Quando la squadra si chiama TGM

TGM

Poco più di una settimana fa, appena chiuso il numero di TGM, e prima di partire per la gamescom, il mio umore non era esattamente cristallino. Per quanto sappia che c’è infinitamente di peggio nella vita, avevo il pensiero di una mossa importantissima che sto facendo con la mia famiglia, qualcosa che ci farà andare a star bene ma non senza un briciolo di rischio; allo stesso tempo, prima di salire sul treno per Milano e poi in macchina fino a Colonia, non sono riuscito a chiudere una recensione importante – anche perché era fisicamente impossibile – ben sapendo che avrei dovuto finire Deus Ex Mankind Divided e scriverne la disamina in tempi ben definiti, per non farli sforare nel marasma della fiera.

l’esperienza del viaggio di lavoro è nuovamente andata a ricollocare ogni cosa nello spazio in cui deve stare

 Capisco bene che le cose non abbiano esattamente la stessa importanza, non perché sottovaluto la mia professione ma perché, nel secondo caso, dovrebbe in fin dei conti trattarsi di pura routine lavorativa; tuttavia, chi mi conosce sa bene quanto vada in sbattimento nel momento del giudizio finale, di come vorrei che tutto fosse sempre perfetto e, in generale, del mio desiderio di non pubblicare mai nella mia vita una recensione che sappia di incompletezza colpevole.

TGM

Una settimana dopo, al contrario, sono quasi vicino allo zenit mentale. Per ovvie ragioni il pensiero della recensione non esiste più, mentre è ancora pressante quello personale, ma in ogni caso l’esperienza del viaggio di lavoro è nuovamente andata a ricollocare ogni cosa nello spazio in cui deve stare, aiutata dal ricordo delle lunghe chiacchierate con i miei compagni di lavoro, delle amicizie vecchie e nuove che ci legano, della consapevolezza di essere TGM e di cosa significhi esserlo. Tornato a casa, nel punto esatto in cui le recentissime memorie, a volte goliardiche a volte serissime, si sono incontrate con gli amatissimi visi della mia compagnia e dei miei bambini, ho vissuto un momento di perfezione assoluta. E ne voglio scrivere, anche solo per prolungarlo il più possibile.

L’ORDINE CHE VIENE DAL CAOS

Uno dei segni del benessere è arrivato nel momento stesso in cui mi sono messo a scrivere l’editoriale. O, meglio, quando col cervello vuoto ho iniziato a pensare a una possibile tematica e, in pochi secondi, ne ho trovate addirittura tre, favorite dalla bellezza degli scambi di idee e dalla libertà mentale di quest’ultima settimana. Alla fine ho deciso di non parlare di questo o di quel tema, rimasti nel tamburo per essere sparati nelle prossime occasioni, ma di tutti gli elementi capaci di propiziarli, di ciò che continua a rendere piacevole il mio lavoro di vecchierello del gaming. Anche dopo una fiera che continua a fare pigramente il suo mestiere, che è bella “solo” perché lo è la materia di cui si occupa e, nel nostro caso (ma non solo, eh), per i folli professionisti che ci camminano dentro.

Su e giù per la Koelnmesse, per il piacere di vedere videogiochi o per tenere tutti i rapporti “istituzionali” del caso, è andato ancora una volta il comandante Claudio Todeschini, un vecchio amico che ogni tanto mi osserva come si fa con i microrganismi su un vetrino, ma che al momento giusto dimostra sempre di farlo per il mio bene. In lungo e in largo, su e giù come un fotone impazzito schizzava Davide Mancini, che pensa di essere in forma per la palestra ma brucia molte più calorie per l’uso continuo, velocissimo e intensivo del cervello. Che si fermi un attimo, pofferbacco.

