I press tour non hanno (quasi) più senso di esistere

press tour apertura

Nella mia carriera ho partecipato a tantissimi press tour, più o meno riusciti. In rari casi ho avuto modo di immagazzinare un bagaglio di esperienza davvero importante, specie quando ho potuto dedicare del tempo a chiacchierare informalmente con chi i videogiochi li pensa per davvero. Ad esempio, sono passati ormai 13 anni dal viaggio in Firaxis per scoprire cose su Pirates!, ma ancora oggi, quando devo scrivere di un gioco di Sid Meier, vado con la mente alla splendida chiacchierata che ho avuto con lui durante un pranzo a base di aragoste giganti e tè alla pesca, di cui il buon Sid è estremamente ghiotto. Nelle ore in cui l’ho tenuto informalmente a tiro, ho potuto discutere di come egli affronti le insidie della produzione di un videogioco, di quali siano gli elementi portanti del suo lavoro di concept e quali sono stati i titoli che ne hanno plasmato i gusti in gioventù. Per me è inevitabile scorgere anche nei suoi lavori recenti alcuni segni di quell’incontro, condito peraltro dalle parole degli altri membri del team, persone loquaci e gradevoli tanto quanto chi li capeggiava.

Press tour di questa foggia ne ho, come detto, vissuti pochi. Diversamente, in moltissimi altri casi il rapporto publisher/giornalista era basato sulla voglia del primo di coccolare il secondo con cose che non avevano strettamente a che fare col videogioco in oggetto. Il primo esempio che mi viene in mente riguarda Risen: io e altri colleghi siamo stati ospitati per quattro giorni in un pettinatissimo castello medievale poco fuori Parigi, laddove abbiamo trascorso la maggior parte del tempo a svolgere svariate attività di intrattenimento (un corso di tiro con l’arco e uno di falconeria, giusto per citarne un paio) e a mangiare e bere come se non ci fosse un domani, mentre la prova su una versione preliminare del gioco era ridotta a una mezza mattinata o poco meno. Sono rientrato alla base di certo molto divertito dai giorni trascorsi serenamente e in buona compagnia, ma con addosso la costante sensazione di aver perso un sacco di tempo.

Negli ultimi periodi, a causa della crisi e delle conseguenti ristrettezze economiche cui sono andati incontro tutti i publisher, di press tour come quello di Risen non se ne vedono davvero quasi più. La maggior parte delle volte si prende un aereo a orari improponibili, si atterra, si va a fare ciò che si deve e si viene riportati all’aeroporto, per tornare a casa quando tutti sono già a letto. Per dire, in settimana sono andato a Londra per una sessione di un’oretta e mezza su Wolfenstein: The New Colossus: se aggiungessi il tempo perduto in macchina e al terminal del London City Airport (complice anche un volo di ritorno perso per motivi bislacchi), avrei probabilmente finito due volte l’intera campagna single player. Gli estremi li ho assaporati in un press tour che ci è stato proposto tempo fa e che abbiamo garbatamente rifiutato, contemplante un volo per Tokyo, la partecipazione all’evento e l’immediato ritorno a casa, senza manco una notte in albergo. Questo modus operandi, diametralmente opposto a quanto raccontato all’inizio (e che un po’ il giornalista lo indispone, diciamolo), mi lascia ugualmente in bocca il gusto amaro della perdita di tempo inutile.

press tour ferrari challenge

Si è passati dal venire inutilmente coccolati all’essere spediti in giornata di qua e di là, come capita ai bagagli smarriti

Siamo nel 2017 e la tecnologia ci è amica. Cosa costa fare le cose attraverso la rete? Nella logica del “i codici non devono uscire dalla sede”, perché Bethesda, anziché spendere vagonate di denaro per portare a Londra centinaia di giornalisti da tutta Europa e imbastire decine di postazioni dall’hardware costosissimo, non ha messo in piedi un server totalmente sicuro e monitorato da loro, grazie al quale giocare da remoto il dimostrativo oggetto della prova? I servizi gaming in streaming, in presenza di una buona connessione, sono ormai una realtà consolidata, e credo che nessuno di noi avrebbe scritto mezza virgola a proposito di qualche microsecondo di lag o di sporadici momenti di video mal compresso, conoscendo le limitazioni di una siffatta piattaforma di test. Il mio sogno bagnato prevede un codice a tempo limitato, da scaricare sulla console o sul PC, che funzioni in locale ma solo se connesso ai server del publisher; questi potrebbe monitorare l’attività nelle due ore di utilizzo, per poi far detonare tutto, dopo che il giornalista di turno ci ha lavorato serenamente dalla redazione o seduto sulla poltrona di casa, senza buttare via una giornata intera in viaggi e sonno perso.

Mi pare che con la scusa della proprietà intellettuale da difendere a tutti i costi (legittimamente eh, sia chiaro), alcuni publisher operino scelte legate a un modo troppo rigido di pensare il rapporto con la stampa per non risultare antipatiche a chi svolge il mio mestiere. Si è passati da un estremo all’altro, dal venire inutilmente coccolati (a volte per un’itera settimana) all’essere spediti in giornata di qua e di là, come capita ai bagagli smarriti. Trovo che entrambi gli approcci siano forieri di tempo perso, di soldi inutilmente spesi e di fatica evitabile. Forse, nel 2017, i press tour non hanno davvero più ragione di esistere: gli sviluppatori con voglia di donare XP al prossimo (come ha fatto Sid Meier con me) sono diventate bestie più uniche che rare, e di alternative per lavorare bene tutti, senza mettere in piedi ogni volta tutto ‘sto baraccone, ce ne sarebbero a bizzeffe. Basterebbe solo pensarci.

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