Parliamo ancora di VR. In realtà volevo parlare di un acciacco fisico connesso ai videogiochi, occorso sabato scorso con The Division (pazzesca infiammazione dei tendini dell’avambraccio, provocata dal mouse…), ma visto il rant della scorsa settimana non vorrei sostituire definitivamente il Kikko nell’immaginario del vecchio redazionale. Fatto sta che sono costretto a scrivere con le dita di una mano, e con la stessa mano mi accingo a trattare il tema della realtà virtuale da un’ottica tutta mia, dopo che nelle ultime settimane ho inframezzato altre prove o recensioni con esperienze tratte dai fiammanti – ma certo non pienissimi – store di Oculus e Steam VR.
In verità stiamo pensando a un lavoro redazionale grande e articolato, circa l’esordio dei primi visori, ma in questo spazio libero voglio almeno spiegare un paio di cosette, una delle quali ha iniziato a prendere forma tanti anni fa, quando Palmer Luckey non era nemmeno un pensiero nella testa di sua madre (e qui mi sono giocato per l’ennesima volta la carta del vecchietto, ma va beh). Innanzitutto, il pensiero della realtà virtuale è stato presente in quasi tutte le generazioni di videogiocatori, per cui i gusti di chi allora l’ha desiderata si sono evoluti come quelli di qualsiasi altro fruitore. A casa avevo tutti i titoli di Tron su Intellivision, per dirne una, e ho sempre trovato logico associare i giochi in prima persona alla potenziale fruizione sui visori, anche prima che il cyberpunk cinematografico diffondesse il concetto negli anni ’90. Ed è proprio quest’esperienza, questo lungo desiderare l’avvento di una VR tecnologicamente valida e alla portata di tutti, che oggi mi fa temere una stantardizzazione sbagliata dei prodotti per la realtà virtuale, troppo spesso al ribasso sul piano dell’interazione o della vera intensità. Sembra quasi che tutti debbano poter accedere a qualsiasi esperienza VR, persino i bambini, in termini di durata, complessità e reale peso ludico dell’esperienza. Ed è quasi inutile dirlo: si può andare molto, ma molto più in là.
Uno dei primi videogiochi in abbozzata soggettiva, D&D: Treasure of Tarmin, rapportato ai giorni nostri sarebbe un mostro di tecnologia grafica, e una cosa simile si può dire per l’articolata sostanza del gameplay di Dungeon Master, dei vari Eye of The Beholder o del primo Elite, ovvero dei titoli su cui ho davvero e acerbamente sognato la realtà virtuale, con un’associazione pressoché diretta con il tipo di visuale utilizzata. Questo è il banale motivo per cui, oggi, difficilmente mi accontento delle tante esperienze “light” che si trovano negli store VR. Persino Adr1ft non è andato troppo oltre la dimensione di una pur magnifica demo, quasi avesse paura di “sconvolgere” i primi astronauti della realtà virtuale, per non parlare dei vari Luckey’s Tale, Albino Lullaby, EVE: Walkyrie o Chronos, che per una ragione o per l’altra stanno bene attenti a non colpire troppo la sensibilità – anche fisica, per carità – del fruitore.
Persino Adr1ft non è andato troppo oltre la dimensione di una pur magnifica demo
Per la verità ho trovato giochi – come il racing-game futuribile Radial-G – che in qualche modo vanno già benissimo, nella misura in cui vanno bene tante altre elementari proposte del gaming. Almeno, in questo caso si tratta di schizzare in folli corse multiplayer con la sensazione di essere davvero lì, con il corpo accelerato e il fiato sospeso, e non di correre come automi in uno dei tanti runner-game per smartphone. E sono tutto un fremito quando penso a SUPERHOT in VR, ben sapendo che gli sviluppatori l’hanno più volte annunciato e promesso. Ed ecco un’altra questione importante, che integra ma non distrugge il discorso precedente: come in tutte le altre cose del mondo, e ancora di più nel gaming, “semplice” non è e non sarà mai sinonimo di “stupido”. E nemmeno di “facile”. Non è che voglio la Luna, e nemmeno solo ed esclusivamente giochi che mettono seriamente a rischio lo stomaco e le coronarie. Da qui a proporre sempre una cena leggera, però, ci passano almeno quattro porzioni di lasagne al forno. O anche sei.
Proprio lei!