La gamescom   continua pigramente nel suo mestiere, bella perché lo è la materia di cui si occupa

 E poi i carissimi e “nuovi” amici Fabio di Felice e Stefano Talarico, dove le virgolette sono per dire che già gli volevo bene e li stimavo, ma averli al fianco ha trasformato l’idea in affetto e orgoglio amicale: per il primo aggiungo che il fatto che non viva ancora di narrativa (sto leggendo uno dei suoi romanzi, La Ferita Bianca, scritto quando aveva 24 anni) dimostra tutta l’irrazionalità, la noncuranza e, a ben vedere, la stupidità dell’editoria italiana di settore, i cui criteri di scelta e selezione restano un mistero impenetrabile ai più; su Stefano, invece, a parte la doppia identità di grande professionista e gigantesco cazzaro, non posso che confermare il fatto che i carraresi e i genovesi hanno senz’altro delle parti del cervello in comune, e anche in quelle diverse si fa sempre presto a trovare il gruppo di neuroni simili.

QUELLA BELLISSIMA CASA SUL FIUME

Qualsiasi esperienza di fiera affrontata da TGM, però, vale anche per chi è rimasto a casa. Vale per la sapienza e l’aff(id)abilità di Dan Hero, vale per il temporaneamente invisibile Cinese, per Daniele Dolce, Majkol Robuschi, Marco Inchingoli e, ovviamente, per il grande e sfavillante Astrotasso, che continuerà a cianciare di videogiochi in forma terribilmente arguta anche con il camice bianco di dottore in medicina. Per non parlare dell’altro comandante della nave, Ivan Conte, che insieme a Claudio non ha solo scritto grandi pezzi lungo un numero di anni al limite dell’euforia paradossa, ma continua a rappresentare lo spirito di TGM in termini di costruzione del gruppo e indomito approccio alla nostra professione, per aprire a vecchi e nuovi amici l’anima collettiva che fa di TGM qualcosa di genuinamente inossidabile: col Kikko ho vissuto un momento di tensione, grossomodo a metà della settimana di Colonia, per un mio errore di stanchezza e una sua reazione al limite del fanatismo religioso, ma il modo in cui è finita tutta la faccenda (l’avete davanti agli occhi da diversi giorni; non la dettaglio per non fare polemica sterile con altri siti) dimostra come TGM sia per me la squadra più affidabile e scrupolosa quando si parla di videogiochi. E comunque tra me e Ivan sono nuovamente volati bacini virtuali, sotto gli occhi allibiti delle nostre compagne di vita, anche prima di pubblicare finalmente la “pericolosissima” recensione.

TGM

Per una volta ho messo in primo piano le persone della redazione, prima dei videogiochi e degli eminenti sviluppatori che li fanno e li rappresentano. Ciò non toglie che la timida gamescom, pur con tutti i suoi limiti, mi abbia lasciato con ben quattro titoli su cui sbavare a più non posso: Mafia 3 è sostanzialmente una conferma, un violentissimo concentrato di rock e ricercate atmosfere di fine anni ’60, mentre For Honor e Prey diventano qualcosa di sempre più promettente a ogni incontro, nel primo caso aggiungendo al quadro di combattimenti medievali una gradita e per certi versi sorprendente gamma di contenuti (poco male se inizialmente prevista o meno), e nel secondo per una storia di fantascienza spaziale che, nelle mani di Arkane Studios, sta rapidamente diventando il mio personale oggetto del desiderio; non è nemmeno mancato “il gioco che piace solo a Mario” (TM), tradizione ormai consolidata in quel di The Games Machine, grazie all’adventure in soggettiva Get Even e alla sua coraggiosa e per me intrigantissima stranezza. Ma, come dicevo, i videogiochi sono protagonisti di questo scritto solo per riflesso, per il fatto che io e miei compagni li amiamo fino a perdere il fiato. Grazie #teamcrimine, è bellissimo commettere reati insieme a voi.

Per le immagini di questo articolo ho saccheggiato e stuprato gli archivi fotografici di Davide e Stefano. Spero che i complimenti li convincano a non denunciarmi per appropriazione indebita. 

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  1. 1.
    "della consapevolezza di essere TGM e di cosa significhi esserlo" ... proprio vero, quasi quasi :papa: una confraternita :commosso:

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