Se Volition ha chiuso la colpa non è di Saints Row – L'Opinione

È notizia recente che lo studio americano Volition, venti anni di onorato servizio, ha chiuso i battenti. La mente è andata subito al recente reboot di Saints Row, non esattamente un gioco incensato dal pubblico, e all’un po’ meno recente Agents of Mayhem, anch’esso accolto tiepidamente. Ma il discorso è più complesso di “se fai un gioco brutto, allora ti tocca chiudere”.

Volition Saints Row

Qualche settimana fa, mi sono trovato davanti un articolo di The Gamer dal titolo che a prima vista potrebbe lasciare perplessi: “2023 has been a horrible year for gaming”. Perplessi perché, insomma, chiunque segua il mondo dei videogiochi almeno da qualche tempo sa che quest’anno in realtà è stato fuori dal comune per quello che riguarda i titoli arrivati sul mercato. Tears of the Kingdom, Armored Core 6, Baldur’s Gate 3, Starfield, Cyberpunk 2077 Phantom Liberty sono solo alcuni fra la caterva di giochi di alto livello a cui abbiamo potuto mettere mano quest’anno, ma – come si affretta a spiegare l’autrice – non è di questo che parla l’articolo, che invece si sofferma su ciò che è successo dietro le quinte, lato industria. Ed è una tesi con cui mi sento di essere completamente d’accordo: quest’anno è stato terribile per l’industria dei videogiochi. Soprattutto in queste ultime settimane, le notizie di licenziamenti di qua e di là si sono susseguite una dietro l’altra, ma ricordiamo che quest’anno si è aperto con la notizia che Microsoft avrebbe licenziato 10.000 dipendenti, incluso personale di 343 Industries e di Bethesda. L’ironia di una corporazione che da più di un anno sta combattendo una battaglia legale per portare a termine un’acquisizione da sessantanove miliardi di dollari e che allo stesso tempo si mette a licenziare una quantità a quattro zeri di persone non dovrebbe sfuggire a nessuno, ma andiamo oltre.

L’IRONIA DI UNA CORPORAZIONE CHE LOTTA NEI TRIBUNALI PER PORTARE A TERMINE UN’ACQUISIZIONE DA SESSANTANOVE MILIARDI DI DOLLARI E ALLO STESSO TEMPO LICENZIA DIECIMILA PERSONE NON DOVREBBE SFUGGIRE A NESSUNO

Torniamo un attimo a Volition, facendo una doverosa premessa: realisticamente, cos’è successo dentro lo studio durante la fase di produzione di Saints Row, e nei mesi che possiamo immaginare piuttosto tormentati dal lancio fino alla sua chiusura, lo sa solo chi c’era lì dentro (e comunque è impossibile non immaginare un parallelo fra queste giornate e quelle che portarono alla bancarotta di THQ nel 2012, casa madre di Volition fino al suo passaggio sotto Deep Silver). Detto questo, qualche ragionamento si può fare. Uno dei motivi per cui il reboot di Saints Row ha fatto alzare qualche sopracciglio fin da subito è stata la decisione di partire con un cast di personaggi completamente diversi da quelli che gli aficionados della serie avevano imparato ad apprezzare fin dal 2006. Questa scelta era stata giustificata con il fatto che ormai, dopo gli eventi degli ultimi capitoli, fosse davvero difficile trovare una dimensione in cui incastrare i Santi. Affermazioni che anche qui in redazione non avevano mancato di far nascere qualche perplessità, figurarsi al di fuori: la fanbase non aveva mancato, spesso anche esagerando i toni, di sottolineare la sua avversione al nuovo quartetto di protagonisti, trovandosi di fronte però a un muro, con Volition che insisteva per continuare per la sua strada. Cosa, per la verità, più che comprensibile: arrivati a quel punto, tornare sui propri passi avrebbe davvero significato una quantità irragionevole di lavoro, fra nuovi modelli, riscrittura della storia, ridoppiaggio del dialoghi, eccetera. Al di là delle decisioni interne di Volition, risulta difficile credere che Deep Silver avrebbe approvato una modifica così radicale, e quindi uno slittamento tutt’altro che indifferente dei tempi di pubblicazione.

