Fra le piacevoli passeggiate che si fanno in gamescom, dall’anno scorso non può mancare quella allo stand di Games in Italy, che nulla ha da invidiare agli altri booth dedicati a singole nazioni o regioni, salvo il fatto che quello bavarese offrisse birra e pretzel… ma vabbè, giocava in casa. Scherzi a parte, non è tanto dei giochi italiani, che pure meriterebbero, sia chiaro, che vorrei parlare oggi, ma di una conversazione fatta con Luca Dalcò e Lorenzo Conticelli di LKA, autori di The Town of Light. In pratica mi dicevano che uno dei feedback più interessanti che hanno avuto sull’ottimo titolo ambientato in ciò che resta del manicomio di Volterra riguarda la bellezza dell’ambientazione, dove per ambientazione si intende non l’ospedale psichiatrico, ma il contesto in cui è inserito.
Soprattutto chi non conosceva Volterra e le campagne di Borgo San Lazzaro è rimasto profondamente colpito dalla bellezza naturalistica del setting, che tra l’altro offre uno splendido contrasto con il mood angosciante del gioco e dell’avventura. Anche il prossimo progetto di LKA, che verterà sempre sulla psiche umana e sui disturbi della personalità, sarà ambientato in Toscana, nella valle del Chianti, con il solito carico di storicità e realismo a farla da padrone. Ecco, secondo me la scelta di ambientare i giochi in Italia è una roba fighissima, e rappresenta una delle strade che gli sviluppatori nostrani dovrebbero a mio avviso battere di più, senza timore di essere tacciati di provincialismo o, per dire, pensare che portando l’Italia sullo schermo si possa limitare l’ambizione dei progetti. D’altronde, se Naughty Dog ha scelto la Costiera Amalfitana per ambientare un livello – facendo un pastrocchio enorme poi sulla localizzazione e caratterizzazione dei personaggi, secondo la logica tipica del mischione del cinema americano – non vedo perché il made in Italy non debba puntare sulla nostra storia e la nostra cultura.
Non vedo perché il made in Italy non debba puntare sulla nostra storia e la nostra cultura
Probabilmente mi dimenticherò di qualcuno e me ne dolgo, però davvero mi sembra assurdo che in pochi abbiano pensato di svaligiare il bagaglio artistico e culturale del nostro paese, oppure che semplicemente nessuno voglia raccontare di noi, dei nostri problemi e delle nostre virtù. I motivi quali possono essere? Timore di confrontarsi con il nostro passato ingombrante, o forse la sensazione che, in un modo o nell’altro, parlare di Italia possa esporre i progetti al giudizio non sempre arguto dei media generalisti? Anche in questo caso si potrebbe aprire un discorso di tipo burocratico: non sarebbe un’idea tanto bislacca iniziare a pensare a dispositivi come le Film Commission ma che pensano a “vendere” il territorio all’interno di prodotti multimediali, così come a un impianto legislativo che favorisca l’investimento nel mondo dei videogiochi con sgravi fiscali in maniera analoga a come avviene nel cinema (e su cui si sta già lavorando). Certo, nel passato tricolore c’è un’enorme macchia quando si pensa a Stato e videogiochi, ma penso che sia giunto il momento di lavarla via e pensare a un futuro italiano decisamente più roseo e che abbia voglia di mettere in scena il proprio bagaglio storico, culturale e naturalistico.