Penetrazione, ma non in quel senso

Penetrazione, ma non in quel senso

Una delle cose che più mi affascina di questo mestiere è la sua capacità di penetrazione, il suo essere una leva per entrare nelle case e nelle menti di ragazzi (più o meno giovani) del tutto simili a noi, sfruttando una passione che ci rende una community omogenea. Le nostre riflessioni rimangono stampate su carta, ancora oggi collezionata da migliaia di lettori (TGM rulz), oppure immortalate sul web, reperibili in ogni momento da ogni angolo della Terra (connessi alla rete, chiaro). La nostra rivista raggiunge gli ospedali, le carceri, le scuole; grazie agli smartphone il nostro portale viene letto sul treno, in autobus, in coda alla Posta (un classico, lo so) o mentre si sta mangiando una coscia d’agnello il giorno di Pasqua con i parenti. I nostri lettori sono persone come noi: condividiamo gli stessi interessi, abbiamo un background culturale simile e il lessico con cui ci scambiamo feedback è spesso il medesimo. “Ca va sans dire” che i pensieri che proponiamo nero su bianco toccano corde comuni a tutti, e nel bene o nel male siamo artefici di un certo modo di discutere di videogiochi e dell’orizzonte su cui essi si affacciano.

Una delle cose che più mi affascina di questo mestiere è la sua capacità di penetrazione

Questo, ovviamente, vale per tutti coloro che scrivono pubblicamente, e che permettono agli altri di leggere e commentare le proprie elucubrazioni in materia, ma la maggior parte degli altri settori coinvolge un pubblico più eterogeneo: penso ad esempio alla cucina, alla fotografia, ai motori, al cinema e alla letteratura. Quello dei videogiochi è un campo ancora molto giovane, e le differenze tra gli appassionati (di età, linguaggio, estrazione) sono ancora poche, quindi da un certo punto di vista è più facile penetrare la coscienza collettiva e fare presa sull’interesse del singolo. Abbiamo visto la stessa TV, siamo stati formati dalla stessa generazione di insegnanti (anche se ormai il cambiamento è in atto da un po’) e siamo stati tutti adolescenti tra la caduta del Muro di Berlino e quella delle Torri Gemelle; una dozzina d’anni che hanno portato a un cambiamento radicale della società e del modo di comunicare, a cui abbiamo assistito in un’età formativa per elezione. Lo stesso non si può dire per le altre “passioni” che citavo prima… ed è un primato da non sottovalutare. Un articolo come quello di Claudio sul rapporto tra stampa e terrorismo, ad esempio, si sarebbe potuto leggere tranquillamente anche su un quotidiano a tiratura nazionale, ma solo chi segue con dedizione questo settore avrebbe potuto afferrarne la serietà, visto che al primo occorrere della parola “gioco”, i più avrebbero storto il naso pensando che fosse argomento adatto ai soli bambini.

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Noi che sappiamo quanto in là si è spinto il medium, invece, siamo abbastanza lucidi (non tutti, ovviamente) da capire quanto l’interazione videoludica sia diventata uno degli strumenti più permeanti attualmente sul mercato. Alla luce di quanto appena esposto, però, ne deriva anche una grande responsabilità, ossia quella di generare una “buona” e sana cultura sul videogioco. E qui le cose si fanno più complicate, perché dare senso al contenuto di un’anteprima o di una news non è sempre possibile, anche perché non tutti i giochi si prestano a essere trattati in tal senso. Fortunatamente non di solo Dead or Alive vive il giocatore moderno, e di margine ce n’è sempre molto. Penso ai dossier di Mario Baccigalupi, ai Backstage di Ivan Conte, alle recensioni introspettive proposte nella sezione dedicata ai titoli indie sulla rivista, ma anche ai tanti editoriali che i miei amici e colleghi propongono quotidianamente su queste “pagine”.

Migliaia di persone ci leggono e, come dicevo all’inizio, il fattore penetrazione è un elemento tanto affascinante quanto preoccupante. Siamo in grado, noi, di parlare adeguatamente a chi ci legge da una cella, a chi soffre in ospedale, a chi è disoccupato o a chi sta studiando pregando di non esserlo più? È possibile parlare di videogiochi proponendo un pensiero che sia al contempo frivolo, informativo ed educativo? Non lo so con certezza; può essere che la risposta sia un secco “no”, e di sicuro non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma non posso fare a meno di pensare alle tante persone che ci scrivono e che commentano, arricchendolo, il contenuto che proponiamo quotidianamente. Parafrasando le parole di settimana scorsa di Claudio nell’editoriale già citato, sarà pur vero che le cose di cui scriviamo sono minchiate, ma sono le stesse minchiate che rendono la nostra vita un continuo scambio di opinioni e dubbi, permettendoci di crescere non solo sul tema videogiochi, ma anche nella relazione tra le persone con cui ci confrontiamo sul web, tra gli amici con cui dividiamo il pad e – perché no – tra genitori o colleghi a cui da decenni spieghiamo che non sono più solo “giochini”.

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