“Fuggite, sciocchi!”

Fuggite sciocchi Editoriale 01Capita, in talune circostanze, causa l’inesauribile sete di esplorare il bel territorio di un open world, di finire nella caverna o in una rovina sbagliata; di ritrovarsi vis-à-vis, magari, con un Ascended Sleeper (inquietante!) oppure con un temuto Deathclaw, orrida mutazione partorita dalla post-apocalisse. In tali, malaugurate circostanze è meglio tagliare la corda, darsela a gambe, girare (o alzare) i tacchi, fare fuga, eclissarsi! Tutte espressioni che enunciano la nobile arte della codardia; altrimenti potremmo citare la celebre locuzione “coraggio scappiamo”, ossimoro che meglio traduce la saggezza insita in una onorevole ritirata.

In Morrowind, per esempio, la possibilità di abbandonare un combattimento non ancora nelle nostre corde è sempre garantita, perché quando un nerevarino con una spada corta di chitina incontra un Lord Dremora che impugna una katana daedrica, il nerevarino con la spada corta di chitina è un nerevarino morto. Goliardia a parte, nell’opera terza di Bethesda non solo i mostri non ci seguono al di fuori del loro piccolo “regno” (che si tratti di un covo di banditi, una grotta sottomarina, una fortezza dwemer, etc.), ed è quindi sufficiente guadagnare l’uscita per mettersi in salvo, ma è altresì possibile teletrasportarsi al sicuro grazie alle pergamene di intervento Divino o Almsivi, oppure per mezzo degli incantesimi Mark e Recall; infine è lecito prendere la via dei cieli grazie al prodigio della levitazione, dove troveremo ad attenderci – al più – qualche “innocuo” cliff racer, seppur gracchiante e fastidioso.

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Non sempre, i videogiochi ci danno la possibilità di ripiegare e riorganizzarsi

Non sempre, però, i nostri amati videogiochi ci danno la possibilità di ripiegare e riorganizzarsi. Emblematico, in questo senso, è il primo The Witcher che ha il brutto vizio di circoscrivere il combattimento in arene delimitate da barriere invisibili, scudi di energia e aure di fiamme, in particolare durante le boss fight. La cosa non solo è fastidiosa, ma l’espediente va ad incidere pesantemente sulla performance della propria scheda grafica (nel mio caso magari non recentissima, questo va detto), rendendo ostici i duelli in questione soprattutto perché obbligano ad un confronto “a scatti”.

Altri giochi, come Dragon Age (il secondo capitolo, in particolare), optano per riversarci addosso ondate di avversari che ci costringono a rimanere in modalità “combattimento” fino all’esaurimento delle medesime. Ultimi, e più fastidiosi, sono quei titoli che richiedono il lock-on sul nemico prima di ingaggiarlo in combattimento. A tal proposito, ricordo Assassin’s Creed, dove ogni scontro con più di tre guardie risulta a dir poco disagevole, dovendo continuamente rintuzzare i colpi ai fianchi dei bersagli non taggati; in questi casi è come trovarsi sul ponte di Khazad-Dûm in una situazione non solo scomoda, ma anche poco credibile.

Negli esempi sopraccitati, possiamo ben notare l’artificiosità degli scontri, laddove risaltano la pessima intelligenza artificiale, i limiti della telecamera, la difficoltà di sganciarsi per fuggire e, per l’appunto, l’impossibilità di abbandonare la sfida. In definitiva, credo sia paradossale come videogiochi che puntano molto sul realismo – con folle dinamiche, città verosimili o un’accurata ricostruzione storica – falliscano proprio nella rendere credibile il nucleo del gameplay, confezionando un sistema di combattimento che urla a squarciagola: “Stai solo giocando, è tutto posticcio!” E invece, io desidero più opzioni e, ovviamente, poter coprire la distanza della fuga… per ritornare più forte ancor.

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