuove esperienze. Preferiamo vivere la creazione di nuovi immaginari o un altro decennio di ricordi mercificati in un infinito revival dei nostri decenni del cuore?

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