Empires of the Undergrowth - Recensione

PC

Ho dovuto controllare: la nostra anteprima di Empires of the Undergrowth risale addirittura al febbraio 2020, più di quattro anni fa. Al tempo, lo strategico sviluppato dai piccoli (numericamente parlando) Slug Disco si presentava in maniera promettente. Vediamo com’è messo adesso, a pochi giorni dalla release della versione 1.0.

Sviluppatore / Publisher: Slug Disco / Hooded Horse, Slug Disco Prezzo: € 29,99 Localizzazione: sottotitoli Multiplayer: assente PEGI: n.d.. Disponibile su: PC (Steam, GOG, Epic Games Store, Itch).

I numeri, le modalità e la brutalità di questo conflitto hanno qualcosa di sconvolgente, e uno dei primi, indiscutibili meriti di Empires of the Undergrowth è proprio quello di avvicinarci a un mondo così affascinante nella sua sorprendente furia. Il gioco distribuito da Hooded Horse (team che ormai ha più che dimostrato di avere occhio per gli strategici sviluppati da software house di piccole e medie dimensioni) richiama di primo acchito uno dei grandi classici dell’adolescenza di noi boomer, Dungeon Keeper.

C’è una guerra che coinvolge ogni giorno miliardi di soldati. Miliardi. Combattono su fronti in continuo spostamento su tutti i continenti del pianeta. Attacchi con armi chimiche e invasioni di massa in vecchio stile sono all’ordine del giorno, oltre a razzie che lasciano in ginocchio colonie da centinaia di migliaia di individui. E sia ben chiaro: questa guerra non ha proprio l’aria di terminare in tempi ragionevoli, anzi. Va avanti da cento milioni di anni. Benvenuti nel mondo delle formiche.

EMPIRES OF THE UNDERGROWTH SOTTO E SOPRA IL SUOLO

Siamo sottoterra, e dobbiamo scavare intorno al cuore della nostra base, rappresentato dalla formica regina, per costruire stanze dove cresceremo unità di diverso tipo: quasi tutte possono svolgere ruoli di base come raccogliere cibo e combattere, ma le differenze sono nette, e quindi non potremo aspettarci che le operaie montino una difesa valida in caso di attacchi seri, mentre i soldati non hanno la capacità di scavare o costruire. Le partite non si limitano però al sottosuolo, e in ogni missione le nostre piccole protagoniste si spingono in superficie, vuoi per raccogliere risorse o per scontrarsi con i nemici della nostra comunità. Nella modalità principale, la campagna single player, sta a noi comprendere e assimilare i meccanismi che regolano le strutture sociali della nostra colonia per portarla alla dominazione in diversi ecosistemi.

Il campo di risorse della mia colonia è messo in pericolo da animali notturni. Va difeso a ogni costo.

L’ambientazione è di gran lunga la parte più riuscita di Empires of the Undergrowth: capita di doverci difendere da colonie avversarie perché la nostra posizione elevata su una spiaggia garantisce protezione dalle maree più alte del solito, o magari bisogna attaccare colonne in marcia di formidabili formiche guerriere nel bel mezzo della foresta pluviale, per spingerle a cambiare strada e scoraggiare così un eventuale attacco in larga scala. Tutto questo avviene mentre dobbiamo anche difenderci dalle altre minacce che ci circondano: se le formiche costituiscono vere e proprie fazioni, i livelli di gioco sono cosparsi di insetti e simili, per lo più ostili, ognuno dei quali caratterizzati da un’intelligenza artificiale cucita intorno alla propria specie. Alcuni di loro possono anche spingersi a invadere la nostra base: se arrivano fino alla formica regina e la eliminano, sarà un bel pasto per loro e un triste game over per noi. Non potete capire quanto odio i ragni frustino.

Empires of the Undergrowth richiama uno dei grandi classici dell’adolescenza di noi boomer, Dungeon Keeper

Ho trovato davvero rinfrescante, una volta tanto, non avere a che fare con alieni, demoni, o soldati umani di più o meno recente memoria: è quasi spiazzante vedere le nostre formiche attaccare grossi ragni o mantidi religiosi (che in sostanza fanno da boss fight) letteralmente arrampicandocisi sopra e aggredendole fino alla loro morte. E’ spiazzante perché nella mia testa io adesso so che queste scene accadono davvero, nel mondo reale, e i combattimenti all’ultimo sangue non erano proprio la prima idea che associavo alle formiche che vedo in giro per il balcone di casa. Non so che dire, a me queste robe hanno fatto esplodere il cervello.