CHI NON RISICA… FA FIOR DI QUATTRINI

Ma, giunge spontanea la domanda, se proprio non sapevano più dove andare con i Santi e volevano scrivere una storia nuova, perché non creare un’altra IP? Qui bisogna allargare di nuovo la visuale: per gli studi medio-grandi, le nuove IP sono un rischio. Significa rinunciare alla brand recognition, e in tempi in cui i cicli di sviluppo di un videogioco vanno dai tre anni in su, è difficile scegliere di rinunciare a qualcosa di così potente come la forza di un nome, e soprattutto alla fanbase che è riuscito a conquistarsi. Questa non è certo qualcosa che svelo io: fra i tanti esempi, basta pensare a Capcom e alla sua (ottima) operazione di rinnovamento della serie Resident Evil per avere una testimonianza concreta del perché restare su terreni già conosciuti non è solo più facile, ma in linea di massima conviene anche. Casomai aveste bisogno di una conferma che il ragionamento è presente anche all’interno degli ambienti corporativi e che non si tratta solo di una innocua teoria del complotto, basta leggere cosa ne dice Phil Spencer di Xbox in una sua interessante email recentemente leakata, e messa in evidenza da Ethan Gach di Kotaku:

“Poche compagnie possono permettersi di spendere i 200 milioni di dollari che Activision o Take 2 spendono per portare sugli scaffali titoli come Call of Duty o Red Dead Redemption. Questi publisher AAA hanno, in larga parte, utilizzato la scala [inteso come dimensione] delle loro produzioni per mantenere i loro franchise di punta fra i giochi più venduti dell’anno. Il problema a cui questi publisher sono andati incontro è che proprio questo approccio che punta alla scala della produzione danneggia la loro abilità di creare nuove IP. Il tasso di rendimento di nuove IP a questi elevati valori di produzione ha portato a un’avversione al rischio connesso alla creazione di nuove IP da parte dei grandi publisher. Abbiamo visto un aumento nella quantità di publisher AAA che usano IP su licenza per cercare di diminuire il rischio (EA con Star Wars, Sony con Spider-Man, Ubisoft con Avatar ecc).”

Questo estratto va a inserirsi in un discorso più ampio sull’importanza, secondo Phil Spencer, di mantenere un controllo delle piattaforme di distribuzione, ma oltre a fornire una autorevole conferma a quanto dicevo poco sopra ci permette di agganciarci a quello che è un altro problema dell’industria odierna, e di cui il capo di Xbox parla nella sua email: e cioè le dimensioni che hanno raggiunto i videogiochi. Non mi riferisco ovviamente alla fissazione per l’open world del game design tripla A odierno, ma ai tempi (e con essi i costi) associati alla creazione di un videogioco ad alto budget. Per Red Dead Redemption 2 ci sono voluti 7 anni. Baldur’s Gate 3 ha richiesto tre anni di sviluppo, più i tre trascorsi in Accesso Anticipato. I lavori su Starfield sono iniziati dopo la pubblicazione di Fallout 4, nel 2015. Anche esperienze più contenute, come per esempio Ratchet & Clank: Rift Apart o The Last of Us Parte II, hanno richiesto rispettivamente cinque e sei anni di lavoro.

