So che sto andandomi a infilare in un ginepraio impopolare e dal quale difficilmente ne uscirò vincitore, ma la chiusura da parte di Electronic Arts di Visceral Games, di cui vi abbiamo dato conto in questa news ieri sera, ha riacceso in me un pensiero che cova sotto la cenere da parecchio. Quando una software house importante abbandona la pugna è sempre una sconfitta, e su questo spero siamo tutti d’accordo. Analizzare le cause dell’evento, tuttavia, non è affare scontato, anche partendo dall’assioma che andrebbe valutato caso per caso, e che sotto le coperte bollono – spesso non viste – dinamiche commerciali e di rapporti coi publisher di cui noi scorgiamo solo la punta dell’iceberg.
Premesso ciò (e partendo proprio dal caso specifico di Visceral Games) mi viene in mente un episodio accaduto a dicembre 2008. Io e Davide Tosini ci eravamo recati in un centro commerciale vicino alla vecchia redazione per pranzare e per fare un mezzo giro al Mediaworld di turno, così da farci venire qualche idea per i regali natalizi che da lì a poco ci avrebbero succhiato via la tredicesima. Vicino alla sezione videogiochi campeggiava un cestone che conteneva due videogiochi in offerta: Dead Space e Mirror’s Edge. Ma come… non erano usciti poche settimane prima? Come mai c’erano già pile e pile di scatole, svendute in cambio di soli 29,90 euro? Che diamine era successo? Una volta tornati in sede abbiamo sfruttato i nostri canali preferenziali, per scoprire che Electronic Arts e i negozi (non solo Mediaworld, ma un po’ tutti) avevano scelto la via dello sconto incazzato perché i due titoli si stavano trasformando in un bagno di sangue, almeno dal punto di vista commerciale. Un paio di settimane dopo i cestoni erano ancora lì, pieni come uova, nonostante il prezzo ulteriormente ribassato a 24,90 euro.
Quell’episodio mi ha dato molto da pensare. I publisher non sono onlus, ed è pacifico che si aspettino un ritorno economico da un prodotto che hanno sovvenzionato con tanti bei dollaroni. A volte l’investimento è sbagliato in partenza (vuoi perché la software house non su è dimostrata all’altezza, vuoi perché – a un certo punto – intervengono dinamiche di pressione da parte dell’editore stesso, che pretende di uscire entro una certa data per questioni di bilancio, fregandosene della qualità del prodotto finale) ed è giusto che ci siano conseguenze, per quanto la cancellazione di un team di sviluppo dovrebbe essere l’ultima ratio da percorrere, nel caso di Visceral Games come in molti altri. Altre volte, però, entra in ballo un altro fattore, ovvero l’incapacità da parte di noi videogiocatori di premiare un titolo quando serve, principalmente al lancio o a ridosso di esso. Perché è lì, ormai, che si gioca la partita, se non addirittura sulle prenotazioni (o pre-order, per dirla in anglosassone), in un circolo perverso dove la cinghia temporale per decretare il successo di un prodotto si stringe sempre di più, e dove a soffocare – nel caso – sono per primi proprio gli sviluppatori, che da un momento all’altro rischiano di trovarsi a casa senza un lavoro, spesso per demeriti non loro. In questo scenario, CD Projekt RED e Rockstar rappresentano un’eccezione che, proprio come tale, non può essere presa a regola: al di là della qualità assoluta dei videogiochi da loro partoriti, la prima software house è nata come team interno di un publisher e distributore illuminato e forte a tal punto da creare un portale come GOG.com, mentre la seconda ha raggiunto una potenza contrattuale tale da ergersi a unico esempio in cui è il publisher ad abbassare le orecchie e a sottostare ai suoi tempi e modi.
Come siamo arrivati a questo punto è difficile dirlo. Di sicuro, una certa parte di colpa è dei publisher, per i motivi appena esposti e per una cronica incapacità (da parte di alcuni, non di tutti) di intuire su quali cavalli della scuderia puntare le proprie fiches. La consapevolezza, poi, che il mercato offre continuamente un tourbillon di sconti, promozioni e tagli di prezzo – molto più che in passato e molto più a ridosso delle date di uscita – è un fattore da tenere in considerazione: i portafogli dei videogiocatori non sono fatti a fisarmonica e i soldi non crescono sugli alberi; è lecito quindi che, nella testa di molti, si attivi quasi in automatico il concetto del “aspetto, ché tanto tra tre mesi ci sono i saldi di Steam, i Deals With Gold e le promozioni su PSN”.
Quando una software house importante abbandona la pugna è sempre una sconfitta
Tuttavia – e qui vengo al punto – un po’ di colpa è anche nostra, nella misura in cui non siamo capaci di premiare gli sviluppatori nei tempi che meriterebbero, salvo poi erigere i loro videogiochi a esempi postumi di spessore, se non addirittura a pietre miliari del genere, quando la frittata è ormai fatta e consumata. Siamo stati tutti pronti a godere dell’annuncio di Mirror’s Edge Catalyst, ma ci siamo dimenticati che se sono passati tanti anni dal primo capitolo è perché non siamo stati capaci di riconoscerne il valore quando più serviva ai talentuosi ragazzi di DICE, ovvero a ridosso del day one. Lo sviluppatore svedese è ancora in piedi grazie a Battlefield (con la complicità di Activision, che negli anni ha infilato Call of Duty in una spirale autodistruttiva che si spera sarà spezzata da WWII), mentre Visceral Games è caduta inevitabilmente al primo inciampo della nuova era, quando Electronic Arts ha deciso si dovesse impegnare in un titolo non nelle sue corde come Battlefield: Hardline. Allo stesso modo, ci siamo commossi tutti di fronte alla presentazione al mondo di Beyond Good & Evil 2 da parte di Michel Ancel, ma se ci sono voluti 15 anni perche Ubisoft sovvenzionasse un seguito è perché l’episodio originale, all’epoca, la gente non lo voleva nemmeno regalato nelle patatine: io, che avevo un negozio di videogiochi, ho faticato tantissimo a vendere pochissime copie, anche sottoprezzo, nonostante la bellezza che gli riconosciamo tardivamente oggi, forse persino al di là dei suoi meriti.
La soluzione? Non saprei. Forse dovremmo guardare un po’ più spesso al nostro backlog e contare quanti soldi abbiamo speso per titoli acquistati in sconto e che teniamo in libreria solo per il gusto del possesso, e ragionare sul fatto che forse, anziché cinque videogiochi a prendere la muffa, sarebbe meglio acquistarne solo uno – meritevole, s’intende – al day one e giocarselo per bene: noi torneremmo probabilmente alla vera essenza del nostro hobby, ovvero a divertirci, e le software house degne della nostra considerazione non si troverebbero con un piede in una fossa al primo inciampo o alla primo conto sbagliato da parte dei capoccia di questo o di quel pubisher. In alternativa, evitiamo di peccare di ipocrisia e non piangiamone la scomparsa con lacrime di coccodrillo, perché un po’ di colpa ce l’abbiamo anche noi.