LUCI E OMBRE DI UN BIJOUX INDIE

A fronte dei tanti complimenti espressi fin qui a Empires of the Undergrowth, e anzi proprio a ragione di tutto quello che mi ha appassionato di questo gioco, è a malincuore che devo aprire il capitolo dei problemi più o meno grandi davanti a cui mi sono trovato. Rimanendo sul fronte squisitamente legato al gameplay, le missioni della campagna hanno un andamento grosso modo lineare: si tratta sempre di costruire una base da zero e costruire un proprio esercito con il quale poi raggiungere lo specifico obiettivo di missione. Mancano elementi di profondità che in altri giochi prendono la forma di un tech tree che vari o migliori specifiche caratteristiche delle unità, o anche una maggiore numerosità dei tipi di soldati. Lo so che adesso tiro fuori un confronto con un gioco di tutt’altro budget e potenzia di fuoco, ma in Company of Heroes 3, se una missione dura un’ora, succedono tantissime cose, moltissimi piccoli scontri che ci obbligano a approcci tattici diversi.

Pensano di attaccare la mia colonia impunemente? E allora pioggia d’acido per loro!

Qui manca questo tipo di dinamismo, per quanto la suddetta linearità viene almeno in parte smorzata dalla presenza delle minacce ambientali di cui già ho parlato. A fianco della campagna, c’è anche un buon numero di missioni singole giocabili in maniera indipendente, alcune delle quali con discrete variazioni dello stile di gioco: sono distrazioni apprezzabili, piacevoli da provare. Penso però che siano anche una mezza occasione persa: se gli sviluppatori fossero riusciti a integrare le situazioni di questi scenari all’interno delle missioni della campagna principale, l’esperienza generale avrebbe fatto un salto in avanti non da poco. Mancanze invece piuttosto evidenti vanno registrate sul fronte più prettamente tecnico di Empires of the Undergrowth, legate soprattutto alla piccola dimensione del team.

Manca il dinamismo di capolavori strategici di tutt’altro budget e potenzia di fuoco, come Company of Heroes 3

Non c’è la funzionalità di salvataggio della partita durante le missioni, e non perché si sia voluto dare un’impronta roguelike di qualche tipo: semplicmente, il team di Slug Disco sapeva che ci sarebbero voluti mesi per implementarla e quindi ha deciso di non allungare ulteriormente il ciclo di sviluppo. Per motivi simili, ma con conseguenze più considerevoli, semplicemente manca una modalità multiplayer. Non c’è e al momento non è nemmeno prevista. Nel numeretto in basso ho dato un certo peso a questi aspetti perché hanno un impatto evidente sul prodotto finale, ma per completezza va anche tenuto conto del prezzo di Empires of the Undergrowth, che tra l’altro si accompagna a un forte sconto ancora per qualche giorno.

In Breve: Empires of the Undergrowth fa molto bene una cosa piuttosto difficile: ci porta in un mondo affascinante e stupefacente, tanto più incredibile quanto invece è reale e basato su ecosistemi che ci circondano. Come strategico, bisogna riconoscere che non fa niente di nuovo e le sue missioni hanno qualche problema di ritmo, ma la varietà della fauna che incontriamo, con tanto di boss fight epiche, crea situazioni sufficientemente diverse per continuare a godersi il gioco. L’assenza di alcune funzionalità base, come il multiplayer, potrebbe però essere un serio problema per qualcuno.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Intel i7-10750H, 15 GB di Ram, GeForce RTX 2070, SSD
Com’è, Come Gira: Empires of the Undergrowth ha sempre girato a 1920×1080 con tutti i dettagli al massimo senza incertezze, anche quando doveva gestire due colonie sotterranee separate e un livello di superficie. D’altra parte il comparto grafico non dovrebbe appesantire nessun PC attualmente funzionante. Segnalo comunque ottime animazioni delle varie bestiacce nel gioco.

 

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7.6

Buono

Dopo traverse vicende in alcune cittá italiche, il nostro Solar Nico é sbarcato in terra d’Albione. Se da una parte ancora si da alla ricerca matta e disperata di un parco (ma anche un praticello va benissimo) per approfittare di qualsiasi mezza giornata di sole londinese, dall’altra Nicoló ha rassegnato ogni speranza all’idea di stare al passo della propria, sempre crescente, libreria Steam.

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