LO SVILUPPO DI UN GIOCO TRIPLA A COPRE QUASI L’INTERO ARCO DI UNA GENERAZIONE DI CONSOLE

La lunghezza di questi cicli di sviluppo significa anche rischi e incertezze. Un tripla A che iniziasse i lavori oggi uscirebbe alla fine di questa generazione di console o all’inizio della prossima, con tutto ciò che ne consegue (ricordate le voci di corridoio secondo cui Resident Evil Village stava incontrando problemi su PS5?). E c’è naturalmente anche da considerare il fatto che quando spendi cinque, sei, sette anni su un progetto, non puoi permetterti che vada male. Di questo si è resa conto anche CD Projekt RED, che dopo il disastroso lancio di Cyberpunk 2077 (sette anni in cantiere, più o meno; o dieci, se vogliamo contare la patch 2.0 come il vero lancio…) si è affrettata a chiarire agli azionisti che in futuro avrebbe diversificato il suo portafoglio di giochi, non affidando più tutte le speranze per il futuro a un unico megaprogetto. Non che questa strategia stia andando alla grandissima per i partner coinvolti.

Lungi dal limitarsi ai soli giochi tripla A, dove comunque il discorso è più prevalente, questo ragionamento si diffonde a pioggia anche su produzioni di scala inferiore. Non è un caso che molti studi medio-piccoli, nel seguire le loro ambizioni di crescita, finiscano per associarsi più o meno strettamente a qualche publisher, spesso anche venendone direttamente acquisiti: troppo rischioso non avere qualcuno alle spalle che copre il finanziamento del gioco, e che assicura che possa avere una copertura pubblicitaria adeguata. Casi come Larian, di uno studio indipendente che partendo da una situazione di quasi bancarotta arriva a creare tripla A per conto suo, sono rari.

ASSOCIARSI A UN PUBLISHER È UNA SCELTA QUASI OBBLIGATA PER CHI VUOLE CRESCERE, MA HA ANCHE RISVOLTI NEGATIVI

La scelta di associarsi a un publisher ovviamente non ha solo benefici per gli sviluppatori: al di là di possibili ragionamenti sull’indipendenza creativa, significa anche trovarsi almeno in parte economicamente dipendenti dalle decisioni dei piani alti, e legati al suo destino. Torniamo quindi a Volition e al suo rapporto con Deep Silver, o meglio con Embracer Group. Qualche settimana fa, un finanziamento da due miliardi di dollari che il gruppo svedese si aspettava da parte dei sauditi è andato in fumo. Il risultato della mancata iniezione di capitali è stata quella che in gergo corporativo si chiama “ristrutturazione”, cioè licenziamenti e chiusure a catena, e non è escluso che prossimamente Embracer decida anche di svendere alcune delle realtà acquisite nel corso degli ultimi due anni (Gearbox è uno dei nomi circolati). Ed è proprio in questo contesto che rientra la chiusura di Volition: in quella di un fondo d’investimento che ha detto gatto prima di averlo nel sacco e ora si trova a dover tirare i remi in barca.

GIOCHI BELLI, GIOCHI BRUTTI

Il discorso non è finito qua. “Ma Marco,” immagino qualcuno si stia chiedendo, “Saints Row è uscito un gioco brutto. Se non avessero fatto un gioco brutto, forse Volition sarebbe ancora in piedi”. Vero; mettere sul mercato un cattivo prodotto non è in linea di massima la strategia migliore per sopravvivere, qui come altrove. Ma nell’industria videoludica del giorno d’oggi, neanche fare giochi belli a quanto pare è garanzia di buona fortuna. Fra gli studi comprati da Embracer nel corso del 2022 c’era anche Eidos Montreal, svenduta assieme a Crystal Dynamics da Square Enix. L’ultimo gioco pubblicato da Eidos Montreal è stato Marvel’s Guardians of the Galaxy, gioco che al netto di qualche problema minore di pulizia è davvero un’eccellente trasposizione dei Guardiani nel mondo dei videogiochi, e accolto positivamente sia dalla critica che dal pubblico (Metacritic vale quel che vale, ma lì i voti delle avventure di Star-Lord e compagni sono 8.0 lato stampa, e 8.6 lato utenti). Eppure non è bastato per far sì che a Shinjuku non decidessero di disfarsene, assieme ai creatori di Tomb Raider, a un prezzo oltretutto relativamente misero, cioè 300 milioni di dollari; per fare un paragone, per l’acquisizione della sola Insomniac Games, Sony ha speso 229 milioni di dollari.

