Ma la dissonanza ludonarrativa è davvero un problema? – Editoriale

Ciclicamente torna a galla una discussione intrinseca al medium videoludico, nata nello stesso momento in cui sono nati i primi giochi prettamente narrativi; quella sulla dissonanza ludonarrativa e sulle possibili soluzioni al problema, sempre che di problema si possa parlare. Non vi è mai capitato di essere in procinto di salvare il mondo, magari dopo una cut scene di quelle pesanti, epiche, cariche d’enfasi e piene di discorsi sulla responsabilità dell’eroe, il bene, il male, spade sacre, alberi della vita, cristalli divini ecc., però vi viene una malsana voglia di andare a giocare a carte con quell’ubriacone alla taverna? Sicuramente sì! Questo non è necessariamente sintomo di una scrittura scarsa però.

Che poi insomma, era un grande anti-stress il Blitzball, ci stava benissimo prima delle sequenze più tese!

Il videogioco, per sua stessa natura, e molto più degli altri media narrativi, vive di astrazioni, stilizzazioni e paradossi per cui ci sta tranquillamente che Tidus, in Final Fantasy X, si dedichi bellamente e senza pensieri ad una partita di Blitzball, anche mentre il ritmo della storia si fa sempre più incalzante, urgente, bussando alle porte del gran finale. Penso che più o meno a tutti piacciano anche opere più quadrate, fluide, dove racconto e gameplay vanno a braccetto, ma il bello di certe strutture di gioco, che ospitano al loro interno varie attività extra, è proprio quello di poter variare a seconda dell’umore il ritmo di gioco e il tipo di gameplay, in qualsiasi momento, deviando e probabilmente scoprendo pure dettagli interessanti.

Il videogioco, per sua stessa natura, e molto più degli altri media narrativi, vive di astrazioni, stilizzazioni e paradossi

La Kamurocho di Yakuza con le sue mille distrazioni è un altro esempio di come il ritmo narrativo non segua praticamente mai quello del giocatore e viceversa, eppure il disordine che si crea è proprio il suo bello. Questo spezza di netto e in più punti il racconto? Per forza, è un po’ il prezzo da pagare per l’interazione, il rovescio della medaglia, il paradosso di cui sopra. C’è però un caso molto particolare di un gioco che è stato generalmente poco apprezzato, per parecchi problemi strutturali, ma che riesce in modo molto lucido ad equilibrare cazzeggio e urgenza narrativa: Final Fantasy XV (si, i Final Fantasy tornano molto comodi per parlare di dissonanze varie).

La Regalia di FFXV è bellissima e la spensieratezza dei primi capitoli è molto ben raccontata.

La struttura dell’opera Square-Enix è particolare, sicuramente figlia di uno sviluppo iniziato 10 anni prima dell’uscita, 2016, con un altro nome e su altre piattaforme. L’epopea di Noctis Lucis Caelum inizia spensierata, un po’ come una versione nipponica di “Tre Uomini (anzi quattro) e una Gamba”, per poi incanalarsi inesorabilmente verso un destino torvo, dove il principe deve assumersi la responsabilità del suo regno decaduto e dove il gameplay sembra voler tracciare una strada netta, che accompagni il peso del suo protagonista, l’obbligo.

L’epopea di Noctis Lucis Caelum è stata molto criticata anche per la sua forma a imbuto che, a mio parere, dà invece un ritmo unico al racconto e lo esalta

Da open world (open area sarebbe forse più corretto) ricco di attività più o meno interessanti, fetch quest superflue e in generale un gusto per il viaggio e per gli spostamenti molto “turistico” e lento, nonostante la missione in corso, la carreggiata ludica si restringe fino ad un lungo epilogo lineare, guidato, drammatico, che non ammette distrazioni (non che non ci siano cose che non tornano, comunque). Il protagonista ha una responsabilità e lo si deve accompagnare, punto. La cosa curiosa è che il gioco è stato molto criticato (anche) per questa sua forma a imbuto che, a mio parere, dà invece un ritmo unico al racconto e lo esalta, accompagnando i suoi personaggi lungo una traiettoria di crescita, al netto di tutte le altre criticità di un’opera meravigliosamente storta, incrinata e tormentata.

La faccia di chi se ne frega beatamente di tutti questi miei discorsi.

Questo perché secondo me, a livello di pubblico soprattutto, la dissonanza ludonarrativa è un non-problema, qualcosa di metabolizzato, sciolto come lo zucchero nel caffè, una caratteristica più di un limite che, spesso, si sposa con la libertà data dall’interazione, dalla possibilità di muoversi negli spazi concessi dagli sviluppatori, prendendo il sopravvento sulla logica e la fluidità che dovrebbe avere il racconto. Rimane un discorso molto interessante in ambito critico dove, secondo molti, la crescita stessa del videogioco debba passare per una costante limatura delle sue dissonanze, una teoria che capisco ma che non sempre condivido. Ha senso, in relazione al tipo di racconto, che in Uncharted si ammazzino migliaia di mercenari? Sicuramente no, non è “realistico”, non è logico e il racconto funzionerebbe molto meglio senza scontri a fuoco probabilmente, tipo action-platform di destrezza o come stealth; d’altronde non siamo dei marine in Gears of War, nel pieno di una guerra interplanetaria, siamo avventurieri dalla battuta pronta in cerca di cimeli storici.

la dissonanza ludonarrativa è un non-problema, qualcosa di metabolizzato, sciolto come lo zucchero nel caffè, una caratteristica più di un limite

Ma proprio qui entra in gioco l’indole surreale del medium. Se voglio uno sparatutto in terza persona ispirato a Indiana Jones non posso certo metterci due o tre sparatorie come nei film di Spielberg, quindi, o cambio totalmente design o sfrutto il surrealismo insito nel videogioco per creare un’esperienza che abbia tutte quelle caratteristiche, cercando di contestualizzare l’assurdo al meglio. È come se in un certo senso l’indole arcade primordiale venisse sempre a galla, nonostante evoluzioni e rivoluzioni, portando a un’esagerazione che molti titoli sfoggiano con orgoglio. Alla fine il videogioco è una materia così malleabile e appiccicosa da poterla utilizzare per creare vere e proprie chimere virtuali e, di fatto, un modo di raccontare tutto suo, anche assurdo, claudicante, ma anche caratteristico e spesso innovativo. Poi rido sempre quando in giro trovo lettere scritte come fossero dialoghi e, sinceramente, sarebbe bello superare questa necessità di avere log enormi per creare contesto e spiegare cose, magari affidandosi alla benedetta narrazione ambientale, ma piano piano penso che ci arriveranno sempre più sviluppatori.

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