La longevità dei videogiochi è un concetto relativo, ma dipende solo da noi?

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Piccolo, spazio, pubblicità (Vasco Rossi, Bollicine – 1983)? No, però chi non è mai andato a curiosare nella community di videogiocatori che cronometrano le proprie run (tipo HowLongToBeat) dovrebbe farlo, giusto per avere un’idea di quanto siano diversi gli approcci allo stesso gameplay. C’è chi corre trafelato verso lo staff roll, chi si ferma a guardare il panorama impiegandoci, così, il doppio del tempo, chi se la gioca senza perdersi – o perdendosi, vai a capire! – tra le varie missioni secondarie e chi alla fine non ci arriva proprio. Se da un lato la longevità (relativa) di un titolo può essere direttamente legata alla voglia del giocatore di approfondire quanto viene offerto, dall’altro è proporzionale alla difficoltà con cui si riesce a proseguire, visto che, tra quick save e checkpoint, lo spazio per imprecare a causa di un errore sembra ce lo si debba ritagliare per conto proprio.

Mi sembra passato un secolo da quanto esplose il dibattito sul fatto che fosse legittimo, o meno, che Demon’s Souls utilizzasse un sistema di salvataggi tanto punitivo, eppure moltissimi giocatori si avvicinarono alla creatura di Hidetaka Miyazaki proprio perché riconobbero in essa una sfida a tratti improba, ma degna di essere affrontata. Con Dark Souls le polemiche si erano già spente, e quello della ricerca dei falò divenne un incubo che tutti noi ricordiamo con il sorriso di chi ci è passato, lo ha sconfitto ed è ancora vivo per raccontarlo. Ipotizziamo che FromSoftware avesse inserito la possibilità salvare e caricare a nostro piacimento: quanto poco longevi sarebbero stati quei due giochi? Non sto parlando di divertimento, eh, ma proprio di quante ore in meno ci avremmo messo a finirli. Nello stesso periodo, poco più a sud della sede del dev giapponese, Nintendo introduceva il Super Guide mode per New Super Mario Bros. Wii, ossia la possibilità di farsi finire il livello da Luigi dopo otto insuccessi consecutivi. Ovviamente, segreti e scorciatoie rimanevano celati, ma immagino che chi se ne sia servito nemmeno sapesse della loro esistenza. Arriviamo quindi a giochi come XCOM 2: The War of The Chosen (il buon Marco Tassani lo ha recensito per noi tutti qui), che sostanzialmente permettono entrambe le cose, ossia snocciolare tutti i santi del calendario nella Modalità Classica o tagliare le verdure per il minestrone mentre con la coda dell’occhio seguiamo un picchio di legno che pigia il tasto “continua” sulla tastiera nella modalità “niubbo”… e non ditemi che non avete visto quella puntata dei Simpson in cui Homer prova il telelavoro dopo essere ingrassato volontariamente e così tanto da ottenere un permesso speciale per farlo.

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Come si fa a parlare di longevità per titoli come FIFA 18 o Destiny 2?

A volte, a prescindere dal livello di difficoltà o dalle missioni secondarie in cui ci vogliamo impegnare, i videogiochi durano semplicemente “troppo”, come ci racconta qui Davide Mancini nella recensione di Hellblade: Senua’s Sacrifice. Perché annacquare un gameplay con azioni ripetitive e un rispetto forzato del canone del genere a cui appartiene, quando sarebbe stato più efficace se la sua longevità fosse stata inferiore? Forse solo per scongiurare le solite critiche da “Ma come? Ho pagato 70 euro è l’ho finito in 6 ore?”. Ricordate le polemiche sul The Order: 1886 di Andrea Pessino? Chiaro che se la misura con cui si valuta il rapporto tra playtime e quattrini è questo, immagino che nella casa di tutti gli avari ci sia una foto di Sid Meier. Per altro sapete che per dire di aver finito Civilization VI ci vogliono dalle 17 ore alle 64 di chi si definisce “completista”?

Quanto dura, allora, un videogioco? Dipende da noi più di quanto ci immaginiamo e al netto della componente multiplayer. Come si fa a parlare di longevità per titoli come FIFA 18 o Destiny 2? Un esempio su tutti è quello di World of WarCraft, che ha una media di oltre 3.200 ore di gioco pro capite, che significa più di 130 giorni interi, senza dormire, mangiare o andare in bagno, giocati consecutivamente da una sola persona. Eppure qualcuno può essere arrivato all’end game e aver disinstallato tutto senza per questo essersi sentito un quitter, o no? Vogliamo quindi spostarci sugli endless game come Tetris o Nibbler? Su quest’ultimo ci hanno fatto addirittura un documentario, che racconta di come un ragazzo dell’Iowa abbia dedicato un’enorme porzione della sua vita a tentare infinite volte di battere il record dell’italiano Enrico Zanetti, dove per riuscirci era necessaria una sessione di gioco ininterrotta di 40 ore, senza commettere errori. È una storia piuttosto affascinante, che potete trovare riassunta su Kickstarter a questo indirizzo e che vi consiglio caldamente di recuperare, non solo perché avvincente, ma anche perché ci insegna che la longevità di un videogioco è un concetto alquanto relativo, specie se non hai fretta di passare ad altro e non sei ossessionato dal provare sempre qualcosa di nuovo. Riassumendo: non sposatevi!

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