Ma forse più emblematico è il caso di Mimimi Games. Dal 2016 in poi, il piccolo studio tedesco è stato responsabile per la rivitalizzazione del genere dei tattici in tempo reale, con tre giochi uno migliore dell’altro (Shadow Tactics, Desperados III e il recente Shadow Gambit). E poi lo studio ha chiuso. E fra i motivi citati, c’è proprio la difficoltà di trovare finanziamenti:

“Creare questi giochi è stato meraviglioso e allo stesso tempo estremamente estenuante. Raggiungere il livello di qualità a cui puntiamo noi di Mimimi è difficile e richiede concentrazione e dedizione. Dobbiamo anche riconoscere che i costi delle nostre prossime produzioni stanno crescendo più dei potenziali incassi per i giochi di questo genere. L’aumento della pressione finanziaria e il livello di rischio sono diventati insostenibili. In aggiunta, quando i nostri giochi si avvicinavano al lancio ed erano finalmente divertenti da giocare, aveva immediatamente inizio la lotta per trovare finanziamenti per i progetti successivi, rendendo il tutto un circolo vizioso. Fin dal 2011, quando abbiamo presentato [a Daedalic Entertainment] The Last Tinker, non abbiamo mai avuto un attimo di riposo”.

La morale della favola non c’è, perché ciascuno da questa serie di episodi che ho raccontato potrà trarci l’insegnamento che vuole. Sono sicuro che qualcuno penserà che insomma, se Mimimi ha chiuso è anche perché potevano vendersi meglio, seguire un po’ di più il mercato. Che così va il mondo. Che fare giochi è un business e come tale va affrontato. Io penso che, nonostante riesca a creare gemme splendenti – e quest’anno ne abbiamo avute tante testimonianze – l’industria dei videogiochi soffra di numerose malattie. E anche di questo, purtroppo, ne abbiamo testimonianza quasi settimanale.


Originariamente, questo articolo si chiudeva qui. Ma dopo che, nel giro di 24 ore, siamo venuti a sapere che in seguito alla cancellazione dello sparatutto multiplayer HYENAS Creative Assembly ha annunciato che dovrà licenziare gente, che Blizzard ha ridimensionato il team di sviluppo di Hearthstone, e che Epic ha licenziato 830 persone, ho pensato che sarebbe stato assurdo non parlarne. Quest’ultimo caso è particolarmente rilevante rispetto all’argomento di questo editoriale perché fra gli studi coinvolti c’è anche Mediatonic, che è stata colpita duramente dai licenziamenti, pur se non “completamente smantellata” come si legge su qualche sito più interessato a fare scalpore che a fornire informazioni precise. I più attenti ricorderanno come, in seguito al fulminante successo di Fall Guys, lo studio britannico era stato acquisito da Epic Games a marzo 2021. E in questo contesto non possono che far venire i brividi le parole di Tim Sweeney, che in un comunicato ufficiale ammette candidamente che “per qualche tempo, abbiamo speso parecchi più soldi di quelli che incassavamo” nel tentativo di rendere Fortnite un metaverso (buzzword che, per qualche mese, tanti giganti del tech si sono messi a inseguire. Zuckerberg continua a crederci, ma in formato ridimensionato e più con i piedi per terra. Relativamente). Non preoccupatevi, però: Epic continuerà a spendere milioni nella sua lotta legale contro Apple e Google, a inseguire i suoi sogni di metaverso, e ad assumere personale, chiariscono le FAQ in chiusura. E intanto chi ha sbagliato a fare i conti, chi ha deciso di spendere più di quello che guadagnava, è ancora lì al suo posto in vetta alla compagnia.

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