La scorsa settimana, apprendendo nozioni divulgative su algoritmi di ogni genere (al Campus Party, naturalmente), sempre più duttili e specializzati in qualsiasi campo, mi è tornata alla mente l’eterna questione dell’Intelligenza Artificiale nei videogiochi. Da anni non mi sembra più nemmeno un “dibattito”, perché progressivamente è apparsa scemare anche l’attenzione da parte dei giocatori. I giganti del mercato non hanno più reputato particolarmente conveniente questo tipo di sperimentazione, e per certi versi (ma assolutamente non tutti) siamo rimasti ai risultati di una decina di anni fa. In altri campi si registrano incrementi di profitto, come nella rivoluzione della robotica industriale; nei videogiochi, evidentemente, no. O almeno, non più.
In un ragionamento del genere, però, bisogna ben capire cosa si intende per Intelligenza Artificiale dei videogiochi. Di fatto, non esiste sistema di algoritmi che non sia potenzialmente in grado di batterci in un gioco fondato su regole matematiche e statistiche – cioè, praticamente, in tutti. Ciò significa che la maggior bravura dell’Intelligenza Artificiale studiata per un videogioco è, paradossalmente, quella di saper perdere in modo convincente: a seconda del target di utenti, i programmatori devono essere abili nel lasciare i giusti margini per l’illusione di vittoria, laddove la vera sfida – anche quando si tratta di singolo giocatore – non può che essere tra le abilità e i tempi di percorrenza da parte degli utenti. Questo ha anche a che fare con la quantità di test interni che vengono eseguiti sul prodotto, ed è sostanzialmente la differenza che può passare tra un vero Souls e un The Surge a caso, a prescindere dall’ambientazione e dalla paternità.
Non esiste sistema di algoritmi che non sia potenzialmente in grado di batterci in un gioco
Per quel che ci riguarda, c’è da essere soddisfatti di un certo uso dell’Intelligenza Artificiale nei videogiochi, “classico” per certi versi o più tecnicamente complesso in altri: pensate ai titoli di Hidetaka Miyazaki, dove qualsiasi creatura è ben lungi dal sembrare “intelligente”, ma rimane sempre notevolissima in ottica d’azione; magari un boss tenderà a ripetere una mossa con cui ha provocato molto danno, oppure concederà letteralmente qualche frazione di secondo per poter essere colpito efficacemente, o ancora lavorerà in sinergia con creature più piccole, semplici e comunque insidiose una volta messe insieme.
D’altra parte, serie molto diverse tra loro come FIFA e GTA, pur se con funzioni e soluzioni tecniche assai differenti, rappresentano modelli estremi di integrazione fra animazioni e governo dell’Intelligenza Artificiale, grazie a reazioni “scheletriche” che vengono generate in tempo reale a seconda del caso, che sia un bel passaggio rasoterra o un tir lanciato in corsa (la base è sempre quella degli algoritmi di Euphoria, che presumibilmente ritroveremo anche in Red Dead Redemption 2). Non conversano con noi, sono burattini patetici se guardati con occhi umani (i video in cui vengono spiati i cittadini di GTA V, in particolare, sono quasi commoventi), ma sanno fare il loro lavoro con grande efficacia e in tante situazioni, senza fondere i nostri processori nella difficile direzione delle IA.
FIFA e GTA, pur con le loro ovvie imperfezioni, rappresentano modelli estremi di integrazione fra animazioni e intelligenze artificiali
Anche i PNG di The Elder Scrolls e Fallout sono stati “lobotomizzati”, come scrivevo qui, nel senso che le loro possibilità sono state limitate in relazione al divertimento del giocatore, fin dall’esordio di Oblivion e senza ripensamenti nelle varie produzioni. Sarà per sempre così? In fin dei conti, i PNG non possono ammazzarci come i robot di Westworld; possono farci ammattire, questo sì, e in qualche modo hanno già cominciato a farlo “apposta”. Talvolta gli viene ordinato meccanicamente, in altre occasioni la reazione è sottesa a una serie di fattori, magari a quel che entra nel loro cono visivo (e nel cerchio sonoro) o nel dover “compulsivamente” attaccare altri MOB. In tutti i casi, se solo gli sviluppatori lo volessero, potrebbe sempre valete quanto detto dal giovane Magnus Carlsen, tra i Gran Maestri degli scacchi moderni (attuale campione del mondo): “È un po’ come giocare con qualcuno di molto stupido, e sapere che ti batterà lo stesso“.